Capo e croce, le ragioni dei pastori

Capo e croce, le ragioni dei pastori (2013)

Heads and tails, the reasons of the sheperds
Locandina Capo e croce, le ragioni dei pastori
Capo e croce, le ragioni dei pastori (Heads and tails, the reasons of the sheperds) è un film del 2013 prodotto in Italia, diretto da Paolo Carboni, Marco Antonio Pani.

Nel giugno del 2010 migliaia di pastori provenienti da ogni parte della Sardegna si riuniscono nel Movimento Pastori Sardi per dar luogo a una protesta clamorosa. Durante una lunga estate i pastori invadono porti, aeroporti, strade, inondano le vie di Cagliari, occupano il palazzo della Regione per cercare di ottenere dignità e un giusto prezzo per il loro prodotto principale: il latte. Questo film, però, non è la cronaca di quegli eventi, ma un viaggio inedito, attraverso le ragioni dei pastori e la loro realtà quotidiana, alla ricerca delle origini della protesta. Capo e Croce racconta una storia di lavoro, giustizia e dignità. Note di regia Capo e Croce. Un gioco d'azzardo che i pastori giocano ogni volta che fanno investimenti per migliorare la propria condizione, che accettano i termini di una nuova politica europea, o decidono di non adeguarvisi. Un gioco di luci e ombre che li vede protagonisti di un'immagine "folcloristicamente autentica della Sardegna" e allo stesso tempo discriminati come ribelli, simbolo di candore bucolico e allo stesso tempo di rozzezza e ignoranza, nonostante abbiano cresciuto, scaldato e mandato a studiare un intero popolo. Luci e ombre, non colori, quelle che abbiamo cercato di raccontare attraverso un certosino lavoro di "inserzione" nel tessuto sociale e societario del mondo agropastorale della Sardegna di oggi. Una fotografia espressiva e volutamente "sporca". 

Info Tecniche e Distribuzione

Nazione: Italia - 2013
Durata: N.d.
Formato: Colore
Note:
Presentato In Concorso nella sezione Prospettive DOC Italia al Festival Internazionale del Cinema di Roma 2013.

Cast e personaggi

Regia: Paolo Carboni, Marco Antonio Pani

Immagini

[Schermo Intero]

Perché un film sui pastori

Il lavoro nasce dal bisogno di colmare un vuoto, anche personale, di conoscenza. Da tanto tempo entrambi (in modi e con ragioni diverse) volevamo usare il cinema per conoscere meglio e raccontare il mondo delle campagne della Sardegna (nostra terra d'origine) perché siamo convinti che ancora oggi racchiuda valori che possono aiutare noi sardi ad essere sardi migliori in una Sardegna migliore, in una società migliore. Eppure gli stessi sardi, talvolta gli stessi pastori, nella loro dimensione individualistica, sono stati indotti a dimenticare che la pastorizia ha rappresentato l'attività che ha sempre dato da campare a tutti: ai pastori, ai sardi tutti, agli industriali del continente. Quello che ci mancava era il pretesto per iniziare a fare questo lavoro. Quando, nel luglio 2010, c'è stata la prima clamorosa manifestazione, in cui i pastori hanno bloccato l'aeroporto di Elmas, abbiamo sentito che il momento era arrivato. Con la nuova discesa in campo, in modo massiccio e inconsueto, i pastori dimostravano di non volere e di non essere quella pastorizia ridotta ad un fenomeno residuale, a detrito etnografico, buono solo per gli studi e per il folclore ad uso turistico.

Raccontare un mondo che rischia di scomparire e invece può diventare il futuro.
Incominciando a vivere, con le nostre telecamere, dentro le manifestazioni e seguendo giorno per giorno la vita dei pastori, ci è risultato chiaro che, come è successo con l'industria operaia, l'industrializzazione del mondo pastorale, soprattutto caseario, ha portato ad una situazione in cui i pastori sono praticamente degli schiavi. Gli allevatori fanno un prodotto (il latte, ma anche il formaggio, la carne, la lana) del quale non decidono più il prezzo. Quale non decidono più il prezzo. Spinti dalle politiche comunitarie e regionali ad ammodernare gli impianti attraverso l'accesso a un credito dalle regole spesso nebulose e cangianti nel tempo, sono indebitati sino all'osso e si vedono portar via le case, le aziende. È un sistema che si sta mangiando da solo e che si trasforma, davanti alle nostre macchine da presa, nella metafora di tutto il mondo della produzione alla fine della corsa capitalistica alla produzione: o si cambia e si torna, sì in un modo moderno, al passato cioè alla piccola produzione tipica, alla differenziazione dei prodotti, anche alla lavorazione in proprio delle merci, oppure questo mondo è destinato a scomparire. Percorrere, attraverso il cinema, il difficile territorio di un processo che è insieme economico identitario e culturale è una responsabilità che come registi non vogliamo eludere. Non si tratta di aderire ad una parte ma di abbracciare una causa di valore generale, con responsabilità da intellettuali fabbricanti di storie di immagini e di sguardi. Del resto nel cinema, come in ogni altra forma d'arte, se non si sceglie un punto di vista non si va da nessuna parte. 

Testa o Croce/Capo e Croce
"Testa o croce" che diventa "Capo e Croce". Un gioco d'azzardo che i pastori giocano ogni volta che fanno investimenti per migliorare la propria condizione, che accettano i termini di una nuova politica europea, o decidono di non adeguarvisi. Un gioco di luci ed ombre che li vede protagonisti di un'immagine "folcloristicamente autentica della Sardegna" e allo stesso tempo discriminati come ribelli, simbolo di candore bucolico e allo stesso tempo di rozzezza e ignoranza, nonostante abbiano cresciuto, scaldato e mandato a studiare un popolo intero.

Luci e ombre, non colori
È stata la nostra, una scelta quasi obbligata. Non riuscivamo a vederlo a colori questo film. Nemmeno moralmente. Vedere i pastori privati della libertà di circolare per il territorio nazionale in ragione di chissà quale prevenzione in favore dell'ordine pubblico, vederli prendere bastonate, perdere la casa, farsi prendere in giro e poi tornare in campagna a fare la vita dura che fanno, anno dopo anno, ci chiedeva ad urla di toglierlo, quel maledetto colore che viene usato comunemente per divulgare l'immagine patinata della Sardegna così come i colori di un partito, di un sindacato, di una categoria sociale. Il bianco e nero rende uguali poliziotti e pastori, immersi nello stesso gioco di luce ed ombra. E anche la musica doveva essere stridente. La musica d'opera, espressione oggi tanto di cultura colta e borghese quanto di spot d'automobili (e non solo di lusso) era per noi essa stessa un altro di questi miscugli di moderno e antico per così dire "pasticciati". L'Opera può pubblicizzare una macchina o un profumo, ma può anche accompagnare delle immagini volutamente private dei loro colori, volutamente non belle come quelle che chiunque si aspetterebbe dai paesaggi della Sardegna, non colorate come ci si aspetterebbe da una manifestazione di migliaia di magliette azzurre e gialle, ma nere, bianche e grigie, come il gioco "contrastato" che si trovano a giocare i pastori. Mai riconosciuti nei loro diritti, se non altro dall'opinione pubblica, in quanto "liberi professionisti", ma schiavi moderni, al pari di minatori ed operai di un mondo che vuole spremere tutti e che quando non può spremere da una parte, prende il volo e va a spremere altri, lasciando i territori senza lavoro e senza sviluppo.

Periodo e luoghi di ripresa
Il film è stato girato tra il luglio 2010 e il gennaio 2013, a Roma, Civitavecchia, Cagliari, Porto Torres, Olbia e in Sardegna, nelle campagne di Olmedo, Ruinas, Ovodda, Ollolai, Siliqua, Tramatza, Aidomaggiore, Nuraminis, Lanusei, Arzana.

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