Poster #IoSonoQui

#IoSonoQui (2019)

#jesuislà
Locandina #IoSonoQui
#IoSonoQui (#jesuislà) è un film del 2019 prodotto in Francia, di genere Commedia diretto da Eric Lartigau. Il film dura circa 98 minuti. Il cast include Alain Chabat, Doona Bae, Blanche Gardin, Ilian Bergala, Jules Sagot, Camille Rutherford, Delphine Gleize. In Italia, esce al cinema giovedì 14 Ottobre 2021 distribuito da Officine Ubu.

#IoSonoQui racconta di un insolito viaggio, dai Paesi Baschi fino alla splendente Corea del Sud, all'inseguimento di quell'incontro che potrebbe cambiare per sempre il proprio destino.

Stéphane, uno chef di successo, conduce una vita tranquilla nei Paesi Baschi, circondato dall'affetto dei figli e dal supporto della ex-moglie. Eppure l'unica cosa che lo fa sentire vivo è Soo, una giovane donna coreana che ha conosciuto su Instagram. I due parlano di arte e di ciliegi in fiore e sembrano instaurare un solido rapporto, nonostante la lontananza. In uno slancio emotivo, Stéphane decide di partire per Seoul e incontrare Soo. Al suo arrivo però, lei non si presenta e Stéphane inizia a vagare per l'aeroporto e per la città, dove la ricerca di Soo lo porterà a riscoprire se stesso. Riusciranno i due a incontrarsi?

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 14 Ottobre 2021
Uscita in Italia: 14 Ottobre 2021 al Cinema
Prima Uscita: 05/02/2020 (Francia)
Genere: Commedia
Nazione: Francia - 2019
Durata: 98 minuti
Formato: Colore
Produzione: Rectangle Productions (co-produzione), Gaumont (co-produzione), France 2 Cinema (co-produzione), Belga Productions (co-produzione), Quarante 12 Films (co-produzione), Canal+ (partecipazione), Cine+ (partecipazione), France Télévisions (partecipazione), Entourage Pictures (partecipazione), La Sacem (partecipazione)
Distribuzione: Officine Ubu

Cast e personaggi

Regia: Eric Lartigau
Sceneggiatura: Eric Lartigau, Thomas Bidegain
Musiche: Sacha Galperine, Evgueni Galperine
Fotografia: Laurent Tangy
Scenografia: Olivier Radot
Montaggio: Juliette Welfing
Costumi: Nadine Lartigau

Cast Artistico e Ruoli:



Produttori:
Edouard Weil (Produttore), Alice Girard (Produttore), Sidonie Dumas (Produttore), Alexis Dantec (Produttore associato), Christophe Toulemonde (Coproduttore), Fabrice Delville (Coproduttore), Yoon-Seok Nam (Produttore esecutivo (Corea)), Min-Ho Ha (Produttore esecutivo (Corea))


Assistente alla regia: Fabien Vergez | Casting: Richard Rousseau | Suono: François Maurel, Roland Voglaire, Paul Heymans, Olivier Do Huu | Trucco: Myriam Hottois | Acconciature: Nicolas Le Scour | Direttore di produzione: Jean-Jacques Albert.

Immagini

[Schermo Intero]

Intervista al regista  ÉRIC LARTIGAU

Nelle sue prime sequenze, #IoSonoQui sembra promettere una commedia romantica. Successivamente il film assume gradualmente l'aspetto di una storia introspettiva dalla risonanza molto contemporanea. Com'è nata questa idea?
L'impulso iniziale è stato innescato dal produttore Édouard Weil di Rectangle Productions, che mi ha riportato un fatto di cronaca: un uomo svedese decide di incontrare una donna cinese che ha conosciuto su Internet e parte per la Cina con il desiderio sposarla. Ma la ragazza non si presenta all'aeroporto e non darà cenni di risposta. L'uomo indice uno sciopero della fame. Dopo una settimana, viene rimpatriato e ricoverato all'ospedale. All'epoca dei fatti avevamo appena iniziato a discutere del personaggio di Stéphane e, inoltre, quando arrivammo in Corea, l'ambasciata ci disse che, quattro volte al mese, diversi uomini dovevano essere rimpatriati dopo essere andati a incontrare donne coreane che non erano mai stati in grado di conoscere. Ho trovato affascinante questa storia e questo viaggio, perché dicono qualcosa sulla possibile e assurda virtualità verso la quale i social network possono condurre. È la porta aperta alla fantasia, alla possibilità di un amore eccessivamente idealizzato. Ognuno può facilmente inventare la propria storia. Sono stato preso dall'idea di cercare di capire il meccanismo che guida una persona in cerca dell'amore e dell'assoluto e il suo corollario: cosa succede quando la fantasia viene tramutata in realtà concreta?

Come hai disegnato il personaggio di Stéphane?  
Ciò che m'interessava era che Stéphane fosse un personaggio che non aveva commesso nessun errore all'inizio. Non vuole e non farà la rivoluzione ma ciò che è in gioco in questo viaggio è una profonda trasformazione interiore. Alla fine è un ritorno a se stesso. Nella scrittura, volevo lavorare sull'idea che il personaggio di Stéphane avesse inventato una vita nel cuore della sua stessa esistenza nei Paesi Baschi. Lo capiamo essersi dissociato da sé stesso e dagli altri. Ha inventato una realtà come molti possono fare. Stéphane ha investito molto nel suo ristorante e non è stato abbastanza attento a ciò che stava accadendo intorno a lui. È qualcuno che cerca il contatto con gli altri e che ama fare del bene agli altri, in particolare attraverso il cibo. Sembra equilibrato, tutto sembra fluire naturalmente nella sua esistenza. Quello che gli manca è la consapevolezza di sé stesso. Era questo che m'interessava: si mette improvvisamente a caccia di un'allegoria incontrata su Instagram. Questa fantasia è un fattore scatenante. Ci renderemo presto conto che il suo obiettivo finale non era quello di incontrare Soo. Sono convinto che lo sappia inconsciamente: quello che Stéphane sta cercando è sé stesso!

In Prestami la tua mano, Alain Chabat utilizza il naso per il suo lavoro. In #IoSonoQui, il suo personaggio è uno chef. In La Famiglia Belier si parla invece di sordità. Sembra che i cinque sensi siano spesso un fattore molto importante nelle storie dei tuoi personaggi…        
Ciò che m'interessa dei sensi è che raccontano la nostra parte animale e che inducono a uno scambio: un odore fa pensare a qualcosa, può spingerti nella tua infanzia; il gusto è inseparabile dal piacere della condivisione e adoro questo lato primitivo del cibo. Questo ristoratore, che non conosce gli usi della Corea dove arriva, grazie a questa arte che è la gastronomia, sarà in grado di avere uno scambio con uno chef e inventare un piatto che unisce la Francia e la Corea: questo piatto gli permetterà di sperimentare l'alterità. Con Thomas Bidegain, che è un buongustaio, abbiamo subito trovato il lavoro di Stéphane. Non volevo che lavorasse in città, ma volevo che fosse collegato alla natura nella sua vita quotidiana, e non volevo nemmeno che fosse un eremita. I suoi clienti arrivano in campagna per rilassarsi nel suo agriturismo.

Il film si apre con le immagini di una maestosa quercia, dove si intuiscono il tuo amore per la natura e il desiderio di legare il tuo personaggio alla terra, anche se lui sembra essere dipendente dal suo cellulare… 
L'apertura di un film è molto importante perché porta immediatamente lo spettatore da qualche parte. Anche se non ti piacciono gli alberi, puoi comunque trovare affascinanti le ramificazioni che ricordano quelle del nostro cervello. La quercia è il mio albero preferito, insieme al ginkgo biloba. Entrambi sono alberi millenari. C'è qualcosa di nobile e al tempo stesso rustico nella quercia. Sono follemente innamorato di una quercia vecchia di cinque secoli che si trova nella casa dei miei genitori. Quando ero piccolo mi rifugiavo sempre sotto di essa quando avevo delle preoccupazioni. Mi è stata di grande conforto.

Tra gli animali del film, c'è un bestiario composto da animali impagliati che popola le pareti del ristorante di Stéphane e che rappresenta tracce di un passato che non gli appartiene…
La tassidermia è ancora una pratica abbastanza particolare… Una volta mi è stato regalato un bellissimo airone grigio impagliato e mi sono accorto che questo airone metteva a disagio le persone che gli stavano attorno. Capisco questo disagio. Perché anche se impagliato, l'animale resta comunque un corpo mummificato. Nel film, l'immagine del padre è trasmessa da questi animali impagliati. Il commerciante di antiquariato inoltre, afferma che il padre di Stéphane sembrava un cinghiale.

Questo padre è come un fantasma di famiglia di cui Stéphane dovrà sbarazzarsi per ritrovare se stesso…
La vita di Stéphane è velata da uno strato di polvere e lui dovrà cercare di liberarsene. È un primo passo innescato da Soo. Questo è il suo ruolo nella storia: è un catalizzatore, ma anche un angelo custode.

Come hai affrontato il processo sulla decisione dei toni del film? #IoSonoQui è allo stesso tempo una commedia romantica, un'allegoria, una storia metafisica con piccoli tocchi quasi fantastici a volte. Tutto era possibile con un tale punto di partenza. Hai dovuto tagliare qualcosa? #IoSonoQui è il film meno identificabile nella tua filmografia in termini di genere…
Sì, i generi dei miei film precedenti sono molto marcati, ma qui è diverso. La rivoluzione che il personaggio vivrà, è interiore e allo stesso tempo semplice e prodigiosa. Volevo davvero che il mio personaggio non fosse né infelice né depresso all'inizio. Tutto sta andando bene per lui. Compensa tutte le sue debolezze con ciò che lo circonda. Ha forgiato una piccola fortezza attorno a sé. Stéphane non va controcorrente nella sua vita. È in sintonia con le persone che incontra, con la sua realtà. Ma ci sono altre realtà che non vuole vedere. Per la cronaca, ho un amico il cui figlio ha rivelato di essere gay all'età di 25 anni: è caduto dalle nuvole, perché non se lo sarebbe mai immaginato. In realtà poi era furioso con se stesso per non averlo voluto ammettere prima. Mi sono ispirato a questa storia.

Non c'è un giudizio sui tuoi personaggi. Senza dubbio Stéphane ha fatto del suo meglio…
Ognuno cerca di fare il proprio meglio, e quindi lo fa. Da qui la sequenza tra Stéphane e suo figlio dopo il giorno del matrimonio: lì, Stéphane si rende conto che tutti intorno a lui lo conoscono meglio di lui stesso. Ma in nessun momento la sua famiglia lo ha giudicato.

La cosa interessante è che l'odissea che lui dovrà vivere per riconnettersi con gli altri e sé stesso, non fa mai sprofondare il film nel disincanto. Eppure, quando Stéphane finisce per incontrare Soo, la sua fantasia si dissolve e il disincanto emerge leggermente, quindi lascia il posto alla leggerezza. Il tuo film, infine, combina risate con tenerezza e contemplazione mantenendosi sempre in gioioso equilibrio!   
Questo è quello che mi piace del cinema: diversità e contraddizioni. Mi piace vedere i difetti di un personaggio. Ho molta più empatia per qualcuno quando vedo le loro crepe. La persona quindi mi colpisce perché lascia intravedere un po' di fragilità. E così posso capirla meglio. Qualsiasi sceneggiatura, offerta a cinque registi diversi, produrrà cinque film diversi. Ma questa, data a cinque registi diversi, produrrebbe cinquecento film diversi! Quando scrivo con Thomas Bidegain, ho tutto in mente: i frame, i movimenti, i piani, tutto. Quindi sul set, per non annoiarmi, ho girato molte altre sequenze inaspettate: volevo che Stéphane fosse sempre in azione, in movimento, per creare il gioioso equilibrio di cui parlavi.

Alain Chabat ha raramente avuto un ruolo così fisico nel cinema…        
Ho detto ad Alain che questa sceneggiatura sarebbe stata scritta per lui. Quindi si trattava di portare questo personaggio in vari luoghi, con tutte le sue paure, per affrontare se stesso. E Alain è andato fino in fondo. In ogni caso, da parte mia c'era solo il desiderio di andare ovunque con lui e aprire porte nascoste…

Il tuo film è come una caccia al tesoro: dai qualche indizio sui personaggi e poi spetta allo spettatore condurre le indagini…          
Questo è anche il motivo per cui volevo che il personaggio di Alain si muovesse continuamente. Durante le riprese, ho scritto scene che gli passavo mentre giravamo. Lo ha aiutato a essere in sintonia con il suo personaggio. Era stupito ogni giorno da ciò che gli facevo fare, come ballare con il walkman sul palco dell'aeroporto, per esempio. Dato che Alain è un uomo curioso, con il quale condivido una fiducia reciproca, si è messo in gioco.

Ad un certo punto del film, Stéphane fa un salto in avanti verso la lucidità non appena entra in una sala cinematografica dell'aeroporto. Lì, il fenomeno della proiezione/identificazione si innesca e lui inizia a vedere tutto più chiaramente. È una scena comica e poetica. E quando esce sulla pista dell'aeroporto… che sollievo per lo spettatore!   
Sì, volevo che Stéphane avanzasse progressivamente verso una maggiore consapevolezza. La sala del cinema gli conferisce un effetto "specchio". Per me, questa scena è quella in cui si esprime l'inconscio di Stéphane: si concede di ascoltarsi e scopre una parte della sua verità interiore. Successivamente, la notorietà illusoria lo porterà verso il tracollo. Questa è l'assurdità. Stéphane non desiderava nulla di tutto ciò, ma segue il suo istinto e il suo inconscio indicherà l'uscita d'emergenza. Il parossismo, se non gestito bene, può portare ad avere le vertigini.

Nella sequenza del cinema, come in tutto il resto del film, metti in discussione il ruolo del romanticismo al giorno d'oggi. A che punto è il romanticismo nell'era degli scambi virtuali? I social network hanno modificato la "mappa del cuore"?         
In un certo senso i social network hanno alimentato il romanticismo. Abbiamo costruito una palette di persone che fa da eco ai nostri centri d'interesse. Quindi possiamo passare un'ora a fantasticare su una ragazza, un albero, un'auto… siamo sempre presi a raccontarci delle storie. E non appena veniamo distratti da altro ecco che tutto svanisce. Tutto questo ha sicuramente delle conseguenze in noi, e dal momento in cui il nostro telefono si spegne, sopraggiunge il vuoto. Il mio film dice che abbiamo urgente bisogno di romanticismo. E io stesso penso di essere romantico.

Il titolo del film contiene un piccolo paradosso: il "#" crea dubbi sulla realtà, sull'esistenza della frase "Io sono qui".     
Ho trovato subito il titolo, anche prima di iniziare a scrivere la sceneggiatura. Stéphane non è del tutto presente… e qui torniamo alla nozione di presente, nel senso proprio del termine. Il concetto di tempo funziona costantemente su di me, perché sono affascinato da queste domande: qual è il presente? Cosa significa vivere veramente? Come si fa a vivere in simbiosi con il presente? E soprattutto: come ci si comporta di fronte ai sentimenti? Come facciamo a fidarci del nostro istinto?

Stéphane fotografa tutto e per tutto il tempo. Cosa avevi in mente quando ha deciso di rendere il tuo personaggio dipendente dal cellulare? Ha paura di perdere la memoria? Sta cercando di fermare il passare del tempo catturando ogni momento della sua vita?       
Stéphane si rifugia in una bolla. Questo è il paradosso: i social network creano l'illusione di collegarci al mondo, ma possono anche rinchiuderci in una bolla. Il film pone anche la questione di ciò che condividiamo o meno.

Alain Chabat ha uno sguardo estremamente aperto. Lo rende travolgente e attraente! Si ha l'impressione che nelle tue scene, ma anche nell'acconciatura e nei costumi di Stéphane, si concentri l'attenzione dello spettatore sullo sguardo…  
Per me Alain Chabat è dello stesso calibro di Gérard Depardieu. È un attore che ammiro. Incarna la forza e la fragilità di Stéphane. Ha un'empatia quasi totale nella vita. È qualcosa che vive con lui. Vedendolo semplicemente camminare, potevo togliere parti della sceneggiatura tanto era bravo ad incarnare il personaggio. Alain è una persona dotata di capacità di "non giudizio", ed è stato importante per interpretare Stéphane. Alain è una persona senza pregiudizi. Dà sempre uno sguardo benevolo agli altri, ed è dotato di questo dono sublime: tira tutti su di morale, ti fa andare oltre. È molto corroborante, perché è uno scambio libero, che consente tutte le possibili combinazioni. Ha una poesia e una delicatezza nel suo sguardo, sugli altri e sul mondo, che mi commuove molto.

Come definiresti il suo sguardo, tu che ci hai già lavorato in Prestami la tua mano?     
È innocente e puro, anche se colmo di una vita densa. Oltre alla dolcezza, ha una profonda umanità. Ha anche qualcosa di molto infantile al riguardo. Induce sempre a qualcosa di nuovo. Nei suoi occhi, vediamo che è sempre presente.

Cosa diresti del suo modo di camminare? 
È molto infantile! Mi fa ridere! È quasi maldestro, ma ci mette una sicurezza che è molto toccante. Lo vedo come un equilibrio instabile, come se raccogliesse tutto ciò che trova facendolo risentire sulla sua andatura. 

Perché hai scelto Doona Bae, una star sudcoreana, per incarnare Soo, una donna normale?  
Sì, Doona è una star in Corea, ma non è per questo che ho pensato a lei per questo ruolo. La conosco da dieci anni. Ci frequentiamo da più di quattro. Non mi andava di girare in Giappone o in Cina, e mi sono detto che ci si poteva perdere in Corea come ci si può perdere in Montenegro, dove il personaggio di Romain Duris si reca in Scatti rubati. La Corea ha qualcosa di misterioso. È un paese di paradossi, specialmente agli occhi di noi occidentali. Un "no" può significare "sì" e viceversa. C'è anche qualcosa di preoccupante, poiché i coreani sono essi stessi preoccupati essendo circondati da nemici come la Cina e il Giappone, che li hanno invasi in passato. Trovo questo paese affascinante per tutti questi motivi. E se il Nord dovesse invadere, il Sud è attrezzato per far saltare tutti i suoi ponti, il che influenza ovviamente lo stato d'animo delle persone. Il pericolo lì è permanente. E dato che era da tempo che volevo girare con Doona, questa è stata l'occasione per scrivere la mia storia in Corea.

Cos'ha Doona di speciale ai tuoi occhi?     
È un'attrice dai duecento volti. Può mostrare molta semplicità e d'un colpo girare la testa e comunicare un grande carisma attraverso i suoi occhi e il corpo. Ha anche un modo fantastico di muoversi. Ti dà la sensazione di entrare nella sua testa quando si muove e regala qualcosa di molto forte, pur restando modesta e riservata. È una ragazza incredibilmente intelligente, molto curiosa, anche molto stravagante e imprevedibile. Lei è libera. Tutto ciò che amo!     

Il personaggio di Soo introduce la magnifica e centrale nozione di "nunchi", che si riferisce al linguaggio non verbale, all'osservare e decodificare le emozioni dell'altro senza formularle. Cosa ci puoi dire al riguardo? 
Cercavo insieme a Thomas Bidegain un'idea tipica del paese di Soo e che lei avrebbe introdotto nel film. Thomas è arrivato una mattina con questa idea trovata su internet! Abbiamo accolto subito quest'idea perché c'è qualcosa di totalmente irrazionale e che amo in questa nozione di "nunchi". Trovo che traduca così bene l'Asia e l'Oriente e le loro differenze con noi. "Nunchi" significa che non devi formulare tutto. Ho sempre portato questa nozione in me, fin dall'infanzia, ma senza mai riconoscerla. È parte integrante della mia personalità. Improvvisamente, grazie a questa parola, ho trovato la definizione di un sentimento che era istintivo in me.

Qual è stato il processo di creazione dell'arredamento dell'aeroporto?
Sono andato a Seoul con Thomas Bidegain e abbiamo trascorso una settimana in aeroporto a scrivere. Cercavamo luoghi e atmosfere, abbiamo ascoltato e osservato. È una città nella città. I luoghi come l'aeroporto, dove si incontrano così tante persone da tutto il mondo, esercitano grande fascino su di me. Gli aeroporti generalmente mi stimolano, ma questo aveva qualcosa di particolare. C'è sempre qualcosa da vedere. Lì anche i bambini hanno modo di essere in movimento, in modo diverso dai nostri. Sul piano grafico, questo aeroporto ha molte forme tondeggianti. Può spaventare perché ha un lato gelido e impersonale, eppure eravamo pieni di energia mentre giravamo lì.        

Il tuo film è molto luminoso nel suo insieme, anche se è ambientato in tre luoghi dalle energie molto differenti…    
Volevo che il film fosse luminoso e colorato. Ho trovato inebriante il dover collegare tre luoghi molto diversi. Il Paese Basco, che adoro, ha una gamma molto ampia di verdi. Una vegetazione ricca e densa di movimento. L'aeroporto d Inchéon a Seoul è una struttura d'acciaio e vetro. Il parco che si affaccia su Seoul alla fine del film è un luogo abbagliante. Volevo che ci fosse natura in città e che Stéphane e i suoi figli si incontrassero in questo posto. Il mio direttore della fotografia, Laurent Tangy, è molto attaccato a questi luoghi e ci siamo trovati bene sulla questione della luce. I miei frame erano precisi, con movimenti sempre legati all'energia dei personaggi. Volevamo che le scenografie fossero distinte e legate le une alle altre dalla luce.

Come mai hai scelto Blanche Gardin per il ruolo della collaboratrice di Stéphane? E perché hai deciso di darle un accento del sud-ovest?
Conosco Blanche da quindici anni. Adoro i suoi spettacoli. Mi affascina. Ha uno sguardo che taglia. È una bomba di energia, di generosità, ha uno straordinario senso d'improvvisazione. È sempre sul pezzo, con i piedi per terra. Blanche mi emoziona molto. È forte ma al tempo stesso fragile, ti fa desiderare di proteggerla e rassicurarla. L'accento sudoccidentale che adotta per il suo personaggio è una sua idea. L'ho trovata divertente e credibile.

Il suo personaggio è spontaneo e fa domande ingenue. Ha un senso pragmatico, quasi come Bécassine…
Il suo personaggio era difficile perché portava con sé informazioni importanti, ma non volevo che fosse una successione di frasi informative. Mette in luce Stéphane e rivela molti dei suoi tratti caratteriali. Stéphane e lei sono due personaggi complementari. E la prospettiva di avere Blanche e Alain insieme mi stimolava molto, perché sapevo che ci sarebbe stata alchimia tra loro. Ognuno di questi personaggi lavora a trecento all'ora, ma ognuno ha il proprio modo di esprimerlo e di muoversi nello spazio. Formano un solo individuo, senza essere una coppia.

Perché hai scelto Jules Sagot e Ilian Bergala nei ruoli dei figli di Stéphane?      
Il casting per trovare i figli di Stéphane è stato molto lungo. Ho avuto difficoltà a trovare il "colore" di questi personaggi. Doveva funzionare chimicamente e sono stato spazzato via dai provini con Jules Sagot. Jules ha immediatamente dato vita a un personaggio ambivalente e libero. È qualcuno sia con i piedi per terra ma anche tra le nuvole. Volevo che fosse anche un po' misterioso e penso che Jules lo abbia reso bene. Per quanto riguarda Ilian Bergala che interpreta David, l'ho diretto in La famiglia Bélier, in cui interpreta il fidanzato di Louane. Ci ha inviato i provini e mi ha stupito. Aveva raggiunto una vera maturità e ha dato molto di sé, adattandosi al personaggio. Anche lui vuole proteggere Stéphane, perché lo sente vulnerabile, e questo mi ha molto commosso. Entrambi hanno un bellissimo sguardo sul mondo.

Perché hai scelto la regista Delphine Gleize nel ruolo della madre dei figli di Stéphane?         
Adoro questo personaggio con il quale Stéphane ha mantenuto una relazione complice nonostante il divorzio. Volevo qualcuno di generoso, con un bel modo di affrontare la vita senza pregiudizio. Delphine emana qualcosa di molto dolce, amorevole e sensuale. Ha anche un sacco di carattere ed è una mia buona amica. Quindi è stata una grande gioia condividere con lei questa storia.

Com'è nata l'idea di integrare i messaggi sul telefono nel film? Sembra che il cinema non possa più farne a meno ora, quindi come ci si approccia da questo punto di vista?
È stata una vera ricerca con i membri del mio team creativo. La composizione era difficile da trovare. Dovevano essere in armonia con l'immagine e dovevo costruire le inquadrature in funzione dello schermo del telefono di Stéphane. Avevo solo una vaga idea all'inizio e ho dovuto lavorarci sodo. È stato un lavoro meticoloso ma stimolante, dovevo trovare una soluzione semplice, leggibile, graficamente curata e fluida nella narrazione. Questi schermi apportano sia informazioni sia momenti di leggerezza, sono storie dentro le storie, un vero cubo di Rubik! È il flagello di internet che diventa sempre più invasivo. Ancora una volta siamo di fronte a un paradosso quando i "mi piace", i commenti e i follower aumentano drammaticamente, fino ad avvolgere il personaggio nella scena del corridoio dell'aeroporto. E nonostante ciò lui si sente solo.

Come hai sviluppato la colonna sonora del film?  
Per i titoli esistenti della colonna sonora, sono partito dalla musica che ascolto mentre scrivo. Ho ascoltato in particolare la band rock The Shoes formata da Guillaume Brière e Benjamin Lebeau, ma anche il cantante franco-libanese Bachar Mar-Khalifé, la cui Kyrie Elesion è magnifica, o il Requiem di Mozart, quindi lavoravo sodo! Ho anche lavorato con i fratelli Evguéni e Sacha Galeperine, con i quali avevo collaborato per i miei ultimi due film. Sono ragazzi di origine russa che hanno nel sangue una sorta di nostalgia e pudore combinati. La loro musica non è mai narrativa, al contrario, ti porta altrove. Trovare la musica per un film è una delle mie parti preferite del processo di produzione. Il momento della colonna sonora è uno di quelli che preferisco. Uno dei momenti più emozionanti. Evguéni e Sacha hanno dato il meglio di sé scrivendo le partiture. Li ammiro. Anche il montaggio è una sorta di partitura. Con Juliette Welfling, la mia montatrice, siamo molto attenti al ritmo delle scene. È affascinante mescolare tutto questo.

In una sequenza molto bella, Stéphane compara lo sguardo del figlio a quello di suo padre.
È raro sentir parlare di sguardi nel cinema.

Lo scambio padre/figlio avviene così. Alla fine del film, Stéphane non guarda più i suoi figli allo stesso modo. È stato raggiunto un nuovo traguardo. E questo cambia qualcosa nel loro rapporto. Si sono ritrovati.

Il film termina con un primo piano di Stéphane che chiude gli occhi, dopo essersi assicurato che suo figlio non avesse freddo. Alla fine si può dire che #IoSonoQui è la storia di un uomo che ha momentaneamente smarrito la sua strada?
Stéphane è felice di poter chiudere gli occhi alla fine. Una finestra si chiude. È un passaggio della vita. Quello che mi piace davvero di questo personaggio è che è molto coraggioso. A proposito, Catherine, la sua ex moglie, gli dice proprio questo. Tutti sogniamo di attraversare lo specchio, anche se può rivelarsi un'esperienza da capogiro e può fare paura. Tutti ci poniamo domande su azioni che non abbiamo avuto il coraggio di intraprendere. Ammiro la determinazione del personaggio di Stéphane. Devi avere la testa dura per agire. È molto più facile arrendersi. Alla fine del film, la pagina viene girata. Ed è anche una rinascita: Stéphane sta rientrando a far parte della sua stessa vita…

Intervista al protagonista  ALAIN CHABAT

Il tuo personaggio, Stéphane, sembra andare avanti in questa storia con ambivalenza: è sia presente che assente, sempre in movimento, ma anche sollevato da ogni problematica. Come hai lavorato per trovare questo equilibrio?    
È giusto dire che Stéphane è allo stesso tempo lì, come sostiene il titolo, e non lì. Soprattutto quando si trova nei Paesi Baschi: sembra più presente nella sua vita virtuale che in quella reale. In un certo senso si inventa una vita. Ma ciò che mi ha aiutato di più è stato dirmi che Stéphane stava bene. Non è in crisi. Tutto sembra andare bene nella sua vita; in apparenza, almeno. Galleggia un po', e un bel giorno, qualcosa lo mette in moto.

È quasi un ruolo atletico: in questo film balli da solo sul palco di un aeroporto, corri, durante una sequenza fingi di giocare alla palla basca in un momento che dona un tocco di poesia al film…
Tutto quello che sapevo prima di ricevere la sceneggiatura del film era che Stéphane stava comunicando con una donna coreana e che aveva deciso di incontrarla senza chiederle nulla. Ho divorato questa sceneggiatura come un romanzo. Quindi, al momento delle riprese, mi sono reso conto che questa sceneggiatura richiedeva diverse sequenze d'improvvisazione. All'aeroporto, Stéphane si ritrova come in una camera stagna. Questo lo porta a diventare irrequieto. Ho chiesto a Eric cosa lo spettatore avrebbe compreso in queste sequenze all'aeroporto. Tutti gli incontri in questo spazio rendono le sequenze dei momenti speciali in cui si rivela qualcosa di intimo del personaggio, il che non era esplicitato durante la lettura della sceneggiatura.

Vengono fornite pochissime informazioni su Stéphane, tranne per il fatto che il suo ristorante funziona bene, che è in buoni rapporti con la sua ex moglie, ma che i suoi figli non si confidano con lui e che suo padre, che è morto, aveva l'aria del comandante. Che idea ti sei fatto di Stéphane?
Éric mi aveva dato alcune informazioni prima delle riprese. Abbiamo parlato delle dinamiche familiari, come quelle che tutti possiamo avere nella nostra vita. Ho raccolto queste informazioni senza fare troppe domande, perché non avevo bisogno di molti elementi per interpretare Stéphane. Per Prestami la tua mano, il film realizzato sulla base di una sceneggiatura che avevo co-scritto, sono stato travolto dalla profondità emotiva che Eric aveva apportato. Quindi ho capito che, nel suo modo di fare un film, molte cose sarebbero venute da lui e mi sarebbero apparse a film finito. Con questo in mente, ho intrapreso questo progetto con fiducia. E sul set Eric mi ha fornito alcune informazioni sui pensieri che potevano occupare la mente di Stéphane in diverse situazioni. Mi ha fatto capire quanto i piccoli dettagli osservati dal mio personaggio potessero influenzare i suoi pensieri. Eric, che è un uomo molto sensibile, mi ha guidato passo dopo passo. È così che la sorpresa si nasconde nelle fessure della sceneggiatura. È la stessa cosa nella vita: un singolo dettaglio può sconvolgere tutto.

Come hai sviluppato l'aspetto fisico del tuo personaggio?          
Durante le riprese, ho avuto l'idea che a Stéphane venissero tagliati i capelli. Ho immaginato che, dopo diversi giorni in questo aeroporto, avrebbe avuto la sensazione di rinascere e che sarebbe scaturito il desiderio di un nuovo aspetto. Questo aeroporto ci ha dato il desiderio di libertà, come la scena della danza che Eric mi ha chiesto di improvvisare. La gente ci guardava e io lo facevo senza pensarci! Ho capito rapidamente che i giorni non si sarebbero sempre svolti come avevo immaginato. Quindi dopo un po' ho smesso di fare ipotesi  e supposizioni, per rendermi aperto a tutto e in grado di vivere nel presente. Inoltre, durante le riprese, che a volte erano abbastanza movimentate, dovevi essere reattivo e giocare con ciò che c'era sul campo. Quindi mi sono assicurato di stare molto attento, che è il minimo quando esercitiamo questa professione, ma lì è stato richiesto uno sforzo particolare.

Hai appreso abilità culinarie per questo film?       
Sì, e mi è davvero piaciuto. Ho dovuto prendere lezioni perché non cucino affatto. Ho lavorato con il team dello chef Cyril Lignac e con uno chef meraviglioso, Aude Rambour. Ovviamente dovevo sembrare credibile ai fornelli! E mi è piaciuto molto imparare, mi piacciono i ruoli che richiedono abilità particolari; questo mi aiuta a non pensare troppo. Inoltre, tutti questi gesti hanno reso le sequenze nei Paesi Baschi molto dinamiche.

La cucina è un linguaggio universale e consente a Stéphane di stabilire una relazione con una controparte in aeroporto in Corea. In questo senso, differisce dal personaggio di Bill Murray in Lost in Traslation! Come hai vissuto le riprese in Corea? Com'è stato recitare all'aeroporto? Come hai comunicato con gli attori coreani?        
Le persone del posto le ho trovate molto calorose. Sono molto tattili. Per strada, le persone si tengono per mano, ridono, si parlano, è tutto molto vivo. Certo, molti codici mi sono sfuggiti, ma sono stato sorpreso di scoprire che avevo una falsa idea della Corea del Sud. L'attore che interpreta il cuoco all'aeroporto mi ha stupito: ha fatto molte proposte, era molto creativo. Ciò ha generato un ritmo molto piacevole. È come la vita: devi sapere come adattarti e questa esperienza di riprese in Corea ci ha immediatamente immersi in quello stato. Devo anche dire che la personalità di Eric ha favorito molto le condizioni di lavoro.

Qual è il suo approccio con gli attori?        
Eric ama gli attori immensamente. Ha un dono per il casting. La sua idea di proporre il ruolo della mia assistente nei Paesi Baschi a Blanche Gardin è stata fantastica. La conosciamo per il suo talento comico, ma ha anche costruito un personaggio credibile e molto accattivante. Durante le riprese Eric è molto gentile e molto energico. Ha una visione molto chiara di ciò che vuole mostrare e raccontare, senza dubbio! Accoglie tutti a bordo con il suo entusiasmo. Cerca la precisione, ma sa anche lasciarsi andare quando è necessario. È una persona che si prende cura dei suoi attori e tecnici, in modo naturale. Ci ha messo a nostro agio, Doona e io, pur mantenendo una distanza e un mistero che erano molto utili per dare vita ai nostri personaggi. Tutte le scene con Doona Bae sono state momenti salienti. Doona è un'attrice fantastica. È precisa, sorprendente e ispirata. #LeiÈLì, senza dubbio. Inoltre le piace ridere, quindi ci siamo trovati bene anche su questo.

La colonna sonora del film è molto varia: Blanche Gardin da un ritmo sostenuto nelle sue sequenze; all'arrivo in aeroporto in Corea, il tempo si ferma leggermente; poi c'è l'immersione a Seoul, che genera ancora un altro ritmo… Eri consapevole di queste variazioni e come ti sei adattato a esse?         
Il film è un viaggio, dentro e fuori. E il ritmo e i tempi del film sono davvero unici. Tutte le riprese sono uniche, ovviamente, ma non avevo mai avuto questo tipo di esperienza. Per quanto riguarda la lingua, naturalmente, ho dovuto adattarmi quando recitavo con i miei colleghi coreani. Non parlavamo la stessa lingua, ma in qualche modo ci siamo sempre capiti. Queste riprese mi hanno costretto ad avere i radar aperti ininterrottamente, questo è certo!

Questo film ha cambiato il tuo rapporto con i social network?
Non sono presente sui social network. Non ho Instagram, Facebook o Twitter. Però mi piace il principio alla base. Si trovano persone molto creative e divertenti. Visto che amo la commedia, sono principalmente alla ricerca di cazzate e le trovo! Ma non voglio avere un account personale, ci passerei troppo tempo e dato che già dormo molto poco…

Questo film, secondo te, è un buon antidoto alla malinconia?
Trovo il film molto solare. È un'avventura. Accompagna lo spettatore in un viaggio e per quanto mi riguarda ne sono uscito sorridente e pieno di emozioni.

Cosa ti evoca il "nunchi", questo concetto tipicamente coreano d'intelligenza emotiva?
Mi piace molto questa nozione. È strettamente legato alla cortesia e alla delicatezza. Ne ho parlato con Doona e i membri dell'equipe coreana, che mi hanno anche detto che questa nozione poteva essere pesante a volte. In quanto straniero, ho trovato il "nunchi" molto stimolante. Il lato buono del non detto, forse.

#JESUISLÀ non è anche un film sulla riconciliazione con se stessi, che apre la strada agli altri?
Certo. È banale, ma se non inizi a lavorare su te stesso, il rischio è di rimanere in superficie nei confronti gli altri e del mondo. Finché non abbiamo affrontato i nostri comportamenti, le bugie e i pregiudizi, è difficile per noi evolvere. Stéphane, da parte sua, si sta muovendo in tutti i sensi del termine in questo film. Il suo viaggio lo sta salvando. Ed Eric ci racconta questa storia senza dimenticare le asperità e senza forzature.


interviste dal pressbook del film

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