Locandina Garde alternée 2017

Un marito a meta' (2017)

Garde alternée
Locandina Un marito a meta'
Un marito a meta' (Garde alternée) è un film del 2017 prodotto in Francia, di genere Commedia diretto da Alexandra Leclère. Il cast include Didier Bourdon, Valérie Bonneton, Isabelle Carré, Hélène Vincent, Laurent Stocker, Michel Vuillermoz. In Italia, esce al cinema giovedì 30 Agosto 2018 distribuito da Officine Ubu. Al Box Office italiano ha incassato circa 65057 euro.

Sandrine, sposata da 15 anni e con due figli, scopre che il marito Jean ha una relazione con un'altra donna. Superato lo shock iniziale, Sandrine decide di incontrare la rivale Virginie e le propone un insolito accordo: condividere il marito a settimane alterne, una sorta di affidamento congiunto. Inaspettatamente Virginie accetta e le due donne impongono a Jean un bizzarro triangolo amoroso e un nuovo stile di vita. Ma quello che per Jean sembra un sogno che diventa realtà, si rivelerà ben presto un incubo carico di imprevedibili conseguenze!

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 30 Agosto 2018
Uscita in Italia: 30/08/2018
Prima Uscita: 20/12/2017 (Francia)
Genere: Commedia
Nazione: Francia - 2017
Durata: N.d.
Formato: Colore
Produzione: Pan Européenne, France 2 Cinéma (co-produzione), Canal+ (partecipazione), OCS (partecipazione), France Télévisions (partecipazione), Cofimage 28 (in associazione con), La Banque Postale Image 11 (in associazione con), Sofica Manon 8 (in associazione con), A Plus Image 8 (in associazione con), Palatine Etoile 15 (in associazione con), Indéfilms 6 (in associazione con)
Distribuzione: Officine Ubu
Box Office: Italia: 65.057 euro
Conosciuto anche come: Ménage à trois - Zum Fremdgehen verführt [Germania], Pól na pól [Polonia], Semana Sim, Semana Nao [Portogallo], Velayet Meselesi [Turhia], Joint Custody [USA]

INTERVISTA AD ALEXANDRA LECLÈRE

Le sceneggiature di tre dei tuoi film (Les sœurs fâchées, Le prix à payer e Maman) sono state ispirate da eventi realmente vissuti. Quali sono, se ci sono, gli eventi provenienti dalla vita reale che hanno ispirato Un marito a metà?
Farsi trovare in flagrante mentre compi un adulterio per colpa di un sms è diventata ormai una situazione molto frequente e ascoltiamo tutti i giorni delle storie analoghe. Qualche anno fa, ho vissuto una storia d'amore passionale con un uomo sposato, fino a che la moglie non ha scoperto la nostra storia grazie a compromettenti messaggini. Ha iniziato a negarsi dicendo di essere malato e dopo tre settimane mi ha detto che era meglio terminare la relazione. Un grande classico insomma.
Eppure io amavo talmente tanto quell'uomo da essere pronta a tutto, tranne che a non vederlo mai più. In un ultimo tentativo disperato, gli ho proposto di chiedere a sua moglie se era disposta a condividere il suo uomo e lasciarlo a me ogni due settimane per sette giorni.

E quale è stata la risposta?
Ovviamente ha rifiutato. Non aveva intenzione di dividersi a metà! É ripartito con i suoi bagagli. Qualche anno più tardi, ho ripreso in mano questo aneddoto perché ero alla ricerca di un'idea per un nuovo lungometraggio. Sentivo che avevo tra le mani una trama fantastica che potevo sviluppare come una commedia sulla vita di coppia. Tutto il resto è frutto della mia immaginazione.

Il film può essere visto in controluce come una critica feroce alla vita di coppia?
Potrebbe essere considerato un film "feroce", ma non vuole essere una critica. Molte persone riscontrano molti vantaggi all'interno del matrimonio. Durante la mia vita ho vissuto la vita in coppia 3 volte per 7 anni e posso dire che fino a che tutto funziona come dovrebbe con il tuo compagno di vita, è una delle sensazioni più magnifiche che si possano provare.

Ti piacerebbe provare nuovamente la vita di coppia?
Da qualche anno mi dedico all'esplorazione del mondo del nubilato, con serenità e dolcezza. Però ammetto che adoro gli uomini. Quindi perché no? A volte sogno di avere uno scrittore al mio fianco. Intelligente, profondo, simpatico, seducente. In breve, una persona facile da incontrare, no?

Nel film è la moglie ufficiale, Sandrine, che propone all'amante la custodia congiunta del marito. Come mai questa scelta?
Ho fatto questa scelta perché, contrariamente all'aneddoto della mia vita privata che ho raccontato poco fa, era necessario che l'uomo accettasse, o almeno che non avesse possibilità di scelta. In caso contrario non ci sarebbe stato il film. La proposta quindi poteva venire solo da parte della moglie, la compagna "legittima". Più che una proposta al marito, quella di Sandrine può essere vista come un'ingiunzione, una diffida.  Sandrine propone con insistenza l'accordo all'amante, ma nei confronti del marito è una vera e propria imposizione della nuova situazione.

Durante tutta la prima parte del film, lo spettatore mette in dubbio la sincerità di questa proposta incoerente che Sandrine fa al marito e all'amante.
Si tratta di una situazione volutamente ambigua. Per l'interesse dello spettatore, desideravo che aleggiasse il dubbio circa le sue vere intenzioni, fino a che non scopriamo che in realtà si tratta di un piano elaborato appositamente per cercare di riprendere il marito infedele. Si tratta come ho detto di un tentativo, dato che è lei stessa a mettersi in pericolo, ma non ha la certezza di quale sarà il risultato. Sandrine tenta il tutto per tutto, per amore.

Questa donna che difende con i denti e con le unghie la sua relazione di coppia si comporta da perfetta dittatrice ma nonostante tutto l'ha resa un personaggio accattivante. Come ci è riuscita?
Il soggetto alla base del film può sembrare scorretto agli occhi del pubblico che lo vede per la prima volta, ma alla fine capita che ci affezioniamo davvero ai personaggi malgrado tutto. Amo molto il personaggio di Sandrine, soprattutto gli aspetti che emergono quando prende coscienza che il suo piano le si sta rivoltando contro e porta allo scoperto le sue debolezze più profonde. Quando Sandrine fa nuovamente l'amore con suo marito all'insaputa della rivale, è sinceramente convinta di essere riuscita nel suo intento e di avere vinto la partita. Ne è convinta anche quando pensa di infliggere il colpo di grazia alla rivale durante la serata che ha organizzato per il suo anniversario di nozze. Penso che la sua ingenuità la renda davvero imprevedibile a volte.

Questa scena, allo stesso tempo divertente e crudele, è uno dei punti cardine e meglio riusciti del film. Come è stata realizzata?
Era necessario che questa scena sconvolgesse il racconto e lo facesse virare in un'altra direzione. In un primo momento il personaggio di Isabelle Carré appare sottoposto a un'umiliazione pubblica in piena regola, solo in un secondo tempo trova il modo per rimettersi in carreggiata e in luce agli occhi di Jean e Sandrine. Dopo aver tolto il pigiama del marito e indossato la guêpière della sposa, si avvicina alla rivale e si rivolge a lei dicendo: "Non sono una donna gelosa." L'abito da sposa, il pigiama, la guêpière… mi piace il simbolismo.

Tutti i tuoi film precedenti contenevano già una certa dose di "mai visto prima". Ti piace sorprendere il pubblico, in Francia sono pochi gli autori di commedie che osano fare questa scelta.
Amo i contrasti, fare il bello e il cattivo tempo. Provocare e prendere in contropiede le persone fa parte della mia natura più profonda.

Il film è ricco di soprese, colpi di scena, ripensamenti e capovolgimenti che si moltiplicano senza sosta fino all'epilogo, altra parte fondamentale del racconto. Come è nata l'idea di questo finale?
Non appena ho proposto a grandi linee la trama del film al mio produttore, mi ha detto "Adoro l'idea, ma come finisce?". Ho passato un mese alla ricerca della giusta conclusione. Non potevo lasciare che si trattasse di un finale banale come Jean che torna con sua moglie o Jean che resta con l'amante. Il gioco non valeva la candela. Dentro di me sapevo bene come volevo che finisse:  volevo vederli tutti e tre insieme, ma senza che vivessero insieme. È allora che è arrivata l'idea della malattia. Nel momento in cui Jean decide di lasciarle entrambe e di andare a vivere da solo, si ritrova dipendente dalla due donne della sua vita.
Ho raccontato l'idea al mio produttore e lui mi ha detto "L'adoro!". Da quel momento ho iniziato a sviluppare tutta la storia.

Un finale per alcuni aspetti crudele e sarcastico, degno di Bertrand Blier!
Credo di avere un mio stile distintivo, ma ammetto di adorare Bertrand Blier. Mi piacerebbe molto scrivere una sceneggiatura a quattro mani con lui.

Il film vuole dare qualche messaggio allo spettatore?
Niente affatto. Credo che non tutto debba essere giustificato o per forza intellettualizzato. Un marito a metà è nato semplicemente dal piacere che io provo nello scrivere un'opera contemporanea che ruota intorno a una situazione sorprendente e senza precedenti. O meglio, suggerisco che è possibile trovare delle soluzioni alternative laddove l'infedeltà riesce a insinuarsi all'interno di una coppia.

Per contro, ammetti invece che ti diverte sempre moltissimo provocare?
Direi piuttosto "far scrocchiare la schiena", ma non si tratta di una decisione prestabilita o di una mia precisa volontà. Fa parte della mia natura. La cosa che amo di più è far ridere. Un marito a metà è una variazione sull'infedeltà e le sue conseguenze che spero farà divertire il pubblico almeno tanto quanto mi sono divertita io a scriverla e a realizzarla assieme a degli attori favolosi.

Pensi che ci sia un tema comune che lega i tuoi cinque film?
Mi sono resa conto che tutti si sviluppano attorno a una situazione di coercizione e costrizione: una donna costretta a sopportare la presenza di una sorella (Les sœurs fâchées); una madre presa in ostaggio dai due figli e che la obbligano ad amarli (Maman); una donna che viene intimata ad andare a letto con il marito se vuole mantenere il suo tenore di vita (Le prix à payer); dei facoltosi borghesi costretti dalla legge ad accogliere dei senza tetto (Benvenuti… ma non troppo). Per una come me che non sopporta in nessun modo essere obbligata a fare qualsiasi sorta di cosa, devo ammettere che è veramente singolare…

In che modo hai costruito il personaggio di Jean?
E' un uomo come tanti che si innamora di un'altra donna. La mia visione di Jean è quella di un uomo a prima vista normale, un tipo potenzialmente affascinante, nient'affatto un donnaiolo o il prototipo di uomo che salta da una ragazza all'altra portandosele a letto tutte. Jean è un professore di letteratura alla Sorbona ed è l'amore per i libri che favorisce questo suo avvicinamento alla deliziosa libraria interpretata da Isabelle Carré. Il film inizia con il loro incontro in libreria. Per ripararsi dalla pioggia torrenziale, Jean entra nella libreria. Ed ecco il colpo di fulmine! Successivamente veniamo riportati al presente, nove mesi più tardi rispetto al fatidico incontro, nel momento in cui la moglie di Jean scopre la loro relazione grazie ai messaggini incriminati. Ho scelto di far partire il film dal suo momento più importante.

C'è in Jean una forma di vigliaccheria?
Non è un codardo, ma nemmeno un bastardo. Il suo essere colpevole lo porta a una forma di sottomissione: si fa malmenare, lascia che decidano per lui e si piega alla loro volontà. Malgrado gli inconvenienti e le costrizioni a cui va incontro, si fa andare bene tutto e questa è una situazione che gli fa comodo. Dopo un iniziale momento di spaesamento, si abitua a tutto. 

Si tratta di una situazione in effetti per lui conveniente, solo che alla lunga diventa svilente…
Dal momento in cui la moglie lo autorizza ad andare a vivere assieme all'amante, si trova totalmente destabilizzato. Credo che questo episodio illustri in modo chiaro l'importanza della menzogna come forza motrice per gli amori clandestini.

L'aspetto interessante è che nello stesso momento, il sotterfugio messo in atto da Sandrine la porta a essere nuovamente desiderabile ai suoi occhi.  
Sì, si rimette in gioco, si assume la sua parte di responsabilità per aver in parte causato del disamore nel marito e salva così in parte la loro coppia. Sandrine si rimette in pista, pronta ad affrontare la vita spinta da un desiderio rinnovato.

Avevi già diretto Didier Bourdon per il film Benvenuti… ma non troppo. Che tipo di attore è?
Didier è camaleontico, può fare qualsiasi ruolo, inoltre è divertentissimo, ma sa anche essere serio e affascinante. Recita con assoluta libertà, e lo trovo decisamente sexy.

Nel film ci sono numerose scene piccanti, anche piuttosto esplicite, sebbene girate sempre con quel tocco comico che contraddistingue il film. Come è stato per gli attori girare queste scene?
Tutto è stato fatto in modo da mettere gli attori a loro agio. Nessuno compare nudo in scena. In fin dei conti credo che per loro sia stato più divertente che imbarazzante.

Spesso si pensa che una scena di sesso sia più facile da scrivere che da mettere in scena. E' stato così in questo caso?
Assolutamente sì. Non c'è niente di più facile che scrivere una scena. Il difficile arriva quando è il momento di girare, lì sorgono mille interrogativi, bisogna pensare a delle posizioni assurde, che siano divertenti, che suggeriscano ma senza mostrare troppo. Il resto è tutto un lavoro di contesto. La scena più delicata da girare è stata quella in cui Valérie appare interamente nuda coperta da petali di rosa. L'attrice si è preparata assieme al costumista e poi abbiamo girato con una troupe ridotta per non crearle imbarazzi. Durante la scena della fontana, in piazza Saint-Sulpice soffiava un vento gelido, faceva davvero freddo, ma è stata molto coraggiosa. Ci siamo scaldati tutti insieme con qualche goccia di champagne.  Nelle scene in cui Isabelle scompare sotto le coperte al suono della sveglia, al contrario, ha sofferto molto il caldo.

Hélène Vincent interpreta la madre di Valérie Bonneton. Un personaggio incredibile, è lei che la aiuta a vedere la situazione in cui si trova da un punto di vista differente e con più filosofia.
La cosa più semplice era che Sandrine si confidasse con la sua migliore amica. E' attraverso il personaggio della madre, invece, che mi è stato possibile inserire nel film il punto di vista di un'altra generazione riguardo al tema dell'infedeltà. Il suo essere distante, il suo fatalismo illuminato mi incantano, come ad esempio quando dice: "Secondo le statistiche, due coppie su tre conoscono l'infedeltà… Personalmente credo che la terza stia mentendo!"

Un elemento fondamentale per la riuscita di una commedia è il ritmo. Come hai lavorato su questo aspetto?
Tutto ha inizio nella fase in cui scrivi i dialoghi. Dopo aver scritto, leggo ad alta voce fino a che non imparo le battute quasi a memoria e le recito in modi differenti fino a dare loro un senso e una musica che mi soddisfano a pieno. Questo accade per le battute di ogni personaggio. Successivamente, la scelta degli attori è una fase chiaramente determinante. Avevo già lavorato con Didier Bourdon, Valérie Bonneton, Michel Vuillermoz e Jackie Berroyer. Isabelle Carré, Laurent Stocker e Hélène Vincent sono bravissimi, non vedevo l'ora di lavorare con loro. Mi piace pensare che con i miei film sto formando di volta in volta una piccola famiglia del cinema.

E durante le riprese come hai lavorato?
Il mio metodo è il silenzio. Non voglio sfinire lo spettatore con una rappresentazione troppo meccanica. Se il ritmo diventa frenetico, non si riesce a seguire la trama. Il ritmo è un elemento fatto di contrasti.

A eccezione del film Maman, altri tuoi tre film hanno totalizzato più di un milione di spettatori (1,5 Le prix à payer, 1,5 Les sœurs fâchées, 1,2 Benvenuti… ma non troppo). E' stata premiata la vostra audacia narrativa?
Vorrei che fosse così, anche se a volte sono stata accusata dalla stampa di misoginia o di essere troppo volgare. Credo che la volgarità sia altrove, non nei miei film. Ma questo è un prezzo che sono chiaramente disposta a pagare. Inoltre, adoro il mio film Maman, che in effetti è stato apprezzato da un numero inferiore di pubblico, ma ciò non lo rende un film meno interessante.

Quali sono i tuoi gusti cinematografici?
Passo da un genere all'altro con grande flessibilità: amo il cinema di Bergman e allo stesso tempo film come La cena dei cretini. Dipende dal momento. A volte ho voglia di ridere, a volta ho voglia di riflettere. L'importante è che il film che decido di vedere mantenga la sua promessa.

INTERVISTA A DIDIER BOURDON

Che impressione hai avuto quando hai letto per la prima volta il copione?
Avevo già avuto il piacere di lavorare sotto la sua direzione per il film Benvenuti… ma non troppo e in questo copione ho ritrovato i toni piacevolmente corrosivi, provocatori e caratteristici dello stile di  Alexandra. I suoi copioni non sono mai ingessati e prevedibili. Il suo proposito è sempre quello di essere sincera. Mi è venuto spontaneo quindi chiederle se lei stessa aveva mai vissuto una situazione di questo tipo.

Praticamente l'hai smascherata! Qual è stata la sua reazione?
Un po' turbata all'inizio. Mi piace molto il suo modo di partire dall'osservazione del mondo reale per trovare degli spunti comici che possano spingersi fino alla satira. Credo che grazie a questo a film Alexandra Leclère confermi il posto che occupa all'interno del panorama del cinema francese: domina un universo tale che fa di lei un'autrice a tutti gli effetti, in più è dotata di uno spiccato senso per la commedia popolare, elemento confermato dal milione di incassi dei precedenti film. Non siamo molto lontani da Woody Allen.

Come è stato essere diretto da Alexandra?
Ci intendiamo molto bene, per me è facile seguire le sue indicazioni e capire cosa vuole che io faccia, la sua scrittura è fluida, è un vero piacere recitare per lei e seguirla alla lettera. La ammiro molto e le sono riconoscente: credo che Alexandra abbia saputo tirare fuori il mio lato comico e il mio lato più oscuro. Un marito a metà si ispira alla commedia all'italiana dove il pubblico è invitato a ridere di una situazione che tuttavia è al confine con la tragedia personale.

Nel 2002 hai girato il film 7 ans de mariage, storia di una coppia intrappolata nella routine. Un tema comune a Un marito a metà?
Come lei, anche io ero partito dall'osservazione di una storia vera, ovvero il mio primo matrimonio, avvenuto quando ero senza dubbio troppo giovane. Nel film interpretavo il ruolo di un uomo che vede il suo amore spegnersi lentamente, soffrendo e facendo soffrire la moglie. Anche Alexandra si pone la stessa domanda riguardo al desiderio di coppia: come fare per mantenere accesa la fiamma?  

Come descriveresti il personaggio di Jean?
Jean non è né un Brad Pitt, né un Michel Petrucciani. E' un uomo del tutto normale, sinceramente innamorato della propria donna, ma intrappolato in una routine che lo conduce a rivolgere il suo sguardo verso un'altra donna che semplicemente mostra di provare del desiderio per lui. Nonostante i difetti di Jean – oppure grazie proprio a essi – credo che il pubblico vi si affezionerà e saprà apprezzarlo. Il titolo originale del film "Garde alterneé" suggerisce molto bene la sua immaturità: sotto sotto è un bambino che non ha l'età per decidere per se stesso, allora accetta che la sua donna prenda una decisione al suo posto.

Pensi che ci sia della vigliaccheria in Jean?
Si tratta di un uomo assolutamente normale che cerca di combattere come meglio può contro la sua morale. Non è un mascalzone e nemmeno un farfallone. E' un uomo come tanti che si innamora di una graziosa libraia che, in un determinato momento della sua vita, fa riviere in lui dei sentimenti tipici dell'adolescenza. Isabelle Carré possiede un lato solare che rende perfettamente l'idea di questo sentimento ed è particolarmente adatta al ruolo.

Come ti sei preparato a dover recitare due versioni del tuo personaggio opposte tra di loro a seconda della donna che Jean si trova davanti, ovvero la moglie e l'amante?
Anche mio padre aveva due versioni di sé, quella che mostrava a casa e quella che mostrava sul lavoro. Jean interpreta l'integerrimo professore di letteratura della Sorbona fino a che non rientra a casa e bacia, tra il serio e il bonario, la moglie e i figli. Ma è quando si trova con l'amante che riacquista la sua voglia di vivere e sprigiona un'insospettabile energia infantile. Una volta che viene scoperto, si fa prendere dal panico e pensa a un modo per preservare ciò che ha costruito fino ad ora, soprattutto per il bene dei figli.

Cosa racconta il film riguardo al matrimonio e ai suoi limiti?
Il film non vuole dare nessuna lezione! Non è sua intenzione giudicare l'istituzione in sé, piuttosto commenta gli uomini – e le donne – per come agiscono.  Nessuno ne esce indenne, e il film offre un finale alla Bertrand Blier che personalmente adoro: sono sempre le donne che decidono del destino di un uomo.

Pensi che qualcuno possa intravedere nel film una forma di vendetta femminista?
Credo che sia solo il frutto del senso dell'umorismo della regista. Non credo sia necessario che per fare un buon film si debbano inserire forzatamente i buoni sentimenti. Credo al contrario che la misoginia vada ricercata in tutte quelle commedie standard in cui le attrici interpretano delle donne fantoccio o delle mogli trofeo.

Come è stato girare le scene più intime assieme alle tue partner nel film?
Isabelle Carré è un'attrice formidabile e super zen! Ha affrontato ogni scena senza complessi e senza mostrare un tangibile imbarazzo, nonostante la sua natura molto riservata. Ci siamo divertiti molto e alcune volte abbiamo improvvisato mentre giravamo. All'inizio ho provato un po' di inquietudine invece verso Valérie Bonneton, ho quindi cercato di fare attenzione per non spaventarla e farla scappare!

Ma quindi alla fine, nella vita reale tu ti presteresti mai a essere "un marito a metà"?
In matematica si utilizza il termine greco "aporia" per fare riferimento a un caso insolubile, irrisolvibile. Sulla carta Jean finisce per credere ai lati positivi di questa sorta di amore bigamo a settimane alterne, finché non si scontra con tutti gli effetti negativi che esso comporta. E, come potete vedere nel film, gli svantaggi sono numerosi…

INTERVISTA A VALÉRIE BONNETON

Come vedi il personaggio di questa donna tradita che interpreti nel film?
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, non sono spinta solo dalla voglia di fare ridere al cinema. Amo poter sperimentare cose differenti e trovo ammirevole il modo in cui il mio personaggio evolve nel corso del film. Sandrine non è un blocco unico, ha tante sfaccettature. All'inizio si mostra aspra, inflessibile, fa vedere il suo lato oscuro. Non c'è spazio per la risata perché deve incassare il colpo, metabolizzare e far fronte a un'emozione devastante. Questo contrasto altro non è che la vita reale trasportata nel cinema, e questo è esattamente ciò che cerco nel mio lavoro.

Ed ecco un ruolo che richiede un immenso coinvolgimento personale e una dose colossale di energia.
E' tutto ciò che chiedo e amo! Un'argomentazione piuttosto sconveniente, contro corrente, una storia che esce dai sentieri già battuti e un ruolo che offre grandi emozioni. Amo essere sorpresa, ma amo ancora di più sorprendere. Credo che Alexandra Leclère mi abbia offerto un'occasione unica.

Cosa ti ha sorpreso di più di Alexandra Leclère?
La conoscenza perfetta del soggetto che voleva creare. Ho lavorato spesso con ottimi autori, ma che non erano del tutto consapevoli di come andasse realizzata la loro opera. Alexandra invece è fatta proprio per questo. Sa esattamente cosa vuole. Niente sfugge al suo controllo e noi attori siamo i burattini di uno spettacolo i cui fili sono manovrati da lei con immenso piacere. Ma anche con tanto amore verso di noi. E' una persona davvero accattivante.
Durante le riprese conosceva a memoria i testi e le battute di ogni personaggio! Inoltre, lasciava che fossimo noi, seguendo le sue tracce, a individuare il modo migliore per approcciarci al personaggio e farlo nostro. A volte abbiamo fatto alcune proposte e nella maggior parte delle volte le ha ascoltate con interesse. Ogni fase del lavoro è stata molto precisa. Tutto lo staff era al settimo cielo e galvanizzato. E' così che vorrei poter lavorare ogni volta.

Cosa ne pensi del tema del film?
Credo che sia terribilmente contemporaneo, no? Mi piace pensare a questa coppia che si delinea in modo del tutto nuovo durante lo sviluppo della storia. Credo sia un soggetto audace, e per renderlo al meglio ha dovuto trovare il tono giusto per raccontarlo e fare sì che questa storia, a priori del tutto inverosimile potesse apparire al pubblico credibile una volta sullo schermo.

Nella sua solitudine e nella sua disperazione, il tuo personaggio compie delle azioni poco comuni…  
Puoi dirlo forte! Sono tutte queste cose che fa che mi hanno spinto ad accettare la parte. Mi sono detta che nella mia vita di attrice non avrei mai avuto un'altra possibilità di ballare nuda nella fontana della piazza Saint-Sulpice! Non potevo rifiutare! Ho dato tutta me stessa in quella scena, anche se l'acqua era ghiacciata…

Non avevi la minima preoccupazione?
Certo che ne avevo, ero dannatamente preoccupata. Dovevamo girare alle due del mattino, ero in mutande, una vera follia! Se non altro i miei figli non vedranno mai questo film, mia figlia lo troverebbe davvero imbarazzante.

Pensi che una donna possa realmente accettare di dividere l'uomo che ama con un'altra donna?
Può sembrare stravagante, ma se la posta in gioco è la salvezza di una coppia, perché non farlo? La magia del cinema risiede proprio nel poter realizzare ciò che sembra improbabile nella vita reale. Ciò detto, io faccio parte di quel tipo di persone che credono che tutto sia possibile in questo mondo. Tra l'altro, mi viene in mente parlando con te, che nella mia famiglia si è verificata una situazione simile. Una delle mie zie ha avuto per molti anni una storia alla luce del sole con un uomo sposato e la legittima moglie era consenziente… La vita di coppia è sempre una questione delicata e complessa…

Quale sarà il segreto, se davvero ce n'è uno?
Fregarsene? Ammettere che nonostante tutto l'amore del mondo una coppia altro non è che l'associazione di due solitudini? Tutti noi abbiamo un'amica che ci rivela di essere molto contenta quando il suo compagno deve andare via per qualche giorno e questo le permette di passare un weekend tranquillo, non è forse vero? Lo stesso vale per i figli, Dio solo sa quanto li amiamo, ma dobbiamo ammettere che non c'è niente di male se ogni tanto li spediamo per qualche giorno dalla nonna!

Parliamo dello sguardo che la moglie tradita rivolge all'amante alla fine del film. Pensi che sia plausibile che si instauri un'empatia di questo tipo?
In realtà è lo sguardo di Alexandra Leclère sui due personaggi e con esso mostra il suo spirito libero. All'inizio, Sandrine ha ottime ragioni per essere in collera con la rivale e volersi sbarazzare di Virginie. Trovo che il piano che ordisce nei suoi confronti sia del tutto legittimo, la comprendo e la difendo senza riserve. Lei non ha niente da perdere in questa storia, se non i figli… Tuttavia, iniziando a frequentarla, non può fare a meno di trovarla affascinante e in un certo senso finisce per comprendere le ragioni per la quali il marito ne è stato sedotto. Ogni personaggio porta dentro di sé molto amore, ma allo stesso tempo ognuno di loro finisce per pagare cara la loro sincerità.

Come si fa a piangere nelle scene che lo richiedono?
E' un segreto! Anzitutto non è scontato che io abbia voglia di piangere. Non si può piangere a comando. Credo che l'approccio migliore è di non pensarci, di ripetere dentro di sé "vai, andrà bene" e di lasciarsi trasportare dall'emozione del momento finché la telecamera è in azione. Non è possibile lavorare bene se qualcuno ti assilla dicendo "fai questo, non fare quello". Io cerco di essere flessibile e aperta a tutte le eventualità, cerco di adattarmi ai desideri del regista.

Parliamo un momento delle scene d'amore con Didier Bourdon. Lui dice che vi siete trovati bene…
Oh Didier… Avevamo già lavorato insieme per la televisione in un progetto su Maupassant e anche per il cinema in Bouquet final. Già all'epoca mi aveva colpito molto, è un uomo sensibile e meraviglioso. Inoltre è un eccellente attore. E' così piacevole fare questo lavoro con un partner come lui!
Non c'è bisogno che aggiunga che è anche molto divertente, credo sia sottinteso. Ci siamo divertiti molto a improvvisare, come per esempio durante la scena in cui dopo essergli saltata addosso gli mollo all'improvviso un ceffone e gli chiedo "Come mi chiamo allora? Dai dimmi, com'è che mi chiamo?". Ovviamente non era previsto dal copione.
A parte gli scherzi, gestire la propria nudità – anche con Didier – non mai facile come può sembrare. Indossavo una lingerie che in fin dei conti mi proteggeva come avrebbe fatto qualsiasi altro costume di scena. E tutto sommato devo ammettere che è stato divertente. Mi ha ricordato di quando avevo vent'anni e per potermi pagare il corso di recitazione presso il Cours Florent posavo nuda come modella per uno scultore. A un certo punto non ti sembra poi così diverso da quando vai dal medico: anche in quel caso ci mettiamo a nudo senza porci troppe domande.

Ti ha mai attirato l'idea di realizzare un one-woman show?
Oh no, mai nella vita! Mi interessa la commedia e mi sembrerebbe una scelta incongruente. Quando avevo 25 anni, Dany Boon voleva scrivere uno spettacolo per me, ma io gli dissi che non volevo diventare un prodotto comico. Io voglio fare l'attrice, punto. Amo Shakespeare, sono entrata al conservatorio con Claudel e ne sono uscita con Tchekhov…

INTERVISTA A ISABELLE CARRÉ

Quale aspetto del progetto di Alexandra Leclère ti ha affascinato di più?
Alexandra è una donna di una complessità notevole, la sua vita è stata un romanzo, caratterizzato da follie e stranezze di ogni genere. Credo che di questo vi sia traccia nei suoi film Les sœurs fâchées e Maman, quelli maggiormente autobiografici. Mi piace molto lo sguardo distaccato che ha nei confronti delle esperienze che ha vissuto e adoro il senso dell'assurdo che caratterizza le sue opere. Sono stata catturata dalla sua energia comunicativa, dal suo modo franco di parlare, ma anche dal suo tagliente umorismo. Credo inoltre che ad accompagnarla ci sia una forma di malinconia meravigliosa. Tutti questi aspetti assieme producono un mix esplosivo.

Cosa hai provato quando hai letto il copione?
Ho notato subito che vi erano delle scene inusuali da recitare e questo ha scatenato un'ulteriore attrazione in me. La sua scrittura è concisa, senza fronzoli, molto simile allo stile di Blier, con battute di spessore. Le piace scrivere di situazioni al limite dell'assurdo, spassose, ma che prendono sempre spunto da situazioni reali. Io non amo particolarmente recitare nelle commedie, ma ho amato molto lavorare a questo film con lei perché abbiamo potuto improvvisare molto. 

In quali scene ad esempio?
Ad esempio quando le due donne si trovano in bagno assieme o quando si trovano di fronte a Didier che annuncia che andrà a vivere da solo fin tanto che ognuna di noi si ostina a cercare di riconquistarlo.   

Come si è svolta la scena di voi tre di notte in mezzo alla strada?
Questo è un buon esempio: abbiamo iniziato a provarla a fine giornata poco prima dell'ora di cena e, una volta che abbiamo iniziato a girare, la scena si è progressivamente evoluta in qualcosa di molto differente da come era stata scritta la scena originaria. Sentivamo la necessità che tutto diventasse più fisico, esplosivo, incontenibile. Non abbiamo avuto timore ad esempio a inserire una vena comica, come quando Valérie mi tira un calcio sulla gamba che si presume essere fratturata. Oppure quando Didier ci pianta in asso e Alexandra ci ha dato carta bianca per modificare la scena ed esprimere al meglio l'emozione che provavamo a causa dell'abbandono di Didier. Questo espediente ha funzionato molto bene e ci ha permesso di comprendere e mostrare al meglio il legame che da quell'istante si instaura tra le due donne. Successivamente Alexandra ha deciso su due piedi di eliminare la scena seguente, in cui avrebbe dovuto spiegare la nuova alleanza instauratasi tra le due. Non c'era più bisogno di quella scena.

Avevi già lavorato con Didier Bourdon?
Sì, agli inizi della carriera venticinque anni fa per un film che lui aveva scritto ma che purtroppo non ha mai visto la luce. Era una storia piuttosto toccante di fantasmi, un film fragile e poetico che credo avesse in mente da molto tempo, probabilmente già dall'adolescenza. A quei tempi era molto famoso per via del successo degli Inconnus ma non è mai riuscito a raccogliere i fondi per finanziare quel progetto che in quegli anni sembrava decisamente troppo distante da altre pellicole che invece stavano avendo un enorme successo. Nel corso degli anni ci è capitato di fare qualche spettacolo assieme con Stanislas Merhar ed è stato in quell'occasione che ho scoperto l'artista emozionante, divertente e sensibile che è Didier.

Tu hai debuttato al cinema con il film La donna proibita di Philippe Harel, un film inquietante in cui interpretavi il ruolo di una giovane amante.
Sì è vero. Sono appena stata a trovare Philipe Harel per un progetto in cui dovrei interpretare, questa volta, la donna tradita. Si tratta di un prodotto per il canale televisivo Arte e il titolo è piuttosto esplicito:
Un adulterio. Credo sia interessante esplorare lo stesso tema da punti di vista differenti e opposti tra loro.

In Un marito a metà interpreti il ruolo di un'amante piuttosto atipica…
Infatti ciò che mi ha divertito di più è proprio il fatto che il mio personaggio non emerge come l'amante di turno, ma riesce a trovare il modo per girare la situazione a suo favore. Del mio personaggio mi piace il suo essere vitale, sempre pronto a tutto, animato dalla curiosità di sapere se questo espediente amoroso potrà davvero funzionare. Ha voglia di crederci. Credo che il lato romantico di Alexandra Leclère si esprima meravigliosamente in questa situazione.

Credi che questa soluzione sia attuabile nella vita reale?
Credo che alla lunga non sia destinata a durare, ma sì ci si potrebbe provare. La credibilità risiede nel fatto che Alexandra esplora a fondo ogni situazione e conduce i personaggi davanti a una situazione tale da spingere lo spettatore a chiedersi "E io come reagirei al posto loro?".

Secondo te perché le donne accettano di diventare amanti di un uomo sposato?
Non lo so esattamente, non sono mai arrivata a tanto! Da giovane pensavo che fosse una situazione che portava con sé anche degli aspetti positivi, ma poi la frustrazione ha prevalso su tutto assieme alla spiacevole sensazione di venire regolarmente cancellata da una storia che era tenuta insieme da un filo sottile.

Credi che si possa definire il film come femminista?
In parte assolutamente sì, a partire dal momento in cui le due donne si ingegnano per avere la meglio sul proprio uomo, il quale inizialmente pensa di avere in pugno la situazione. E' così che il personaggio di Didier diventa l'ingannatore che a sua volta viene ingannato. Potrebbero esserci degli uomini che si sentirebbero letteralmente schiacciati se costretti tra due donne così forti.

Il film si interroga sulla monogamia come modello unico di relazione di coppia?
Non credo esista più un modello familiare unico, ognuno nel film può vederci quello che vuole, è solo una commedia dopo tutto! Senza voler nuocere a nessuno, possiamo ridere di noi stessi, dei nostri sbagli, dei nostri paradossi e divertirci un po'.

Hai lavorato in numerosi film alternando generi molto diversi fra loro, senza pregiudizi, ma anche in film d'autore e in produzioni più grandi e facilmente etichettabili. A cosa è dovuta questa evoluzione?
Non c'è nessun calcolo dietro. Mi interessa esplorare universi e situazioni inedite. Penso sia un'opportunità per rinnovarsi continuamente.
All'inizio, dato che si trattava di una commedia, mi sentivo un pesce fuor d'acqua, credevo di essere la meno divertente della compagnia e pensavo che avrei rovinato il film! Temevo perfino che Alexandra dopo le prime prove mi prendesse da parte e mi dicesse "Mi dispiace, ma non funzioni". Poi però ho visto che assieme a lei lavoravano dei membri dello staff con i quali avevo già lavorato per il film Les sentiments di Noémie Lvovsky e per Eros Thérapie di Danièle Dubroux. E' grazie a loro se sono riuscita a trovare un mio spazio e a sentirmi a mio agio, animata da quella forza che solo i timidi sanno trovare. Questo mi dato anche il coraggio di proporre alcuni cambiamenti e aggiunte in determinate scene.

Il tuo personaggio non si tira indietro davanti a niente pur di trattenere il suo uomo nel suo letto.
Da quando ho sentito che con Didier potevamo divertirci, allora abbiamo tolto qualunque freno inibitorio e siamo andati fino in fondo. Spesso mi veniva in mente il lavoro di Victoria Abril in Attache-moi di Almodovar, dove si lascia andare a fantasie piuttosto audaci. Ci siamo trovati bene insieme.

Spesso, anche nelle commedie, le scene di nudo possono essere un problema. In questo caso ci sono stati problemi?
All'inizio ero preoccupata, ma trattandosi di scene giustificate dal copione credo siano state un piacevole motivo di sorpresa per lo spettatore.

«Gli uomini preferiscono le bionde» così dicono, ma il personaggio di Didier Bourdon si rifiuta di scegliere.
Come lo capisco!

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