El Abrazo de la Serpiente (2015)

El Abrazo de la Serpiente
Locandina El Abrazo de la Serpiente
El Abrazo de la Serpiente è un film del 2015 prodotto in Colombia e Venezuela, di genere Avventura diretto da Ciro Guerra. Il film dura circa 125 minuti. Il film si ispira ai diari dei primi esploratori dell'Amazzonia colombiana: l'etnologo tedesco Theodor Koch-Grunberg e il botanico americano Richard Evans Schultes. Il cast include Jan Bijvoet, Brionne Davis, Antonio Bolivar, Miguel Dionisio Ramos, Nilbio Torres. In Italia, esce al cinema giovedì 4 Agosto 2016.

Karamakate, un potente sciamano dell'Amazzonia, ultimo sopravvissuto del suo popolo, vive nella giungla più profonda, in isolamento volontario. Decenni di solitudine hanno fatto di lui un chullachaqui, il guscio vuoto di un essere umano, privo di ricordi e di emozioni. La sua vita svuotata è sconvolta dall'arrivo di Evan, un etnobotanico americano alla ricerca della yakruna, una pianta sacra dai grandi poteri, in grado di insegnare a sognare. Insieme si imbarcano in un viaggio nel cuore dell'Amazzonia, durante il quale passato, presente e futuro si intrecciano, e durante il quale Karamakate lentamente inizia a riconquistare i suoi ricordi perduti. 

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 4 Agosto 2016
Uscita in Italia: 04/08/2016
Prima Uscita: 15/05/2015 (Cannes Film Festival)
Genere: Avventura
Nazione: Colombia, Venezuela, Argentina - 2015
Durata: 125 minuti
Formato: Colore
Note:
Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2015 nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, dove ottenne il premio Art Cinéma.
Soggetto:
Il film si ispira ai diari dei primi esploratori dell'Amazzonia colombiana: l'etnologo tedesco Theodor Koch-Grunberg e il botanico americano Richard Evans Schultes.
Conosciuto anche come: Embrace of the Serpent

Cast e personaggi

Regia: Ciro Guerra

Cast Artistico e Ruoli:

Immagini

[Schermo Intero]

El abrazo de la serpiente racconta l'epica storia del primo contatto, dell'incontro, dell'avvicinamento, del tradimento e, dell'eterna amicizia tra Karamakate, uno sciamano dell'Amazzonia, ultimo sopravvissuto del suo popolo, e due scienziati che, nel corso di 40 anni, diventano i primi uomini a viaggiare nell'Amazzonia nord-occidentale alla ricerca di saperi ancestrali.

NOTE DI REGIA

Ogni volta che osservavo la mappa del mio Paese, venivo sopraffatto da una grande sensazione di incertezza. Per metà era un territorio sconosciuto, un mare verde di cui non sapevo niente. L'Amazzonia, una terra misteriosa che assurdamente riduciamo a facili concetti. Cocaina, droga, indigeni, fi umi, guerra. Non c'è davvero nient'altro? Non ci sono una cultura, una storia? Non c'è un'anima superiore? Gli esploratori mi hanno insegnato che non è così. Uomini che hanno lasciato tutto, rischiato tutto per raccontarci un mondo che non potevamo neanche immaginare. Sono loro i primi ad essere entrati in contatto, durante uno dei più feroci olocausti che si siano mai visti. Può l'uomo, attraverso l'arte e la scienza, superare la brutalità? Alcuni l'hanno fatto. Gli esploratori hanno raccontato la loro storia. Gli indigeni no. Così è. Una terra grande quanto un continente, ancora da raccontare. Mai vista nel nostro cinema. Oggi l'Amazzonia è perduta. Al cinema può rivivere.

Theodor Koch-Grünberg

Nel 1907 Theodor Koch-Grunberg scrisse nel suo diario: "In questo momento, per me non è possibile sapere, caro lettore, se la giungla infi nita abbia iniziato in me il processo che ha portato a una completa e irrimediabile follia tanti altri che si sono avventurati in queste terre. Se è così, posso solo scusarmi e chiederti un po' di comprensione, poiché ciò che ho visto in quelle ore incantate è stato tale che mi sembra impossibile descriverlo con una lingua che consenta agli altri di capirne la bellezza e lo splendore; so solo che, come tutti coloro che si sono tolti lo spesso velo che li rendeva ciechi, quando ho ripreso i sensi, ero diventato un altro uomo."

AMAZZONIA

Molti anni dopo, il regista Ciro Guerra e la sua troupe sono diventati un altro genere di esploratori e hanno portato le loro macchine da presa nel profondo della giungla per riscoprire una parte di quell'Amazzonia sconosciuta. El abrazo de la serpiente, girato nel corso di sette settimane nelle giungle di Vaupés, è il primo lungometraggio di fi nzione ad essere stato realizzato nell'Amazzonia colombiana da oltre trent'anni a questa parte. È anche il primo fi lm colombiano ad avere come protagonista un indigeno e ad essere raccontato dal suo punto di vista. Ma al di là dell'Amazzonia che occupa diversi stati del Paese e che si spinge ben oltre i suoi confi ni, rifugio di centinaia di comunità indigene, dei loro costumi e delle loro lingue, molte delle quali risultano ormai perdute – questa è anche una storia di amicizia, lealtà e tradimento. È raccontata col prezioso aiuto delle grandi star internazionali Jan Bijvoet (Borgman) e Brionne Davis, dei colombiani Antonio Bolívar, Nilbio Torres e Miguel Dionisio Ramos, e anche di dozzine di rappresentanti delle diverse tribù che abitano questa terra remota, tanto sconosciuta per la grande maggioranza dei colombiani e tanto ambita dagli stranieri. L'obiettivo della troupe era di avvicinare le comunità dei nativi e di costruire con loro un rapporto di mutua conoscenza e rispetto, mantenendo sempre la trasparenza in ogni trattativa e ricordando sempre che questa è la loro terra. La sceneggiatura è stata scritta in larga parte da Ciro Guerra nel corso di quattro anni, insieme al co-sceneggiatore Jacques Toulemonde, che si è unito a lui per le ultime stesure, dando una mano a far sì che prendesse forma un racconto non-occidentale destinato a pubblici abituati a uno stile narrativo occidentale. Vale la pena notare che, tra i pochissimi fi lm girati in Amazzonia, quasi tutti sono raccontati dal punto di vista dell'esploratore e che gli indigeni dell'Amazzonia sono spesso considerati dei selvaggi primitivi. È stato un set multirazziale, multiculturale e multilingue: oltre ai protagonisti belga e americano, nella troupe c'erano persone del Perù, del Venezuela, del Messico e colombiani di Bogotá, Cali, Santa Marta e Boyacá, ma anche indigeni delle tribù Ocaina, Huitoto, Tikuna, Cubeo, Yurutí, Tukano, Siriano, Karapano e Desano, tutti nativi di Vaupés. L'esuberante paesaggio dell'Amazzonia colombiana è stato una sorpresa ma anche una minaccia per la troupe. Il fi lm è stato girato in una parte sconosciuta e mai vista dell'Amazzonia, lo stesso luogo in cui gli esploratori i cui diari hanno ispirato il soggetto (Grünberg e Schultes) trovarono una straordinaria ricchezza umana e culturale. "Per raccontare questa storia, abbiamo messo in movimento quasi 8.000 chili di aerei cargo, sembrava che stessimo viaggiando indietro nel tempo di decenni, fi no all'epoca che volevamo rappresentare. Ci siamo spostati in canoe, zattere e aerei vecchi di decine d'anni (i DC-3), ma anche con slittini, barche, motociclette, risciò, camion, autoribaltabili, furgoni e pick-up. Senza contare la scalata delle montagne Mavecure, una ripida salita con un dislivello di 30 metri su una roccia che diventava scivolosa come il sapone quando veniva a contatto con l'acqua", dice la produttrice Cristina Gallego. Al di là del sostegno delle comunità indigene, di membri della Protezione Civile e di un'infermiera, la troupe ha goduto della protezione speciale di un "payé", uno sciamano delle tribù locali che l'ha accompagnata e che ha fatto ogni genere di cerimonia per chiedere l'aiuto della giungla nel tenere lontane le malattie, gli animali e il brutto tempo.

GLOSSARIO AMAZZONICO

AYUMPARI: Saluto cohiuano. Si traduce con "presente".
CAAPI: Insidiosa pianta rampicante dai grandi poteri allucinogeni. Viene preparata mischiando anche altre piante per accrescerne gli effetti.
CABOCLO: Nome dato agli indigeni "acculturati" che lavorano per i bianchi. La traduzione letterale della parola è "traditore."
CAUCHERO: Nome dato ai coloni che si dedicavano allo sfruttamento della gomma amazzonica.
CHIRICASPI: Pianta medicinale e allucinogena, usata occasionalmente dagli sciamani e dai payés dell'Amazzonia.
CHORRERA: Centro di raccolta della gomma nell'Amazzonia colombiana. Ceduta dal governo colombiano ai baroni della gomma all'inizio del Ventesimo secolo, era il luogo in cui i caucheros commisero i crimini più atroci ai danni degli indigeni. Fu anche saltuariamente usata come missione dei Cappuccini e come caserma militare durante la guerra col Perù; in seguito, per decenni rimase abbandonata. Oggi è un centro per la memoria dell'olocausto della gomma.
CHULLACHAQUI: Figura mitologica dell'Amazzonia. Copia svuotata di un essere umano che vaga per la giungla in attesa di qualcuno da ingannare. Ogni essere umano del mondo ha un chullachaqui: l'aspetto esteriore è identico ma all'interno è completamente vuoto.
COCA: Pianta sacra degli indigeni nativi del Sud e Centro America. Apprezzata sin dall'antichità per la sua capacità di alleviare la fame e la fatica, ma anche per le sue proprietà spirituali.
COHIUANO: Tribù estinta dell'Amazzonia, sterminata dai baroni della gomma.
KASCHIRÍ: Liquore fermentato di mandioca.
MALOCA: Larga e lunga capanna comune, tipica delle comunità amazzoniche.
MAMBE: Misto di foglie di coca, ridotta a polvere fi nissima, e ceneri di foglie di yarumo, una pianta che attiva e potenzia le proprietà energetiche e nutritive delle foglie di coca.
PAYÉ: Guida spirituale e leader religioso delle comunità amazzoniche; custode della tradizione ancestrale, scienziato e medico esperto di piante.
SIRINGUERO: Nome dato ai nativi e ai mestizos resi schiavi dai baroni della gomma, costretti a lavorare nelle piantagioni di gomma, estraendola dagli alberi, in condizioni disumane, per tutta la vita.
VIRAKOCHA: Divinità indigena dai grandi poteri. Alcune comunità amazzoniche usavano questo nome per gli invasori europei.
VIROLA: Arbusto della giungla la cui corteccia è ricca di alcaloidi allucinogeni. Usata frequentemente in una mistura col caapi per produrre visioni del mondo spirituale.
YAKRUNA: Pianta rampicante allucinogena che infesta l'albero della gomma. La linfa degli alberi su cui cresce è di eccezionale purezza.
YARUMO: Grande albero le cui foglie hanno proprietà medicinali.

INTERVISTA A CIRO GUERRA

Questa produzione ha imposto al regista sfi de che probabilmente nessun altro suo fi lm potrà eguagliare; sotto il profilo dei rischi e delle richieste, riconosce di essersi spinto più in là che poteva, ci sono stati molti momenti in cui la resa sembrava essere l'unica possibilità, non solo dal punto di vista delle difficoltà finanziarie e delle riprese, ma anche da quello di dover affrontare il mistero che ha incontrato man mano che si spingeva nel folto della giungla amazzonica. "Terminata la prima settimana di riprese, sono stato investito da una grave preoccupazione", scrive in un diario, simile a quello degli esploratori i cui racconti hanno ispirato il film. "Le complicazioni erano troppo serie, il piano di produzione troppo serrato. Mi è parso evidente, cristallino, che finire il film fosse impossibile. Avevamo sognato troppo in grande, avevamo puntato troppo in alto. Eravamo stati colpevolmente ottimisti, gli dei e la giungla stavano per punirci. Di fronte a questa evidenza, come il marinaio che si rende conto per primo che la nave sta affondando, mi sono seduto e preparato all'inevitabile. Ma a quel punto mi sono reso conto che stava per accadere un miracolo."

Come nasce questa storia?
Nasce dal mio interesse personale di imparare qualcosa sul mondo dell'Amazzonia colombiana, che occupa metà del Paese e che, tuttavia, resta nascosta e sconosciuta, anche se ho vissuto in Colombia tutta la mia vita. Sento che abbiamo voltato le spalle a questa conoscenza e a questo modo di capire il mondo. È molto sottovalutata, e tuttavia assolutamente fondamentale. Ma quando cominci a studiarla e a fare ricerche, lo fai attraverso gli occhi degli esploratori, che sono sempre europei o nord-americani. Quando sono arrivati, sono stati loro a spiegarci il
nostro Paese. Volevo raccontare una storia su questi incontri, ma da una prospettiva nuova, in cui il protagonista non è, come sempre, l'uomo bianco, bensì l'indigeno. Questo cambia tutta la prospettiva e la rinnova. Volevamo essere in grado di raccontare questa storia in modo che fosse fedele alla loro esperienza ma che potesse anche essere comprensibile a chiunque altro sul pianeta.

La storia viene raccontata in due diversi momenti, a partire dai diari dei due esploratori che non si sono mai incontrati. Com'è stata la fase di scrittura e come hai trovato il percorso narrativo per raccontare questa storia?
C'è un'idea, in molti testi che esplorano il mondo degli indigeni, che parla di un differente concetto
del tempo. Il tempo, per loro, non è una linea come per noi occidentali, bensì una serie di universi multipli che coesistono. Questo concetto viene defi nito "tempo senza tempo" o "spazio senza spazio". Ho pensato che si legasse alle storie degli esploratori, che hanno scritto di come uno di loro fosse giunto in Amazzonia seguendo le orme di un altro esploratore che ci era arrivato prima; entrato in contatto con la stessa tribù di indigeni, scoprì che l'esploratore precedente era diventato un mito. Per i nativi, era sempre lo stesso uomo, lo stesso spirito che tornava a far loro visita. Questa idea di un'unica vita, di un'unica esperienza che viveva attraverso i corpi di uomini diversi, mi ha affascinato e ho pensato che sarebbe stata un ottimo punto di partenza per la sceneggiatura. Ci forniva una prospettiva sul modo di pensare degli indigeni ma si legava anche all'idea dello spettatore che poteva comprendere questi uomini provenienti dal nostro mondo, e attraverso di loro avremmo potuto iniziare lentamente a vedere la visione del mondo di Karamakate.

Con tutto quello che è successo, che cosa pensi della relazione con le comunità indigene e di come hanno reagito alla produzione del film?
Le comunità indigene sono state molto aperte ed estremamente collaborative. Le genti dell'Amazzonia sono molto calorose, simpatiche, hanno un gran cuore. Ovviamente all'inizio sono caute, cercano di capire quali siano le tue vere intenzioni perché, per tanto tempo, la gente che entrava in contatto con loro lo faceva per depredarle e violarle. Ma quando capiscono che non sei una minaccia, si dimostrano molto entusiaste e noi siamo stati molto felici di poter lavorare insieme a loro. Il nostro obiettivo era di salvare la memoria di un'Amazzonia che non esiste più, che non è più come prima. Spero che questo fi lm saprà creare questa immagine nella memoria collettiva perché personaggi come Karamakate, appartenente ad una stirpe di saggi sciamani guerrieri, sono ormai estinti. L'indigeno moderno è un'altra cosa, molto sapere è rimasto ma la gran parte è ormai perduta, tante lingue e culture. Questo sapere è stato trasmesso attraverso la tradizione orale, non è mai stato scritto e, secondo la mia esperienza personale, cercare di avvicinarsi ad esso è stato un po' umiliante, perché non è una cosa che puoi cercare di comprendere in poco tempo come si fa a scuola o all'università; ha a che fare con la vita, le generazioni, i cicli della natura: è una gigantesca parete di conoscenza che puoi solo ammirare e magari cercare di scalfi re in superficie. L'unico modo per impararla è di viverla, viverla per tanti, tanti anni. Possiamo solo sperare che questo fi lm accenda un po' di curiosità negli spettatori, un desiderio di imparare, di rispettare e proteggere questo sapere che, secondo me, è preziosissimo per il mondo moderno. Non è questione di folklore o di antiche culture bensì di una saggezza che risponde a tante domande della gente di oggi, da come trovare un equilibrio con la natura, facendo l'uso migliore delle sue risorse senza distruggerle, a come trovare l'armonia non solo tra l'uomo e la natura ma anche tra i tanti modi esistenti di essere uomini. Trovare questo equilibrio è un modo per raggiungere la felicità, una felicità che gli attuali sistemi politici e sociali non sono in grado di offrire. Questa fase di ricerca e conoscenza di queste culture ha cambiato, in qualche modo, la tua idea del mondo?
Assolutamente. Adesso sono una persona diversa da quella che ero prima che iniziasse questo processo. Penso che tutte le persone che hanno lavorato a questo fi lm si sentano così. Impari a nuotare in questa gigantesca corrente e ogni giorno ti regala cose nuove, nuove visioni. Abbiamo visto che c'è del sapere in ogni cosa, nella roccia e nell'albero, nell'insetto e nel vento, e abbiamo imparato a trovare la felicità in tutto ciò. È un cambiamento di prospettiva. È difficile, per noi che siamo nati e cresciuti nel sistema capitalista, cambiare le nostre vite. Ma ci siamo avvicinati ad una diversa forma di esistenza, e sapere che non c'è un solo modo di essere umani è stato confortante, e scoprire la bellezza nell'altro, imparare a rispettarla, è altrettanto importante.

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