Liberi di scegliere (2019)

Liberi di scegliere
Locandina Liberi di scegliere
Liberi di scegliere è un film del 2019 prodotto in Italia, di genere TV Movie e Drammatico diretto da Giacomo Campiotti. Il film dura circa 100 minuti. Il cast include Alessandro Preziosi, Nicole Grimaudo, Francesco Colella, Carmine Buschini, Federica De Cola, Federica Sabatini.

Marco Lo Bianco è un giudice del Tribunale dei minori di Reggio Calabria e ha un sogno: strappare i ragazzi alla 'ndrangheta. Giorno dopo giorno ha visto sedersi nella stessa aula di tribunale tutti i ragazzi delle più importanti famiglie mafiose della provincia. E ha capito una cosa. Che la 'ndrangheta non si sceglie, si eredita. Le famiglie si assicurano il potere sul territorio grazie alla continuità generazionale, costringendo i figli a fare il mestiere dei padri. Quando incontra Domenico, ultimo componente di una cosca, ma anche fratello minore di un ragazzo che ha inutilmente arrestato anni prima, Lo Bianco decide che è arrivato il momento di dire basta. Con una scelta che non ha precedenti, dispone l'allontanamento del ragazzo dalla Calabria e il decadimento della responsabilità genitoriale non solo per il padre latitante, ma anche per la madre. Inizia una strada difficile che costringerà tutti ad abbandonare le proprie certezze. Lo Bianco e i suoi assistenti si confronteranno con i codici e i sentimenti di famiglie che hanno considerato sempre e solo come cosche criminali. Domenico e sua sorella Teresa impareranno che esiste anche uno Stato fatto di persone che non vengono per arrestarti, ma per tenderti la mano e aiutarti a sognare un futuro diverso, in cui poter essere, finalmente, liberi di scegliere.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita in Italia: 22/01/2019 (TV, Rai1)
Genere: TV Movie, Drammatico
Nazione: Italia - 2019
Durata: 100 minuti
Formato: Colore
Produzione: Rai Fiction (co-produzione), Bibi Film Tv (co-produzione)

Immagini

[Schermo Intero]

Note di regia – Giacomo Campiotti.
Sono stati realizzati decine di film sulla mafia e sulla 'ndrangheta, ma questo mi sembra diverso da tutti gli altri. I personaggi non sono supereroi del Male che possono suscitare in alcuni spettatori desiderio di emulazione. Abbiamo cercato di raccontarli con rispetto e verità, prigionieri nella rete di relazioni familiari dolorose e arcaiche che fa di loro le prime vittime. Il Male, fa male anche a chi lo fa. Quando Monica Zapelli ed Angelo Barbagallo, con cui avevamo già lavorato insieme nella fiction sul Maestro Manzi, "Non è mai troppo tardi", mi hanno proposto questa storia, ho accettato con entusiasmo. È un progetto in cui la Rai può esprimere al meglio la sua missione di servizio pubblico. L'idea nasce dall'esperienza di Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, che ha avuto l'intuizione e il coraggio di portare avanti un progetto che permettesse di allontanare dalle famiglie mafiose i minori a rischio, sottraendoli così ad un destino che quasi certamente li avrebbe portati a seguire le orme dei padri, e nello stesso tempo offrendo loro la possibilità di conoscere un altro modo di vivere. Nel film, Domenico, figlio di 'ndrangheta, deve decidere se accettare passivamente il ruolo mafioso a cui è destinato, che gli riconosce un'identità precisa ed un potere sociale ed economico, o scegliere invece una vita senza radici e certezze, ma libera da violenza, ricatti e connivenze. Questa è l'opportunità che gli offre il Giudice insieme a tutti i suoi collaboratori. Sono i rappresentanti di uno Stato fatto non solo di Istituzioni, ma di persone che lottano per quello in cui credono. Quello che ritengo molto interessante è che, in senso più ampio, questa storia racconta come ogni persona, malgrado i mille problemi e condizionamenti, ha il diritto e il dovere di prendere nelle proprie mani la scelta di cosa fare della propria vita. Abbiamo effettuato una parte delle riprese in Calabria dove ho cercato di catturare il degrado ma anche la bellezza selvaggia, l'isolamento e la forza di questa terra. Qui abbiamo trovato persone speciali che ci hanno aiutato con generosità, ancora in bilico tra un mondo passato e un futuro già tradito. Ed è stato emozionante girare sullo stretto e a Messina. Trovo bello che in questo film la Sicilia sia vista come una terra "positiva" dove Domenico trova aiuto nel suo processo di maturazione e liberazione. Durante le riprese ho aiutato gli attori a vivere la profondità emotiva dei legami di sangue tra questi personaggi, che sono assolutamente contemporanei ma che volevo trasmettessero la forza di archetipi ancestrali: il Padre, la Madre, il Figlio, il Fratello Maggiore, la Sorella… È stata una sfida lavorare di nuovo con Carmine Buschini, che interpreta il "Figlio", un personaggio così diverso da Leo dei Braccialetti Rossi. Ancora abbiamo lavorato sulle emozioni, ma questa volta represse e nascoste, anche a se stesso. È sempre un piacere lavorare con Nicole Grimaudo, che dona alla "Madre", intrappolata in una prigione di rimozioni, un profondo spessore. Voglio ricordare anche Francesco Colella, con la sua straordinaria capacità di cambiare in un istante la maschera del "Padre", da capofamiglia premuroso a pericoloso assassino. E ringrazio anche Federica Sabatini e Vincenzo Palazzo che danno ai "Fratelli" verità e sensibilità. Federica De Cola e Corrado Fortuna rendono giustizia alle innumerevoli persone anonime che ogni giorno compiono il loro lavoro con un amore e un impegno che va molto oltre al ritorno economico, e la loro giovane età è davvero un segnale di speranza. Con Alessandro Preziosi abbiamo invece lavorato in sottrazione, costruendo un Giudice antieroe, schivo, umile, emotivamente partecipe del destino dei ragazzi e delle loro famiglie, ma sempre nel rispetto del suo ruolo istituzionale. Proprio come il Giudice Di Bella. Il rapporto con il vero giudice è stata una sfida stimolante. Era molto preoccupato che "tradissimo" la storia, anche solo sbagliando qualche dettaglio di scenografia… Un atteggiamento comprensibile per proteggere il suo importante lavoro anche per il futuro. E così la profonda commozione, sua e dei suoi collaboratori, alla fine della proiezione a loro riservata, è stata per noi una grande gioia… ed un sospiro di sollievo.

"Dimostrare che il futuro non è già scritto"
Roberto Di Bella Presidente del tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria.

Negli ultimi vent'anni il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha processato per reati di associazione mafiosa, omicidio e tentato omicidio oltre cento minori, molti dei quali sono stati poi uccisi nel corso di faide familiari o – divenuti maggiorenni – sono ora latitanti o sottoposti al regime carcerario duro dell'art. 41 bis dell'ordinamento penitenziario; nel 2019, il medesimo tribunale per i minorenni è ancora impegnato a giudicare per gravi reati i figli di coloro che erano stati processati negli anni novanta, tutti appartenenti alle storiche "famiglie" di 'ndrangheta del territorio.
È l'amara conferma che la cultura di 'ndrangheta si eredita e che da più di un secolo le storiche "famiglie" della provincia di Reggio Calabria mantengono il potere sul territorio mediante l'indottrinamento criminale dei figli minorenni.
Fin da piccoli i componenti di queste "famiglie" respirano l'odio, sono addestrati all'uso delle armi, alla brutalità e all'uso della forza anche nei confronti dei familiari più stretti, quando trasgrediscono le regole. I minori hanno spesso visto uccidere i loro padri, fratelli, parenti. In questi casi, secondo il codice d'onore mafioso, deve scattare la vendetta, perciò violenza richiama violenza. In tali contesti anche le scelte più intime (fidanzamenti, matrimoni) sono condizionate dalla "famiglia" e spesso diventano un modo per suggellare sodalizi criminali e, talvolta, per costruire delle vere e proprie prigioni culturali.
Il carcere è una situazione che molti ragazzi mettono in conto di affrontare. La reclusione è considerata un attestato di professionalità da esibire ai propri coetanei in libertà e, soprattutto, ai capi delle organizzazioni criminali. Però, dietro l'orgoglio dell'appartenenza alla "famiglia", per questi ragazzi si nasconde una realtà ben più triste. Sono giovani emotivamente soli, senza un padre con il quale condividere la quotidianità, perché è stato ucciso, è in carcere o è latitante. La "famiglia", che è così pervasiva nel garantire certezza e regole, ignora quella che è la profonda sofferenza di questi ragazzi, che sono rassegnati ad una vita già segnata e provano un forte senso di angoscia per loro e per i loro familiari, che viene fuori nei sogni, spesso popolati da incubi, in cui ci sono irruzioni dei carabinieri, sparatorie, scene di guerra, situazioni in cui il minore deve attivarsi per salvare se stesso o un congiunto da un pericolo incombente.
È una drammatica sequela ben nota ai giudici minorili di Reggio Calabria, che hanno visto sfilare nell'aula del tribunale per i minorenni molti sfortunati ragazzi che potevano aspirare ad un futuro diverso e hanno ben chiaro un assunto: la 'ndrangheta provoca sofferenza non soltanto all'esterno, ma soprattutto all'interno delle stesse "famiglie".
Per questi motivi il tribunale per i minorenni di Reggio Calabria dall'anno 2012 sta adottando – in stretto coordinamento con la Procura della Repubblica per i Minorenni, con la locale Procura Antimafia e con il supporto dell'associazione Libera – provvedimenti civili di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale.
Tali misure – che nei casi estremi comportano il temporaneo allontanamento dal contesto familiare e territoriale – si prefiggono l'obiettivo di fornire agli sfortunati ragazzi delle 'ndrine adeguate tutele per una regolare crescita psico-fisica e, nel contempo, la possibilità di sperimentare orizzonti sociali, culturali e psicologici alternativi al contesto di provenienza. Dimostrare che il futuro non è già scritto e che si può essere protagonisti della propria vita è la finalità del progetto, nella consapevolezza che la 'ndrangheta appare un destino inesorabile a chi nasce e vive in certe realtà familiari.
L'obiettivo ultimo è quello di rendere tali giovani "liberi di scegliere".
L'orientamento giurisprudenziale del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha inoltre intercettato un insperato bisogno: la richiesta di aiuto e la sofferenza di molte donne.
Un numero rilevante di madri – dopo una prima fase di aspra opposizione – non oppongono più resistenza, nella speranza di salvare i loro figli da un destino di morte o carcerazione.
Imprevedibili le evoluzioni che si sono registrate negli ultimi anni. Proprio nei locali del tribunale per i minorenni, alcune madri hanno iniziato percorsi di collaborazione con la giustizia, sperando in una vita migliore. Altre donne si sono presentate per chiedere, talvolta in segreto, di allontanare i loro figli. Altre ancora, espiata la pena per gravi reati, hanno sollecitato un aiuto per ottenere una sistemazione logistica e un lavoro fuori dalla Calabria al seguito dei figli già "tutelati" dal tribunale: supporto fornito da associazioni di volontariato come "Libera".
In Calabria, per molti ragazzi e per molte donne, il tribunale per i minorenni non è più un'istituzione nemica, ma l'ultima spiaggia nel mare dell'illegalità, che è fonte di morte, carcerazione e, comunque, di sofferenza.

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