Ritorno In Borgogna (2017)

Ce qui nous lie
Locandina Ritorno In Borgogna
Ritorno In Borgogna (Ce qui nous lie) è un film del 2017 prodotto in Francia, di genere Commedia e Drammatico diretto da Cédric Klapisch. Il film dura circa 113 minuti. Il cast include Pio Marmaï, Ana Girardot, François Civil, Jean-Marc Roulot. In Italia, esce al cinema giovedì 19 Ottobre 2017 distribuito da Officine Ubu. Disponibile in homevideo in DVD da mercoledì 14 Febbraio 2018. Al Box Office italiano ha incassato circa 110099 euro.

Dieci anni fa, Jean ha lasciato la famiglia, proprietaria di un grande vigneto in Borgogna, per girare il mondo. Informato della malattia terminale del padre, decide di tornare a casa, dove si riunisce con la sorella Juliette il fratello Jérémie. Ma la morte del padre poco prima dell'inizio della vendemmia ricopre i fratelli di nuove responsabilità. Nel corso di un anno, al ritmo del susseguirsi delle stagioni, i tre giovani adulti riscoprono e reinventano i loro legami familiari, grazie alla passione per il vino che li unisce.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 19 Ottobre 2017
Uscita in Italia: 19/10/2017
Prima Uscita: 14/06/2017 (Francia)
Genere: Commedia, Drammatico
Nazione: Francia - 2017
Durata: 113 minuti
Formato: Colore
Distribuzione: Officine Ubu
Box Office: Italia: 110.099 euro
In HomeVideo: in DVD da mercoledì 14 Febbraio 2018 [scopri DVD e Blu-ray]

Cast e personaggi

Regia: Cédric Klapisch

Cast Artistico e Ruoli:

INTERVISTA A CÉDRIC KLAPISCH

Dopo Rompicapo a New York, un film dal contesto urbano girato a New York, come mai ha deciso di girare Ritorno in Borgogna, un film con ambientazione rurale?
Prima di tutto, ho realizzato questo film prima di Rompicapo a New York. Volevo fare un film sul vino già nel 2010. Quell'anno ho contattato alcuni viticoltori che conoscevo – non avevo mai partecipato ad una vendemmia ed ero curioso di vedere come svolgessero il loro lavoro. Mi sono detto – senza sapere davvero il perché – che c'era qualcosa di significativo in questo. A quel punto Jean-Marc Roulot mi ha permesso di fare una serie di fotografie durante la vendemmia nel suo vigneto. Dopo di questo mi sono dedicato a osservare nel dettaglio come cambia il paesaggio con il passare delle stagioni. Nei sei mesi successivi, sono ritornato molte volte in Borgogna, cercando un albero – l'albero perfetto per vedere gli effetti del passare del tempo e del ciclo delle stagioni. Ho incontrato Michel Baudoin, un fotografo molto esperto dei vigneti della Borgogna, e mi ha aiutato nella ricerca. Alla fine ci siamo accordati su due ciliegi – uno a Meursault, l'altro a Pommard. Era molto importante trovare la giusta angolazione, le giuste lenti e il momento migliore per fotografarli. Michel mi ha aiutato per un anno, fotografando gli alberi ogni settimana (sempre alla stessa ora del giorno). In ogni sessione fotografava l'albero e girava un video di un minuto. Alla fine aveva cinquantadue foto e immagini in movimento di questi due alberi tra le vigne. Senza sapere con precisione che cosa avevo tra le mani, dopo aver visto le foto ho sentito che c'era del materiale per girare un film. Nel 2011 sono tornato a guardare il raccolto, ma, a differenza dell'anno precedente, il tempo era grigio, aveva piovuto molto e i grappoli erano molto meno belli. Potevo vedere chiaramente come il processo di vinificazione fosse legato alle sfumature del tempo. Infine, nello stesso anno, 2011, ho deciso di iniziare la produzione di Rompicapo a New York, perché il produttore Bruno Levy ed io sentimmo che era il momento esatto per riconnetterci con gli attori di quella serie – quasi dieci anni dopo Bambole Russe. Tre anni dopo, quando avevo ormai finito Rompicapo a New York, mi sono chiesto se fossi pronto a fare questo film sul vino. La cosa folle fu che, durante i tre anni dedicati a Rompicapo a New York, la Borgogna fu colpita da un periodo di forti tempeste e i campi erano parzialmente rovinati! In poche parole, il film non poteva essere girato in quel periodo.

Cosa rappresenta per lei il vino?
Non c'è bisogno di girarci troppo attorno: chiaramente, per me, il vino è mio padre. Conosco il vino attraverso mio padre – che praticamente non beve altro che vino della Borgogna. Quando iniziai a bere (attorno ai 17-18 anni) mi fece assaggiare il suo vino. Grazie a lui ho imparato ad apprezzarlo. Fino a poco tempo fa, portava me e le mie sorelle alle degustazioni nei vigneti della Borgogna. Era una sorta di rituale, una volta ogni due anni circa. Quando avevo ventitré anni e studiavo a New York, lavoravo come cameriere in un ristorante francese. Eravamo circa quindici tra camerieri e cameriere, ma capii di essere l'unico che sapeva come consigliare un vino. I miei colleghi americani mi chiedevano "Come fai a distinguere un Cote du Rhone e un Bordeaux?" Ho capito in quel momento che il vino ha una propria cultura. In letteratura si può dire che è necessario leggere molto per distinguere un autore dall'altro. Con il vino, uno deve bere molto per capire le differenze tra le varie regioni e i loro diversi sapori.
Sono cosciente del fatto che sia stato mio padre a trasmettermi la cultura del vino e questo interesse per la Borgogna. Per questo ho sempre associato il vino all'idea della trasmissione. Ho intuito che il motivo che mi avrebbe spinto a fare un film sul vino sarebbe stata la voglia di parlare della famiglia. Quello che ereditiamo dai nostri genitori, quello che trasmettiamo ai nostri figli. La scelta della Borgogna mi è sembrata ovvia, anche se nel frattempo avevo "scoperto" altri territori, come Bordeaux. In Borgogna, le aziende sono, in generale, più famigliari. Nel Bordelais, le superfici sono molto più grandi e nella maggioranza dei casi i terreni sono industrializzati al punto di essere gestiti da grandi gruppi finanziari. Le problematiche del film sarebbero state completamente differenti. In un certo senso, la scelta di un'altra regione viticola francese (Alsazia, Linguadoca, Cote-du-Rhone, Beaujolais, etc…) avrebbe sviluppato tematiche ben diverse…

La famiglia è spesso presente nei suoi film. Al contrario, è la prima volta che lei filma la natura…
E' stato molto strano girare tra le vigne. Non avevo mai realizzato che, fino ad allora, non avevamo mai diretto un film che non fosse ambientato in una città. Prima di Ritorno in Borgogna, avevo filmato persone nelle strade e negli edifici… che fosse a Parigi, Londra, San Pietroburgo, Barcellona o New York, giravo sempre lo stesso film. Ogni volta, ho provato ad esaminare la relazione tra una città particolare e la psicologia delle persone che la abitano. Ma poi, dopo undici film, ho sentito la necessità di cambiare, di vedere qualcosa di diverso… e di dedicarmi alla natura. Per lo stesso motivo che mi impedisce di passare un anno a Parigi senza mai andare in campagna o all'oceano, ho sentito la necessità di filmare qualcosa che non avevo mai filmato prima. Questo bisogno di natura è stato più forte di me. Non so se abbia a che fare con la mia età, ma penso che sia accompagnato dal cambio sociologico che sto sentendo in questi giorni. La relazione tra i cittadini e l'agricoltura e il cibo sta cambiando. Non è solo una moda passeggera. Sta diventando molto importante, per le persone che vivono in città, assottigliare la linea che divide il mondo urbano da quello rurale. Il documentario Domani spiega eloquentemente questa cosa. Il fatto di vivere in un mondo "virtuale" ci spinge a recuperare una relazione concreta con le cose. Senza dubbio, i nostri sentimenti e frustrazioni sono accentuati dalle distanze causate dalla virtualità. E una nuova area d'interesse nelle arti culinarie (e del vino) significa per me un ritorno più diretto alle cose.

Ritorno in Borgogna unisce molti temi differenti…
Proprio come il vino. Che cosa c'è in un bicchiere di vino? Il terroir, ovvero la combinazione di un clima particolare, del sole, delle piogge, della geologia del terreno. Ogni elemento regala un profumo, un gusto, una densità particolare al vino. Penso sia fondamentale anche l'elemento dell'intervento umano – la scelta del tipo di viticultura, i metodi di coltivazione. Trovo affascinante che a Mersault ci siano centinaia di diversi proprietari e centinaia di metodi differenti di interpretare questo territorio. Quando un viticoltore firma una bottiglia, è come un regista che firma un film. Riprende il concetto di autorialità. Questo è tutto quello che si può trovare in un bicchiere di vino… questa complessità è lì contenuta. Il tempo e lo spazio, la storia e la geografia. Il matrimonio tra uomo e natura. Dovevo assolutamente fare in modo che il film raccontasse questo… è un mondo estremamente sofisticato. Per questo mi piace parlare di vino. Nel film seguiamo la produzione del vino nel corso di un anno. In parallelo seguiamo più di dieci anni nella vita di una famiglia di viticoltori. Ho cercato di trovare la connessione tra questi due – seguendo i cicli della natura e le tappe dell'evoluzione di questi tre personaggi. Si è prima bambini, poi adulti e poi genitori… questi cambiamenti umani, queste tappe di vita, sono comparabili alle stagioni della natura?

In Ritorno in Borgogna lei non ha solamente ripreso la natura, ma anche le stagioni…
Ho dovuto convincere Bruno Levy a girare per un anno intero. In termini di produzione, preferiva giare per solo due stagioni anziché quattro. Gli dissi però che non avrebbe funzionato, il ciclo della natura doveva essere rispettato. Non potevamo fare in altro modo: la bellezza dei colori dell'autunno – possono essere visti solo per quindici giorni. Avremmo dovuto girare in quel periodo, altrimenti non avrebbe funzionato. Anche per il raccolto, e per le due settimane precedenti, non sapevamo quando sarebbe successo. In un vigneto come quello di Jean-Marc Roulot, il raccolto dura tra una settimana e dieci giorni negli anni migliori. Quando Ana schiaccia gli acini nelle botti, abbiamo avuto solo quattro o cinque giorni per girare quella scena. Siamo tornati un giorno a gennaio perché aveva nevicato. E in primavera i fiori dei frutti fioriscono solo per una settimana. Le grosse foglie delle viti crescono solo in tre settimane. L'intero film è stato fatto al contrario. Non abbiamo deciso i giorni delle riprese, è stata la natura a decidere.

In Ritorno in Borgogna si è riunito con lo sceneggiatore Santiago Amigorena, con il quale aveva già lavorato in passato. Come è avvenuta questa riunione?
Sono passati quindici anni dall'ultima volta che abbiamo lavorato insieme. Abbiamo lavorato insieme per la prima volta in Le Pèril jeune e l'ultima volta in Autoreverse. Non volevo scrivere un film sul vino da solo. Ho anche incontrato alcuni esperti di vino con l'idea di scrivere il film con loro. E poi mi sono detto, perche andare a cercare qualcuno sulla luna quando ho un amico di infanzia che conosce bene il vino? Santiago ha appena prodotto Natural Resistance, il documentario sul vino di Jonathan Nossiter. Ha il mio stesso gusto per il vino e come me conosce Alix de Montille e Jean-Marc Roulot. Ritengo sia stata la persona giusta con la quale lavorare su questo soggetto. Ed è stata una vera gioia potermi riconnettere con lui personalmente. Il film chiedeva questo, l'idea che le cose migliorino con il tempo è centrale. Questo detto vale per il vino, ma anche per le amicizie.

Dall'altro lato però, tutto il linguaggio, tutte le tecniche collegate alla viticultura potrebbero non essere familiari al pubblico. Ci ha pensato durante la scrittura?
Per tutto il tempo. Santiago ed io siamo familiari con la cultura del vino, ma ho subito compreso che il film non sarebbe stato possibile senza la collaborazione di qualcuno che conoscesse la Borgogna molto meglio di noi. C'erano centinaia di cose che dovevano essere esaminate o scoperte per la scrittura del film. E questo fu fatto direttamente con Jean-Marc Roulot a casa sua, dove ho scattato le foto nel 2010; è stato sempre molto collaborativo e recettivo. La collaborazione era molto importante. Revisionava sempre le bozze della sceneggiatura, correggendo le nostre frasi "parigine", e le ha migliorate con una moderna autenticità del mondo dell'agricoltura. Ha spiegato la differenza tra la coltivazione organica e biodinamica, tra il vino naturale e tradizionale. Lui, come gli altri viticoltori della Borgogna, ha parlato a lungo con noi dell'agricoltura moderna in generale. Il concetto è molto ampio – agricoltura sostenibile, problematiche specifiche della Borgogna, etc. A volte, però, quando Jean-Marc traduceva quello che avevo scritto in un linguaggio più specifico, dovevo ri-tradurlo in un linguaggio più universale. Quando Juliette dice "La fermentazione maleottica è stata molto veloce quest'anno", probabilmente solo il 10% delle persone sa di cosa si tratta. Abbiamo lasciato questa frase, ma l'ho circondata da elementi che permettessero alle persone di capire che lei stesse parlando di una fase della vinificazione. Abbiamo usato questo concetto di traduzione anche in passato in un dialogo sulla finanza in My piece of the pie – dove abbiamo accettato il fatto di non capire uno specifico termine tecnico. Poi ci sono delle volte in cui li traduciamo. Si tratta di una scelta applicata ad ogni frase, tra l'essere didattici e comprensibili da un lato e allo stesso tempo usando un linguaggio reale delle persone in questi settori.

E' riuscito a mantenere un equilibrio tra tutte e quattro le stagioni durante la scrittura?
Sì. Questo è stato un altro problema che si è manifestato durante il montaggio. Alla fine questo equilibrio non c'è, ma c'era nella sceneggiatura. La cosa bella da notare è il parallelismo tra la storia raccontata e la storia della natura. E qui, ovviamente, l'inverno ne ha risentito. Ci sono state molte scene che sono state eliminate. Nel film, l'inverno è una sala d'attesa, e nel montaggio ci siamo resi conto che non aveva senso passarci lo stesso tempo che passiamo nelle stagioni più forti. Quindi ovviamente, l'inverno è stato sacrificato.

E le relazioni tra i personaggi? Come è arrivato all'idea di concentrarsi sul rapporto tra fratelli?
L'idea è arrivata abbastanza velocemente. All'inizio, nel 2010, stavo pensando ad un'idea che avevo discusso con Romain Duris: la storia di una relazione tra un padre di settantaquattro anni e suo figlio di quaranta. Ma quando ho iniziato a lavorarci, ho detto a me stesso che avrei preferito qualcosa di più vicino all'infanzia. Volevo parlare del passaggio nell'età adulta. Quindi automaticamente ho abbassato l'età dei personaggi. E poi sono passato all'idea di due fratelli e una sorella – forse per rovesciare la mia storia, dato che ho due sorelle ed io ero l'unico maschio. Per interpretare questi fratelli, ho cercato degli attori con i quali desideravo lavorare. Avevo appena incontrato Pio Marmai ed ho pensato subito che sarebbe stato perfetto per il ruolo ed era anche dell'età giusta, inoltre avevo appena lavorato con Francois Civil, e ho pensato che lui e Pio sarebbero stati due fratelli molto credibili. Da lì, ho cercato un'attrice che potesse adattarsi bene. Se devo essere onesto, avevo già in mente Ana Girardot, ma comunque ho visto molti attrici per essere sicuro di compiere la scelta giusta. Avevo bisogno di una ragazza con la capacità di sopravvivere tra due fratelli molto mascolini! Per questo motivo, Ana era di gran lunga la scelta migliore. Quindi mi sono ritrovato con i tre attori che volevo. E' stato bellissimo vedere tutti e tre diventare come fratelli. Pazzesco! In un momento hanno preso controllo del film. All'inizio si trattava di più della storia di Jean/Pio Marmai. Poi, mentre ci si addentra nelle stagioni, diventa la storia di questi fratelli. I protagonisti hanno preso in ostaggio il film con la bellezza del loro rapporto. Ho iniziato a sentire che io e Santiago stavamo diventando i narratori di quello che vedevamo di fronte a noi. Abbiamo lasciato che il tempo partecipasse nella costruzione della storia.

E' stato facile assicurarsi che gli attori sarebbero stati disponibili per tutto l'anno?
Sì. Alla fine è lo stesso per le serie tv, solo che invece di dirgli che stavano firmando per tre stagioni – come in TV, abbiamo parlato di stagioni (ride) – dici che girerai il raccolto alla fine di agosto/inizio settembre; poi in autunno, attorno alla fine di ottobre quando le foglie sono giallo-rosse; in inverno a dicembre/gennaio; poi in primavera, a maggio o giugno. Una volta definito lo scheduling, è come girare quattro film diversi. E quando abbiamo chiesto loro se sarebbero stati disponibili per tre settimane in quattro diversi momenti dell'anno, hanno accettato. Ana, Pio e Francois erano molto entusiasti all'idea di fare il film. Pensando a questo, credo che abbiano dovuto rifiutare qualche altro film, o organizzare altri progetti per riempire i periodi tra le riprese…

Cosa l'ha spinta verso Ana Girardot?
Ho esitato prima di scegliere Ana per My piece of the pie. Anche se ho dovuto rivederla ai casting, non ero sorpreso di essere finito per sceglierla per Ritorno in Borgogna. Ho sempre creduto che fosse una grande attrice da non lasciarsi sfuggire e ho visto durante le riprese di Ritorno in Borgogna che non mi stavo sbagliando. Ana è un'attrice con un enorme potenziale. Una donna che può fare commedie, essere elegante ma anche semplice. Qui interpreta una viticoltrice, ma se la mettiamo in un paio di shorts e le chiediamo di guidare un trattore, nonostante il suo aspetto elegante, non sembra essere "una modella che guida un trattore". Ha un range pazzesco: nelle emozioni, nella commedia, nella sua relazione con gli uomini – è bellissima la relazione che ha con i suoi due fratelli, come si confronta con la loro mascolinità. Il DNA del suo carattere è collegato a questo fatto: come fa una ragazza così femminile a sopravvivere in un mondo così mascolino? Lei lo fa meravigliosamente. Ana ha studiato negli Stati Uniti, ha sia il senso del naturalismo e del "lasciarsi andare" nello stile francese, e una tecnica acquisita in America. E confesso di aver trovato questo mix di tecniche meraviglioso da guardare.

E come vede Pio Marmai, che dà davvero l'impressione di essere stato fatto per il ruolo?
Pio è, come qualcuno potrebbe dire, una persona che "vive" la sua recitazione, e come Ana, si percepisce senza dubbio la sensazione di non aver visto tutto il suo potenziale. Nonostante il suo aspetto muscoloso, potrebbe benissimo interpretare "il fidanzato ideale", il bravo ragazzo, simpatico e di facile immedesimazione. Ho sentito il desiderio di usare questo aspetto, ma anche quello più ribelle, l'oscurità e l'imprevedibilità che sono in lui. Volevo che si percepisse il suo essere costantemente in ebollizione… Nel film ha un lato instabile. E' un giovane adulto aperto a tutti perché non ha sicurezze. Non ha ancora trovato se stesso. Questo aspetto dell'essere "in evoluzione" mi ha toccato molto. Ma nonostante questo ha un lato molto solido e ancorato. Volevo che avesse questo aspetto imponente e robusto, che desse l'idea di qualcuno del quale ci si può fidare.

Francois Civil è molto divertente nella scena in cui lui e suo suocero discutono senza mai finire una frase. La scena è stata scritta così o si è affidato sulla capacità d'improvvisazione dei due attori?
E' stata scritta, ma poi diventò molto difficile da interpretare perché c'erano delle continue ed improvvise interruzioni. In effetti, lui non finisce mai una frase. Quando ho avuto l'idea per la scena, ho detto a Santiago: "Sarebbe molto bello se lui urlasse contro il suocero ma allo stesso tempo ritirasse quello che dice". Abbiamo iniziato a scrivere la scena facendo un ping-pong tra me e Santiago, il gioco era non finire nessuna delle frasi. Ma dovevo vedere fino a dove potevamo spingerci, quanto si potesse capire dai suoi pensieri, sebbene sembrasse saltare da un argomento all'altro: lui parla di suo fratello, se stesso, del caffè che ha bevuto… E' stato molto difficile da interpretare, perché Francois non riusciva a dare naturalezza alle frasi, a dare ritmo alle parole. Doveva essere in uno stato confusionale per tutto il tempo. E' stata una scena molto difficile anche da montare. Era necessario trovare un modo per completare le frasi lasciate in sospeso. E' stato difficile ma ci siamo riusciti, credo, combinando il modo meraviglioso in cui Francois ha interpretato la scena, l'interazione con Jean-Marie Winling, che lo ha aiutato molto interpretando un clown serio, ed ovviamente il montaggio. La montatrice, Anne-Sophie Bion, è riuscita a trovare l'elemento organico che caratterizzasse la scena non solo dal punto di vista delle parole ma anche delle diverse mentalità. E' molto delicato manipolare tutto in quel modo. Richiede dei dosaggi precisi. E come sempre in questi casi, funziona quando si cerca di essere letterale e serio, non quando si cerca di strappare risate. Francois Civil ha quell'abilità rara di mixare delle tecniche di recitazione con qualcosa di più intuitivo. Si può chiamare dedizione…

E' stato facile dire ad un viticoltore che avrebbe dovuto far entrare gli attori nel suo vigneto?
Sono sicuro che questo film non sarebbe stato possibile senza qualcuno come Jean-Marc Roulot. Lui ha una doppia vita; è un attore e un viticoltore. Sa come funzionano le riprese. Per lui è stato un colpo di fortuna inaspettato. Ci ha detto: "E' la prima volta che faccio un film dove riesco a combinare le mie due vite". Era molto felice che le persone con le quali ha lavorato per trent'anni lo vedessero fare il suo altro lavoro. Ma penso che non abbia colto l'intensità di questa avventura. Quando ha accettato di farci filmare a casa sua, non immaginava che sarebbe stata un'esperienza personale così potente.

Come vi siete incontrati?
Durante i castng di Riens du tout, il mio primo lungometraggio. Avevo trent'anni, ed ero già stato in Borgogna a comprare il vino… dopo i casting, Jean-Marc mi disse che era anche un viticoltore a Mersault. Alla fine non è entrato nel cast, ma tre mesi dopo ero in Borgogna e andai a casa sua a comprare del vino. E da allora sono diventato suo cliente. Jean-Marc ed io ora ridiamo di questa cosa: lo scartai ad un casting per poi affidargli un ruolo venticinque anni dopo!

C'è stata una preparazione, un training per gli attori prima dell'inizio delle riprese?
Sì, ma molto breve, perché loro sono arrivati tre giorni prima dell'inizio delle riprese. Ma il primo giorno fu piuttosto surreale. Sono arrivati alle 11.00, siamo andati a pranzo e loro hanno bevuto otto tipi di vino della Borgogna a tavola. C'era un'atmosfera di "scoperta della regione". Alle 14.00 erano completamente ubriachi. Ma abbiamo continuato: dopodiché siamo andati a visitare altri vigneti. Abbiamo parlato con diversi viticoltori che, ad ogni tappa, gli facevano assaggiare diversi vini, e davvero, per tutto il giorno, ha solo che bevuto. E' finita con una cena a casa di Jean-Marc Roulot e Alix de Montille. Alla fine della serata erano tutti e tre su di giri! Ero quasi spaventato – ad un certo punto, mi sono detto, "Cosa stiamo facendo? Tutto questo non ha senso!". Il giorno dopo, ad essere onesto, si rivelò molto importante; è stato per questo episodio che capii come dirigerli nella sequenza in cui sono sbronzi. Durante le riprese loro non possono bere per davvero, quindi è necessario ricreare il gusto. Qui li ho studiati e ho preso degli appunti. La scena delle consonanti, ad esempio, è stata ispirata da quella serata. Sembrerà strano dirlo, ma anche questo è stato parte della preparazione. Queste esperienze sono parte del nostro strano mestiere. Per noi, attori e registi, tutto questo è parte del lavoro. Ovviamente, tutto questo è stato accompagnato dalla scoperta della Borgogna. Scherzi a parte, non posso dire di aver fatto questo film solo per bere. Non si poteva fare questo film senza conoscere la Borgogna, il che significa conoscere il clima di questa zona in quanto patrimonio dell'UNESCO (il clima è una combinazione del terreno del vigneto, della varietà degli acini, delle tecniche di coltivazione), le persone, i viticoltori, le province, la crescita dei frutti, i villaggi… la classificazione del vino… Gli attori erano obbligati ad imparare tutto questo. Non potevano interpretare questi personaggi senza sapere qualcosa di tutto questo. Il periodo di preparazione è stato molto accelerato in tre giorni, ma è stato espanso grazie all'anno di durata di riprese. E questo vale anche per me.
Per esempio, non sapevo nulla della lavorazione del vino durante l'inverno o la primavera. Il fatto che ci siano delle procedure da seguire in primavera, dove si tagliano i rami che sono morti in inverno – gli attori hanno scoperto questo aspetto della viticoltura assieme a me.

Parlando di sbronze, si potrebbe pensare che la scena della festa di fine vendemmia sia stata più documentaristica che di finzione…
La collocherei tra il documentario e la finzione. Come il raccolto all'inizio del film. Il raccolto è il raccolto! E in quella realtà ho inserito le scene in cui i ragazzi si tirano l'uva – è ovvio che quella non è uva di Jean-Marc! Ci sono delle scene completamente di fiction e altre che sono completamente documentaristiche. Per il Paulée (la festa celebrata alla fine del raccolto), abbiamo filmato un vero Pauleé dalle 8.00 a mezzanotte e poi abbiamo lasciato i festeggianti finire la loro festa. Quattro giorni dopo abbiamo ricostruito quello che avevamo visto. Molte delle persone che erano alla vera festa hanno poi partecipato alle riprese, solo che questa volta era una festa finta durante la quale venivano spesso interrotti e dove facevamo bere loro del succo d'uva al posto del vino! Ma dall'altro lato, dal momento in cui avevano vissuto il vero momento celebrativo alla fine di dieci giorni nel vigneto, hanno saputo ricrearlo particolarmente bene. Ne è venuto fuori un mix molto particolare: fiction nutrita dalla realtà. Non è né completamente fiction, né completamente documentario. Il film è un vero ibrido tra questi due approcci. 

In questo film ci sono dei richiami a Peut-être per quanto riguarda l'importanza della figura paterna – che anche qui vediamo nei flashback. E' anche simile al personaggio del padre in Aria di famiglia
Sicuramente ci sono dei richiami ad Aria di famiglia, anche questa è una storia di una famiglia. Quando abbiamo iniziato a scrivere Ritorno in Borgogna, mi ricordo che Santiago mi disse "E' importante far emergere l'infanzia dei personaggi" e sono stato subito d'accordo. E improvvisamente il personaggio del padre, interpretato da Eric Caravaca, fu creato. E' bravissimo nel film. Ho avuto l'idea di Eric perché era la voce narrante in Les enfants rouges di Santiago, e io adoro la sua voce. E ho pensato che in Ritorno in Borgogna, perché la voce offscreen del padre fosse efficace, doveva essere quella di Eric Caravaca. E come ha detto lei, nel film, il rapporto padre-figlio è molto importante. E poi, più invecchio e più vedo come gli uomini, ad un certo punto, avvertono una sorta di fallimento nel rapporto con il proprio padre. Le madri sono generalmente più presenti (a volte anche troppo…). Il sentimento di assenza, o il senso di rimozione che possiamo avvertire dai nostri padri, è qualcosa da tenere a mente quando si diventa genitori.

Per lei, c'è un collegamento tra il mondo del cinema e quello del vino?
Dicevo che c'erano tre fonti d'ispirazione in questo film, ma in realtà ce n'è una quarta: il mondo del vino è piuttosto simile a quello del cinema. Ci sono delle somiglianze incredibili tra la lavorazione del vino e quella di un film. La relazione con il tempo è simile nelle due discipline, nella quali è necessario essere molto pazienti; girare un film è quasi come essere in un campo durante il raccolto, il montaggio è come la vinificazione: avviene nelle cantine, e speri che possa invecchiare bene. E se tutti i viticoltori della Borgogna usassero solo due tipi d'uva, il Pinot e lo Chardonnay, i risultati sarebbe comunque diversi per ognuno. Anche se un altro regista usasse gi stessi attori che uso io, il suo film sarebbe comunque diverso dai miei. Ho riscontrato molte somiglianze tra i due mondi, e penso che i vinificatori come Jean-Marc Roulot facciano un mestiere molto simile al mio.

Pensa che i registi migliorino con l'età? Pensa che questo valga per lei?
Come lei saprà… non tutti… anche qui, è come il vino (ride). Ce ne sono alcuni che invecchiano bene, altri no. In ogni caso, ci sono alcuni registi che invecchiano davvero bene. Sono arrivato a questa conclusione dopo aver visto Io, Daniel Blake di Ken Loach. Registi come John Huston, Kurosawa or Hitchcock migliorano con il tempo. Ma ci sono stati altri registi che sono invecchiati piuttosto male. Per quanto mi riguarda, spero di essere invecchiato bene… Non so se tra dieci anni sarò migliore di quello che sono ora. Ho spesso detto che tra i miei film, credo che Le péril jeune è quello più riuscito. L'ho fatto ad inizio carriera… ed è piuttosto strano perché penso anche di aver fatto progressi da allora. Penso comunque di essere un regista migliore oggi rispetto a qualche tempo fa. Ma ciò non significa che ora faccia film migliori. Per me questo è parte del grande mistero della regia. Lavori come un matto per imparare il mestiere e tutte le tecniche necessarie, ma questo non ti assicura di riuscire a fare buoni film… Sono anche sempre combattuto sull'idea che un film possa avere successo indipendentemente dal livello di preparazione di un regista. E' qualcosa va oltre l'esperienza e la tecnica. Questo mi da una certa spontaneità. So che devo fare un film dando la priorità al desiderio e all'intuizione. Ogni volta so che l'intuizione mi spingerà a fare un film che mi terrà occupato per uno o due anni. Ogni volta non so dove andrò a finire e so che è importante provare quella sensazione di galleggiamento. Essere molto sicuri di se stessi non significa essere necessariamente sul percorso giusto. Solo molto tempo dopo capisci se hai fatto un buon film o meno. Non lo puoi sapere prima. Se prendo il vino come esempio: per avere la possibilità che invecchi bene non puoi semplicemente fare quello che hai fatto l'anno scorso. Devi affrontare il presente con uno spirito positivo, tenendo in considerazione imprevisti e cattivo tempo. E' necessario essere incessanti e intensi nella ricerca, anche se non si sa dove o cosa si sta cercando in particolare. Si potrebbe ad esempio provare a fare le cose con urgenza per mantenere una certa intensità ma restando pazienti. Bisogna essere al tempo stesso essere i ricercatori e i mantenitori di una certa intensità.

Dopo un buon film, un buon vino? Quale?
In Borgogna si bevono solo vini che non possono essere bevuti a Parigi, sia perché sono troppo costosi o perché sono impossibili da trovare. Ho scoperto il vino bianco della Borgogna mentre facevo questo film, il Mersault in particolare. Molte persone del team inizialmente dicevano di preferire il vino rosso al vino bianco. Penso che se ne siano andati tutti dicendo di preferire il vino bianco! Mi hanno detto che il posto dove abbiamo girato – tra Puligny-Montrachet, Chassagne-Montrachet e Mersault – abbia il migliore vino bianco del mondo, e penso che abbiano ragione. E' eccezionale! Il vino è un prodotto umano, con la U maiuscola. Quando ho iniziato la sceneggiatura con Santiago, sentivamo la necessità di dire qualcosa tra lo strano matrimonio tra uomo e natura. Questa storia si è portata avanti per millenni, e non è solo la storia del succo d'uva… Per fare bene il vino bisogna essere degli archivisti della civilizzazione per avere una conoscenza adeguata – geologia, agronomia, chimica – un'esperienza estremamente precisa… e tutto questo, magari, solo per sbronzarsi.

Per fare un film come questo è necessaria una conoscenza che includa molte aree…
Nel film mi piace questa scena: alla morte del padre, i tre ragazzi aprono una bottiglia di vino del padre e una del nonno. Bevendone solo un paio di sorsi, capiscono subito quale vino appartenesse a chi. Nei bicchieri è contenuto il tempo, lo sforzo, i pensieri e il vero significato della vita… Essenzialmente, con il vino, imbottigliamo niente di meno che il vero significato dell'essere umano.

INTERVISTA A PIO MARMAЇ

Prima di lavorare con Cédric Klapisch, il suo cinema cosa rappresentava per te?
Pochi anni fa ho lavorato con sua moglie, Lola Doillon, a un film intitolato In your hands, e ho incontrato Cédric. Non gli ho detto, però, che era uno dei registi con cui avrei tanto voluto lavorare. Ero molto modesto e non ho osato dirgli una cosa del genere, pensavo l'avrebbe presa male. Non era l'ammirazione nei suoi confronti che mi faceva desiderare di lavorare con lui, ma erano i suoi film, come ad esempio Le peril jeune o L'appartamento spagnolo. Questi lungometraggi mi hanno fatto ritrovare la speranza in un cinema intelligente e popolare che sia insieme anche poetico e divertente. Quando ho scoperto questi film ho detto a me stesso che, se fossi riuscito a diventare un attore, mi sarebbe piaciuto lavorare a progetti come questi. Ma a Cédric non ho parlato di tutto questo. Per me Cédric era qualcuno di veramente importante. Mi ero fatto l'idea di una persona che lavorava con una spiccata e riconoscibile semplicità. Con Back to Burgundy, abbiamo creato qualcosa di molto umano, e io sono molto sensibile alle interazioni umane.

Quale è stata la tua reazione quando sei venuto a sapere del progetto?
La prima volta che ne ho sentito parlare è stato da Bruno Levy. Ho capito che Cédric stava preparando un film "ultra segreto". Poi un giorno siamo andati con Cédric a vedere In the Courtyard di Pierre Salvadori. Successivamente ha iniziato a parlarmi di molti altri progetti. Ho pensato che fosse strano facesse questo proprio dopo aver visto un film in cui ci sono anche io. Non sapevo proprio cosa pensare o dove il dialogo ci avrebbe portati. Sono stato felice quando mi ha detto: "Incontriamoci, proveremo qualcosa!". La cosa interessante era di essere sempre coinvolti in una sorta di processo di collaborazione. Non era come se dicesse: "Ci sei tu, Ana e Franҫois". Era, al contrario, una sorta di laboratorio. Ero più che soddisfatto. E' quello che si prova quando finalmente collabori con persone con cui avresti voluto lavorare da tanto tempo. Un misto di eccitazione e ansia. La paura di non farcela. Soprattutto per il fatto che Back to Burgundy era un progetto molto particolare. Ma ero anche estremamente eccitato. In ogni caso, questo è il tipo di eccitazione di cui ho bisogno per girare un film.

Una delle peculiarità di questo progetto consisteva nel fatto che tu ti saresti dovuto impegnare per un anno intero. Questo ha contribuito alla tua eccitazione?
Certo, completamente. Anche se per me è stato molto stancante, perché nello stesso periodo stavo recitando in Roberto Zucco, un'estenuante commedia di Bernard Marie Koltès. Fisicamente è stato pesante, ma siamo riusciti a organizzarci e così ho potuto recitare entrambe le parti. Ma questa è la particolarità di Back to Burgundy, la singolarità, il tempo che abbiamo speso per fare il film insieme. Se ci avessimo speso solo due mesi, non saremmo stati in grado di creare questo quadro di rapporti fraterni. Questo laboratorio – insisto nel fare uso di questo termine – dove abbiamo fatto ricerche, dove abbiamo girato sequenze che poi non sono state inserite nel montaggio. Tutto ciò è evidente nell'immagine finale. Inoltre, c'è il susseguirsi delle stagioni, spazi dove prendere respiro, permettendo a Cédric di modificare la sceneggiatura. Tutti valori aggiunti al film. Prima dell'ultimo mese di riprese, ricordo un incontro con Cédric dove mi ha detto: "Riguardo a questo punto, abbiamo cercato molto, ma ora dobbiamo stringere". Chiudere il lavoro era una parte necessaria del processo.

Cedric Klapisch, che era molto interessato a lavorare con te, ha detto che spesso restava affamato nel vederti nei ruoli che ti erano stati dati. Ma qui, ti ha offerto un ruolo che mette alla prova le tue abilità…
Sì, è abbastanza giusto. Penso ci voglia del tempo prima di poter lavorare con un grande regista. Poi devi passare dalla fase in cui vieni etichettato, e una volta che questo accade, rimani incastrato. Per fortuna ci sono persone come Cédric, che dice: "Lui può fare qualcosa di diverso, e può funzionare. E questo può essere anche molto più denso rispetto alle cose che sapeva fare prima".  Ma solo i grandi registi e i grandi sceneggiatori possono riuscire a fare questo. E Cédric è uno di loro.

Come è stato girare con lui?
Si fidava completamente di me. Non avevo alcun tipo di ansia, nonostante il processo di lavorazione poteva creare facilmente momenti fluttuanti, perché c'era una specie di incertezza tra un periodo di riprese e un altro. E quando c'erano questi momenti incerti, Cédric era al timone. Se lui stesso avesse avuto dei dubbi, ce lo avrebbe detto. Cédric non è uno di quei registi che arrivano sul set dicendo: "Lo so io. Adesso facciamo questo, adesso facciamo quello". Non cerca di imporre le cose. Al contrario è uno che costruisce con la sua squadra. E' al timone nel condurre i suoi film, ma è anche desideroso di sapere come ci sentiamo noi. Ed è anche capace di dire: "Non so dove stiamo andando, ma andiamoci insieme!" E per me, questo è abbastanza forte per darmi una grande sicurezza e un grande desiderio di seguirlo.

Hai conosciuto Ana e Franҫois? Come hai creato questo senso di famiglia con loro?
Ho incontrato Ana pochi anni fa. Franҫois, invece, non lo conoscevo. Ma ho sentito parlare del suo lavoro. Quindi, come siamo diventati fratelli, eh? Penso che il fatto che stessimo facendo un film sul vino e che tutti noi apprezziamo i piaceri della vita abbia aiutato parecchio. Ma in realtà penso che la nostra relazione si sia formata grazie all'accumulo di momenti di vita condivisi, il fatto di essere insieme a condividere attimi di difficoltà o di estrema gioia … Quando vivi con delle persone per un anno, qualcosa accade. Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, io Ana e Franҫois avremmo potuto finire con l'odiarci, ma non è stato questo il nostro caso! Al contrario, ci siamo divertiti! So di averlo già detto, ma se non ti diverti e devi lavorare per un anno con le stesse persone, si vedrà sullo schermo. Con il procedere delle riprese, più materiale realizzavamo, meno c'era bisogno di dover spiegare. C'era qualcosa di sempre più intuitivo ma che, allo stesso tempo, continuava a cambiare. Un legame familiare come quello si costruisce con il tempo, ma più di tutto con la fiducia. Tu puoi dire: "Sono fortunato a lavorare con una squadra, perché se sono in difficoltà, possiamo darci una mano a vicenda". Il cinema è fatto in collettività. Non è creato da una persona sola. E per quanto mi riguarda, avevo una fiducia completa, un senso di completo abbandono nei confronti dei miei compagni. Una sensazione veramente piacevole. Un giocoso piacere. Era molto divertente. E' fantastico lavorare con qualcuno che ti fa sempre domandare: "Che cosa farà per sorprendermi?" E' meraviglioso. E questo è quello che è successo con Ana e Franҫois. E con tutta la troupe. Eravamo tutti in Borgogna, tutti insieme e questo, umanamente era una sorta di impresa, scioccante. Puoi fare un film solo in questo modo, ovvero solo se diventa un rapporto reale, vivo e positivo con le persone con cui lo stai facendo.

C'è un'altra persona su cui tu fai affidamento da un punto di vista tecnico: Jean-Marc Roulot.
Sapevo che Jean Marc fosse un viticoltore perché ho visto Mondovino, e inoltre conosco il suo socio, Alix de Mantille. Sapevo che lui era un nome importante a Meursault, nel vino bianco e quindi in Borgogna. La prima volta che l'ho visto ero molto intimidito. Mi sono dovuto fare un drink per rilassarmi. Durante le riprese, il nostro rapporto è stato discreto e semplice e, allo stesso tempo, Jean-Marc aveva una visione tecnica sempre sul pezzo. Ma non si imponeva mai in maniera dittatoriale. Non è mai stato noioso come quelle persone che hanno bisogno di essere dure per mostrare la loro superiore esperienza. Jean-Marc ci ha spiegato come funzionano veramente le cose, ma sempre con eleganza e con un senso di come funzionano le cose sul set. Non ho mai detto a me stesso: "Ecco, adesso ci dirà qualcosa di interminabile!" Ma piuttosto il contrario. Ha sempre adattato il suo linguaggio a quello dei personaggi. Infatti, c'era un generale rispetto nel non detto: sappiamo che lui è molto forte in questo campo e lo sa anche lui. Non c'è bisogno di inchinarsi e dirlo. E' qualcosa di condiviso. E' questa l'eleganza e la grandezza delle persone che ammiro. Sanno quanto valgono, ma non hanno bisogno di provarlo.

Per Cédric Klapisch, c'è un parallelo tra l'arte del vino e l'arte del cinema…
Sì, c'è questa sensazione, l'abbandono nell'esistenza di queste due discipline. La fiducia è ugualmente importante. Si tratta più che altro una questione di esperienza e di ascolto della propria squadra. E questo vale sia per un viticoltore che per un regista. Ma ciò che amo nell'arte del vino è la presenza anche di una dimensione manuale. A volte nel cinema questa dimensione è minore, è più una questione di testa. Allo stesso tempo qualcosa che mi piace del lavoro di Cédric è che contemporaneamente è anche una persona molto fisica. Quando qualcosa non funziona, non cerca una soluzione intellettuale del problema. Se qualcosa non va, si agisce. E questo penso perché sia abbastanza somigliante ai viticoltori che conosce. Lavoro nello stesso modo: rispetta l'aspetto artigianale, il lavoro manuale, l'esperienza. Per lui quindi non c'è opposizione nei confronti di questi aspetti. E il motivo sta nel fatto che ha la stessa umiltà di quei viticoltori che non sono quel genere di personaggi che potrebbero dire: "Ti stendo con il mio vino!" I grandi viticoltori che ho incontrato non parlerebbero mai così.

Come ti sei preparato per il ruolo di Jean? Stappando bottiglie?
Tonnellate e tonnellate di bottiglie! Abbiamo bevuto come satanisti! (ride) Ascolta, è semplice. Ci sono libri, c'è letteratura, ma alla fine conta l'esperienza. La degustazione e soprattutto il processo di lavorazione. Abbiamo avuto la possibilità di seguire il processo di lavorazione del vino dalla A alla Z. Ed è facile, quando sai che cosa fisicamente serve per fare il vino, che cosa deve fare il corpo – quando parlo dalla prospettiva dell'esperienza, so veramente di cosa sto parlando. Mi riferisco agli eventi concreti che ho vissuto durante le riprese. Questo ha rafforzato la veridicità. Ma ancora meglio è bere il vino, prendere il tempo di scoprire cosa si sta bevendo, e incontrare le persone che fanno il vino. Abbiamo incontrato molti viticoltori con personalità uniche, appassionati e con grandi idee sul vino. Ti prepari prendendo un po' da uno e un po' dall'altro e, con tutto il rispetto per la sceneggiatura di Cédric, costruisci qualcosa di unico da solo.

Le riprese avvenivano spesso in condizioni documentaristiche: hai davvero schiacciato i grappoli e tagliato le viti. Queste condizioni amplificano il senso di realtà?
Se mi metto al posto del pubblico, non mi importa molto della verosimiglianza. Ciò che mi interessa è il livello di immersione nell'esperienza, nel vissuto. Ovunque stiano le immagini nel film o che siano tagliate alla fine, assorbiamo cose che ci sono trasmesse e che permeano i personaggi di forza. Forse questo è il motivo per cui, come dice Cédric, quando prendo un pezzo di terra e lo guardo, sembra molto più reale rispetto al solito.

Alla fine, con tutta questa esperienza vissuta, chi è il tuo personaggio, Jean?
Bella domanda… Penso che, come in Le peril jeune, Jean è un frammento di uno specchio di una generazione. E' una di quelle persone che crea se stessa attraverso i suoi viaggi, attraverso l'esperienza della vita, ma anche attraverso il suo lavoro e attraverso l'esperienza umana. In Jean c'è qualcosa che fa eco alla vita che potrei vivere. Il modo in cui Jean emerge nel film, dopo un anno con suo fratello e sua sorella, è qualcosa che posso provare – Pio MarmaЇ con Ana Girardot e Franҫois Civil. E il resto della squadra. 

INTERVISTA AD ANA GIRARDOT

Prima di girare Back to Burgundy con lui, cosa rappresentava per te Cédric Klapisch?
Era parte del mio immaginario cinematografico. Per me è uno dei migliori registi francesi. Ed è una cosa dolce per un'attrice lavorare a uno dei suoi film, e avere il ruolo femminile principale. In più questo è un film che Cédric aveva in testa da parecchi anni. Avevo già fatto alcuni screen test con Cédric per altri film e ho sentito che c'era il desiderio di lavorare insieme. Quindi essere scelta mi ha resa molto felice. Davvero tanto!

Quando hai parlato con lui di questa storia per la prima volta, e quale è stata la tua reazione quando hai letto la sceneggiatura?
Diciamo che ho avuto paura quando mi è stato introdotto il personaggio: una viticoltrice, una donna di campagna che lavora la terra. Ho pensato: "Spero che non mi trovi troppo eterea, che possa mostrargli un lato più concreto". Perché è vero che tendo ad avere un lato che è un pochino volatile. Non sono lo stereotipo della donna che lavora la terra, anche se so che è qualcosa che c'è in me. E volevo mostrarlo davvero. Cédric si è concentrato molto sulla scena a cui stavo lavorando con Pio MarmaЇ e Franҫois Civil, una scena dove la sorella piccola impone la sua autorità ai due fratelli, dove la ragazza non ha paura di parlare agli uomini con autorità. La sfida per me stava qui: mostrare a Cédric – siccome avevo la sensazione che avesse dubbi al riguardo – che avevo qualcosa sotto il cappuccio! E poi Cédric mi ha anche parlato di questa famiglia, della relazione tra fratelli e sorella. Ed è qualcosa che mi ha subito allettato perché quando ero più giovane fantasticavo di avere fratelli più grandi che si prendessero cura di me, mi proteggessero, mi facessero da guida … mi rendessero agguerrita. E quando Cédric ha descritto i personaggi in quella scena durante il provino, il desiderio di avere la parte è cresciuto sempre di più. Volevo assolutamente essere parte di questo film. Era fatto per me! Lo volevo così tanto che sono andata all'audizione come se andassi sul ring. Ricordo di aver sconcertato i due fratelli urlando come una pescivendola, parlando delle loro grandi palle! (ride) Ma volevo davvero dare tutta me stessa, e sono uscita da lì disorientata, chiedendomi se avessi fatto centro. Non c'è niente di peggio, quando vuoi lavorare con un regista, che finire il provino dicendo a te stesso "ho dato tutto quello che potevo dare?" Mi sono dovuta spingere oltre i miei limiti e ho veramente avuto paura. Cédric mi ha chiamata una mezz'ora dopo, quando ero già a casa e mi ero ormai calmata. Quando ho visto il suo numero apparire sullo schermo, ho pensato mi avesse chiamata per dirmi: "Ascolta, sei stata brava, ma non penso che possa funzionare". Ho risposto e mi ha detto: "Bene, sei parte della famiglia, finalmente lavoreremo insieme!" Mi ha riempito di gioia perché improvvisamente ero stata accettata da un regista che ammiro e rispetto. E inoltre, stavo per acquisire ben due fratelli maggiori.

E' vero che hai iniziato a dire, ogni volta che tornavi per le riprese della stagione, "Sto tornando dai miei fratelloni"?
Sì. Sono veramente entrata nella parte! Se qualcuno mi offre un anno con due fratelli maggiori, ne approfitto il più possibile! Avevo la possibilità di rientrare immediatamente in rapporto con Pio, Franҫois e Cédric, in Borgogna, prima di iniziare le riprese, e di visitare le cantine, per entrare in relazione con il terreno e con gli altri. E c'è qualcosa di bello con Pio e Franҫois. C'era questa sorta di rapporto tra noi che ha permesso a ciascuno di avere la propria personalità e allo stesso tempo ha permesso a questi tre individui di formare una quarta entità, una quarta persona: i fratelli. Prima avevamo Cédric, che si prendeva cura di noi, e ho pensato che per lui fosse bello vederci evolvere. Perché avevamo davvero un rapporto familiare. Abbiamo avuto dei battibecchi che non erano realmente tali. Quel tipo di legame indistruttibile che si ha in famiglia. Questo penso sia quello che puoi chiamare un buon cast. Quando c'è alchimia e lavorare insieme funziona.

Come hai preparato il ruolo?
All'arrivo in Borgogna, siamo stati invitati a pranzo e a una degustazione di sette bicchieri di vini differenti (otto, secondo Cédric Klapisch)! Questo è esagerato! Sette! E così, per necessità, siamo andati al cuore della faccenda. Senza contare le visite alle cantine alle otto della mattina, dove facevamo le degustazioni, e poi le degustazioni del mezzogiorno, e poi quelle della sera! E, come a Vermillard nel film, non abbiamo sputato! (ride)

Questo conta per l'atmosfera, ma per quanto riguarda gli aspetti tecnici?
Mi ricordo che quando siamo arrivati per le riprese con Franҫois, abbiamo riso molto, perché avevamo passato l'estate a leggere libri sul vino. Avevo guardato notiziari, documentari. In più, ho delle persone nella mia vita che lavorano nell'industria del vino che mi hanno un po' insegnato. Quindi avevamo la teoria ma ci mancava la pratica! Non sapevamo cosa fare! Abbiamo imparato molto sul set riguardo alla preparazione del vino, non aprirò mai più una bottiglia nello stesso modo.  Non avevo realizzato che lavoro rappresenta. In relazione al vino, alla raccolta dei grappoli, all'invecchiamento del vino, il trattamento dei grappoli, l'alcol, lo zucchero, la conservazione. Ci sono così tanti passaggi! Lo trovo affascinante. E uno degli aspetti più belli dell'arte della recitazione è che tu puoi imparare attraverso il tuo personaggio cose che nella vita reale non potresti mai imparare. Attraverso il cinema, ho imparato a usare il fioretto, a suonare la chitarra, a fare tante cose, e anche a fare il vino! E passando un anno a fare il film, è un colpo di fortuna, perché possiamo vedere l'evoluzione del vino, tutti i passaggi, il raccolto, la cura del terreno. Abbiamo fatto un tirocinio di otto mesi!

Inoltre, il tuo partner è anche un viticoltore…
Jean- Marc Roulot. Era il migliore partner e il miglior tutor! E' così appassionato; quando parla di questo, lo rende così eccitante, e non ti resta che ascoltare! Parla in modo semplice e subito ti trasmette l'amore per il vino.

Cédric Klapisch ha voluto dare al documentario l'aspetto di un film. Si è sentito questo durante le riprese?
All'inizio non capivo quando Cédric mi ha detto, "Voglio che sia in parte un documentario". Ho pensato "Oh merda, sono finalmente riuscita a recitare per Klapisch, e farà un documentario! Ma di cosa stiamo parlando?!". Ero delusa, non avevo capito. Abbiamo adattato il progetto a quello che stava accadendo intorno a noi, invece che viceversa. E questo dall'inizio: avevamo in programma di incominciare all'inizio di settembre e, improvvisamente, alla fine di agosto, siamo dovuti andare lì per il raccolto! Eravamo totalmente dipendenti dalla natura e da quello che accadeva! Ricordo una volta in cui i veri addetti al raccolto stavano mettendo i grappoli nei cestini e, dal momento che dovevo essere io il capo e dare gli ordini, Cédric mi ha chiamato, messo davanti alla telecamera e mi ha detto: "Vai!" Sono avanzata e ho iniziato a dare ordini agli addetti al raccolto che mi hanno guardato e mi hanno detto: "Chi è questa ragazza che urla e gesticola?!" Questa è la parte documentaristica: un modo di integrare nel vero mondo. E questo rende tutto più divertente.

E quando hai schiacciato i grappoli? Come è stato?
Me l'ero sempre chiesto. Devo dire che è molto piacevole. Capisco perché Pio sia andato più a fondo di quanto non abbia fatto io. Mi sono fermata abbastanza subito perché è un lavoro fisico, devi spingere con le tue gambe. E, un altro punto a mio favore, non devono essere calpestati troppo: ero in una vera cisterna, e ci sono tempistiche da rispettare, specifiche rispetto alle cisterne. Inoltre, devi stare attento ai vapori alcolici, che possono essere pericolosi. Ma d'altra parte, è una vera terapia per i piedi!

Juliette, il personaggio che interpreti, è una giovane donna che segue i passi di suo padre. Come te. Questa somiglianza ti ha aiutato a immedesimarti nel personaggio?
Cerco sempre somiglianze che possano esistere tra il mio personaggio e me. E qui ce ne sono, lei segue i passi di suo padre, proprio come me. Ma c'è una grande differenza tra lei e me, perché suo padre è morto. Quindi non è la stessa cosa – seguire l'arte dei genitori e ascoltarli, e prendere il nome del padre mentre lui non c'è più per mantenerlo in vita. Quindi sì è una cosa che inizialmente ha avuto rilievo ma che poi è andata a perdersi. Perché è una giovane donna che deve tagliare con i legami familiari per sviluppare la sua personalità in un panorama dominato dagli uomini. Attraverso questa emancipazione ho trovato una somiglianza con Juliette.

Ti sei sentita sotto pressione tra questi uomini?
Ogni volta che ho parlato del mio personaggio con le persone della regione, ai quali ho detto che stavo interpretando una giovane donna che deve gestire l'azienda di famiglia, molti di loro mi hanno chiesto, "Gestisce lei l'amministrazione?" Io rispondevo "No, è la mia proprietà, è il mio vino!" Ho parlato con altri viticoltori come Alix de Montille, e tutti loro mi hanno detto che è complicato essere accettati. Quindi, anche per le donne talentuose, è difficile essere accettate. In più gli uomini odiano vedere le donne sul trattore!

Cédric Klapisch ha detto che ti vedeva a tuo agio sul trattore…
Ma è molto difficile guidare il trattore! E' super complicato, con venticinque pedali, è enorme, hai l'impressione che farai fuori tutti quelli che incontri sulla tua strada, è rumoroso… Inoltre, l'ho dovuto guidare durante una scena un po' triste da fare.

D'altra parte, hai avuto una scena più divertente da fare, durante la Paulèe, quando Juliette è ubriaca…
(ride) Quando bevo tanto, lo capisci perché non riesco ad articolare, e ho un serio problema con le consonanti! E anche con le vocali. Quindi, l'articolazione in generale! E tutti hanno riso molto, specialmente Cédric, che stava guardando tutto. Ma ciò che è stato forte, quando ho fatto la scena, che nel copione mancavano consonanti e vocali! Era tutto scritto! Ho pensato che non sarei mai riuscita a fare una scena del genere! Per aiutarmi, mi ricordo di aver preso una bottiglia di succo di vino e l'ho bevuta regolarmente, e ho detto "il mio cervello penserà che sia vino," e alla fine mi ha fatto venire mal di stomaco! (ride) Quindi a un certo punto ho semplicemente iniziato e ha funzionato. Ma non è stato facile.

Per Cédric Klapisch, girare un film è anche come fare un documentario sugli attori che recitano. Cosa ne pensi?
Questa è la descrizione di un grande regista. E una delle ragioni per cui volevo lavorare con lui, perché è qualcuno che prima di tutto si dedica all'esperienza umana, prima di avere pretese. Vuole raccontare una storia, vuole raccontare dei personaggi, gli aspetti della vita, le relazioni. Non c'è nessuno dei suoi film dove non vedo totale verità nei suoi personaggi o nelle loro situazioni, nei dialoghi e nei modi di fare. Vedo tutto quello che è umano e tipico della società oggi, e le complicazioni emozionali di cui tutti noi facciamo esperienza. Se non osservi nel modo in cui lui osserva, non puoi scrivere così. E questa è la qualità migliore. Possiamo vedere chiaramente quando ci sta osservando. Ci sono cose che lo fanno ridere, che lo toccano, ed è così bello essere guardati con così tanta positività, perché sai che dopo, se scrive di noi, se ne avrà la percezione. E questa è l'atmosfera durante le riprese.

Come sono andate le riprese?
All'inizio ci hanno detto: "Molte persone che occupano posizioni chiave nella troupe cambiano nel corso di otto mesi, perché le persone hanno altre riprese da fare, e ricostruire la stessa troupe per tutte le riprese è impossibile." Invece nessuno ha deciso di lasciare per un altro progetto, ed è stata sempre la stessa squadra per ogni stagione di riprese. Tutti hanno detto: "Preferisco non lavorare per due mesi per essere sicuro di poter tornare a questo film. C'era un desiderio comune di fare bene questo film. Non ci sono mai stati litigi, e l'ego del regista non si è mai imposto sulla troupe che ha lavorato bene per tutte le riprese. Da attrice gli ho potuto parlare come non avevo mai potuto fare con altri registi, e dirgli miei pareri, come ad esempio vedevo il mio personaggio. E questo è qualcosa che si è mantenuto così. E' bello perché ha creato una sorta di sfida. E' qualcosa che ha scritto per me, quindi non lo posso deludere. 

INTERVISTA A FRANÇOIS CIVIL

Che importanza hanno avuto per te i film di Cédric Klapisch prima di lavorare con lui a questo film?
Durante la mia adolescenza, prima che fossi veramente interessato al cinema o che pensassi di diventare un attore, Le péril jeune fu un cult per me e i miei amici. Il tipo di film di cui conosci a memoria tutte le battute! Dopo, divenni un grande fan della trilogia de L'appartamento spagnolo, Bambole russe e Rompicapo a New York. Mi identificai immediatamente nel personaggio di Xavier, questo giovane uomo immerso in una vita profondamente multiculturale. I film di Cédric hanno rappresentato una ventata di cinematografia moderna e vivace all'interno del mio primo percorso da cinefilo.

Quando ti ha parlato di Ritorno in Borgogna?
Ci incontrammo in un bar a fine marzo del 2015. Me ne parlò mentre il progetto era ancora in una fase embrionale. Fratelli, vino, Borgogna… ma non mi propose direttamente il ruolo, prima voleva assicurarsi che ci fosse un buon feeling tra i due fratelli e la sorella attraverso vari incontri e prove.

Quali aspetti del film e del personaggio di Jérémie hanno colto il tuo interesse?
Mio nonno è un viticoltore di Châteauneuf-du-Pape. Sono cresciuto e ho passato molte estati tra le viti e le botti, pertanto ho subito sentito miei i temi del film, in particolar modo i problemi legati all'eredità, alla condivisione e alla famiglia. Anche il legame tra i fratelli e la sorella è un tema che mi ha toccato profondamente. Trovare il posto di Jéremie tra sua sorella e suo fratello è stato l'aspetto più interessante del mio personaggio. Infine, sono stato molto fortunato a partecipare a un film dove la natura è così presente. Parlare del rapporto tra uomo e natura in un'epoca in cui la situazione ecologica è così seria mi sembra molto importante.

Girare Ritorno in Borgogna ha significato dare disponibilità per un lungo periodo di tempo. La cosa ti ha spaventato? Hai dovuto fare scelte difficili?
La cosa non mi ha spaventato per nulla. Il fatto che il film sia stato girato per un lungo periodo di tempo gli ha conferito una dimensione allettante senza precedenti. L'eccitante promessa di un'avventura umana e artistica mi ha fatto dimenticare del tutto i dettagli logistici. Per il resto, mi sono organizzato.

Come ti sei preparato per il ruolo?
Ho imparato tutto quello che potevo imparare attraverso svariate letture su cosa significhi essere un vinicoltore in Borgogna. La vita dei vinicoltori è scandita dalle stagioni e a ciascuna stagione sono legate attività ben precise. È stato importante per me imparare tutto sulle pratiche della produzione del vino, in modo da risultare credibile. Per quanto riguarda il ruolo, si sapeva che la storia si sarebbe evoluta in continuazione col passare delle riprese. Prima di iniziare non avevamo un'idea ben precisa di chi fosse Jérémie. La grande flessibilità dovuta all'arco di tempo in cui si sviluppa la storia ci ha permesso di esplorare diverse strade che hanno poi definito la sua personalità col passare del tempo. Questo metodo di lavoro è molto raro e stimolante.

Chi è Jérémie per te?
Jérémie è un personaggio che soffre. É un uomo semplice, ma ha difficoltà a esprimere ciò che pensa e a far sentire la sua voce. Viene facilmente sopraffatto dalle emozioni e, in generale, la sua stramba espressività oscura la sua eloquenza iniziale. È costantemente lacerato da pensieri contradditori. È impressionato da suo suocero, ma non condivide la sua visione del modo. Prova ammirazione per il fratello, ma prova anche molto rancore nei suoi confronti. È giovane e non è sicuro di nulla!

In questo film hai lavorato con Jean-Marc Roulot, che è sia attore sia vinicoltore. Ti sei confrontato con lui su alcuni aspetti del tuo ruolo?
Jean-Marc, oltre a essere un attore eccellente, è stato di grande aiuto durante le riprese del film. Prima di qualsiasi scena che implicasse aspetti tecnici, ci ha permesso di essere sicuri della credibilità delle nostre azioni o dei nostri dialoghi. Ha anche reso disponibili la sua vigna e il suo team di lavoratori per il film. Ma al di là del suo supporto "tecnico", è più che altro l'attore e l'uomo, dentro e fuori da set, che apprezzo.

Il film si concentra molto sul rapporto tra Juliette, Jean e Jérémie. Qual è il rapporto tra te, Ana e Pio?
Senza voler apparire pretenzioso, penso che il legame e l'armonia che siamo riusciti a costruire su questo set sia raro. Una tale naturalezza ti permette di essere immediatamente dentro al gioco. Ad ogni sessione delle riprese, vivevamo insieme, nello stesso posto. È stata come una fratellanza accelerata, con molto divertimento, molti umori diversi, molte discussioni e attività. Spero che questo legame profondo e particolare venga percepito nel film.

Ritorno in Borgogna è stato girato in parte come un documentario. Raccontaci un po' di questa esperienza.
In un periodo in cui si tende sempre di più a ridurre il numero delle giornate di ripresa per ragioni di budget, la possibilità di spalmare le riprese su un anno intero è veramente un lusso. Ciò ha infatti permesso a Cédric di seguire l'intero processo della produzione del vino al suo ritmo reale, ossia quello delle stagioni, quello della natura. Di conseguenza, eravamo lì al momento della raccolta, al momento della miscelazione, al momento della vinificazione. Ci siamo presi il tempo di osservare, di girare. Per un attore, questo tipo di immersione è molto gratificante.

Com'era l'atmosfera durante le riprese?
Un'atmosfera estremamente felice. Ho passato un anno accanto a un gruppo di persone incredibilmente talentuose, di grande umanità. La Borgogna e i suoi abitanti sono stati molto ospitali. La vitalità generale ci ha permesso di trovare un equilibrio perfetto tra lavoro e festa!

Cédric Klapisch ha un ottimo senso di osservazione. Secondo te, cosa ti ha "rubato"?
Sono, senza dubbio, la persona meno qualificata per sapere cosa Cédric possa aver "rubato" da me; al contrario, posso solo onorare il suo senso di osservazione. È stato osservandoci fuori dal set che a Cédric sono costantemente venute nuove idee, nuove direzioni da seguire. Abbiamo costruito il personaggio di Jérémie ascoltandoci a vicenda e adattando.

C'è una scena – una specie di gara di grida – che secondo Cédric è stata particolarmente difficile da girare a causa del ritmo del dialogo. È stato così?
Quando ho letto la scena, che rappresenta la chiave di volta nel rapporto tra Jérémie e suo suocero, ho provato sentimenti contrastanti. Ero eccitato, poiché la trovavo perfetta, ma anche preoccupato che non sarei riuscito a renderla al meglio! Il principio era quello di un anti-monologo. Il mio personaggio ha molte cose da dire, ma nessuna gli esce particolarmente bene.  Era necessario trovare la giusta mentalità, in modo da non risultare meccanico e restare invece naturale. Un sacco di esitazioni per me e un sacco di tagli per Cédric!

Come ha cambiato questo film la tua visione del vino e dell'arte di crearlo?
La gente con passione mi colpisce. Tutti i vinicoltori che ho incontrato durante l'anno di riprese sono così. Ho scoperto un mondo pieno di ricchezza, diversità e immensa bellezza. Un rapporto con la natura rigoroso e misurato. Un rapporto diverso con il tempo, molto più sano di quello a cui sono abituato.

Anche tu, come Cédric, vedi un parallelo tra l'arte di creare vino e l'arte di fare film?
È vero che si possono trovare molte analogie tra queste due arti. Noi raccogliamo immagini, creiamo il vino nella stanza del montaggio e lo imbottigliamo nella sala cinematografica! Si tratta sempre di persone che, tramite il lavoro di squadra e con un po' di fortuna, cercano di creare il miglior prodotto possibile.

Qual è il ricordo che più di ogni altro ti porterai dietro delle riprese di questo film?
Dopo l'ultima inquadratura durante la prima estate di riprese, a fine giornata, il sole accarezzava le viti delle colline di Meursault. La truppa del suono ha tirato fuori uno stereo, il team tecnico ha portato bibite e cibo e tutti si sono messi a ballare… Volevamo già che cominciasse la prossima sessione di riprese.

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