Poster Quo vadis, Aida?

Quo vadis, Aida? (2020)

Quo vadis, Aida?
Locandina Quo vadis, Aida?
Quo vadis, Aida? è un film del 2020 prodotto in Bosnia ed Erzegovina e Austria, di genere Drammatico diretto da Jasmila Zbanic. Il film dura circa 103 minuti. Il cast include Jasna Djuricic, Izudin Bajrovic, Boris Isakovic, Johan Heldenbergh, Raymond Thiry, Boris Ler, Dino Bajrović, Emir Hadzihafizbegovic. In Italia, esce al cinema giovedì 30 Settembre 2021 distribuito da Academy Two.

Il racconto di una tragedia collettiva attraverso la storia di una donna che tenta l'impossibile per salvare la sua famiglia. Il film è la ricostruzione dei tragici eventi di Srebrenica del 1995 in cui oltre 8000 bosniaci musulmani furono trucidati dalle truppe serbe del generale Mladić.

Bosnia, luglio 1995. Aida è un'interprete che lavora alle Nazioni Unite nella cittadina di Srebrenica. Quando l'esercito serbo occupa la città, la sua famiglia è tra le migliaia di cittadini che cercano rifugio nell'accampamento delle Nazioni Unite. Come persona informata sulle trattative, Aida ha accesso a informazioni cruciali per le quali è richiesto il suo ruolo di interprete. Cosa si profila all'orizzonte per la sua famiglia e la sua gente? La salvezza o la morte? Quali passi dovrà intraprendere? 

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 30 Settembre 2021
Uscita in Italia: 30 Settembre 2021 al Cinema
Genere: Drammatico
Nazione: Bosnia ed Erzegovina, Austria, Romania, Paesi Bassi, Germania, Polonia, Francia, Norvegia, Turchia - 2020
Durata: 103 minuti
Formato: Colore, formato 1:85
Produzione: Deblokada (Bosnia), Filmproduktion (Austria), Digital Cube (Romania), N279 (Olanda), Razor Film (Germania), Extreme Emotions (Polonia), Indie Prod (Francia), Torden Film (Norvegia), TRT (Turchia), ZDF ARTE (Germania)
Distribuzione: Academy Two, Lucky Red
Note:
Presentato in Concorso alla 77a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.

Immagini

[Schermo Intero]

NOTE DI REGIA

Questo film parla di una donna alle prese con un gioco di guerra tra uomini. Parla di coraggio, amore e resilienza – e anche di quanto può accadere se non riusciamo a reagire tempestivamente ai primi segnali di pericolo. Sono una sopravvissuta della guerra in Bosnia. Un giorno hai tutto, il giorno dopo la maggior parte delle cose che conoscevi non esiste più. Solo perché riteniamo che alcune cose siano inimmaginabili, non significa che non possano accadere. 

INTERVISTA CON JASMILA  ŽBANIĆ

Potrebbe parlarci di questa storia così drammatica e di che cosa ha significato per la sua vita? Dove si trovava nel 1995, quanti anni aveva all'epoca dei fatti di Srebrenica? 
L'esecuzione sistematica degli oltre 8000 residenti della città di Srebrenica, nella Bosnia orientale, al termine della guerra di Bosnia (1992-95) ha rappresentato un grave trauma per tutti i bosniaci.
Durante la guerra, Srebrenica fu dichiarata dall'ONU zona sicura per civili e residenti. Ma quando le forze serbo-bosniache invasero la città nel luglio del 1995, le truppe ONU che erano militarmente inferiori, chiesero aiuto all'ONU a New York. Ma la richiesta fu ignorata e insieme ad essa anche la popolazione.
Srebrenica si trova a solo 40 minuti di aereo da Vienna, a meno di due ore da Berlino, e fa paura pensare che un tale orribile genocidio sia potuto accadere davanti agli occhi degli europei, proprio coloro che avevano ripetuto mille volte "non succederà più".
Il senso di sicurezza e la fiducia in istituzioni come l'ONU andarono perduti in un attimo, migliaia di persone morirono… e molte di più rimasero a piangerle.
Personalmente, sento Srebrenica molto vicina perché sono sopravvissuta alla guerra a Sarajevo, anch'essa caduta sotto assedio, e avremmo potuto facilmente essere eliminati come gli abitanti di Srebrenica. Ho sempre pensato che qualcuno avrebbe dovuto fare un film su ciò che era accaduto, ma non ho mai pensato che quel qualcuno potessi essere io. Eppure quella storia mi ha sempre ossessionato. Ho letto tutto quello che ho potuto su Srebrenica e solo dopo aver realizzato quattro lungometraggi mi sono sentita finalmente pronta ad affrontare questo film, consapevole che avrei incontrato molti ostacoli.

Quali pensava potessero essere gli ostacoli?
La Bosnia è un Paese che produce solo un film l'anno. Il comparto cinematografico è pressoché inesistente, ed i fondi nazionali destinati al cinema sono molto ridotti. Per questo film abbiamo ricevuto solo il 5% del nostro budget dal Film Fund. La Bosnia prima faceva parte di una regione, insieme alla Jugoslavia, con un significativo comparto cinematografico, ma dopo la guerra tutto è andato in fumo, le relazioni con gli altri Paesi sono diventate quasi inesistenti e ci siamo trovati in un deserto, in quanto a produzione cinematografica. Quindi, sia dal punto di vista della produzione, ma anche per gli elevati standard che ci siamo prefissati, produrlo è stato molto difficile.
Dopo la guerra e la divisione interna della Bosnia, Srebrenica è rimasta nella parte del Paese governata dai serbi bosniaci. Il nostro governo ha ancora molti politici di destra che si rifiutano di ammettere che si sia consumato un genocidio. Celebrano i criminali di guerra come fossero eroi rifiutando la decisione del Tribunale Penale Internazionale dell'Aja che quello che è successo a Srebrenica costituisca un genocidio. Quindi un altro ostacolo enorme era rappresentato dalla politica.
Ma c'erano anche molte persone che volevano che questo film fosse prodotto e che lo hanno sostenuto. Molti bosniaci ci hanno aiutato. Il film è coprodotto anche da nove Paesi europei che desideravano fortemente che questa storia fosse raccontata.
Damir Ibrahimović, il nostro produttore principale, ha fatto tante scelte coraggiose e rischiose. Ci sono voluti anni per fare questo film. Ma lo abbiamo realizzato perché eravamo spinti dal bisogno di raccontare questa storia che crediamo non riguardi solo la Bosnia o i Balcani, ma tutti gli esseri umani e il modo in cui ci comportiamo gli uni con gli altri quando viene spezzato ogni vincolo di moralità, quando distruggiamo qualsiasi forma di umanità.

Come è nata l'idea di voler provare a realizzare un film su Srebrenica?
A quell'epoca leggevo molto, spesso di donne che raccontavano le storie dei figli, mariti, fratelli, padri che furono abbandonati dall'ONU e catturati dall'esercito serbo-bosniaco. Queste storie, che leggevo pubblicate tutti i giorni, ebbero un profondo impatto emotivo su di me. Oggi, 25 anni dopo, ci sono ancora 1700 persone disperse. La storia di Srebrenica è un dramma che mi ha assorbito completamente nel mio ruolo di regista.

Come ha affrontato l'aspetto drammaturgico visto che si tratta di un film di fiction basato su eventi realmente accaduti?
Ho sentito un enorme senso di responsabilità sul modo in cui avrei scelto di raccontare questi eventi. A volte avevo l'impressione di camminare sopra un campo minato. Era mia intenzione riuscire a realizzare un film che in 100 minuti avrebbe permesso alle persone di comprendere chiaramente quello che era accaduto, di capire la storia e al tempo stesso volevo restare fedele alle emozioni, ai personaggi e ai fatti. Ero consapevole del fatto che non sarebbe stato possibile raccontare ogni aspetto di questa complicata situazione storica. Dovevo fare delle scelte. Ho dovuto romanzare molte cose, perché un film deve seguire delle regole precise. Per esempio, nella realtà il comandante olandese delle forze ONU, Karremans, partecipò a svariati incontri per negoziare il destino della città con il generale serbo-bosniaco Mladić all'Hotel Fontana. Su Internet sono disponibili dei segmenti di filmato di questi incontri. Ma nel film non avrebbe funzionato mostrare tante scene quindi ho deciso di presentarne una sola che riassumesse i vari incontri. Ho dovuto drammatizzare determinati elementi, inventare dei personaggi.
Un libro molto prezioso per me è stato "Under the UN Flag", di Hasan Nuhanović: è stata la sua storia a ispirare il film.

Ci parli del personaggio di Aida.
Il suo personaggio è diviso a metà fra due mondi: lei è bosniaca, la sua famiglia si trova nella stessa situazione di trentamila altri residenti di Srebrenica ma allo stesso tempo lavora per l'ONU e questo rende ambigua la sua posizione. Aida ha fiducia nell'ONU. Crede che una base dell'ONU sia il posto più sicuro per la sua famiglia e sente di avere determinati privilegi perché lavora per questa organizzazione. Il film racconta il suo viaggio nel momento in cui tutto va irrimediabilmente male.

Oltre che per le qualità artistiche e tecniche del suo lavoro, il film si distingue per la bravura del cast, in particolare per la straordinaria interpretazione della sua attrice protagonista. L'aveva in mente fin dall'inizio per questo ruolo? Come avete lavorato insieme?
Una volta ultimata la sceneggiatura ho iniziato a parlare dei possibili attori con il produttore Damir Ibrahimović e abbiamo immediatamente deciso che dovesse essere Jasna, senza bisogno di cercare altrove. Ho lavorato con Jasna Đuričić nel mio film For those who can tell
no tales, l'avevo vista recitare in tanti spettacoli a teatro e in alcuni film. È un'interprete straordinaria e ha un'energia incredibile. È onesta, precisa, si aspetta sempre il meglio dal regista a cui si affida completamente, insomma è una gioia lavorare con lei. Dopo le prove di lettura discutevamo ogni situazione e improvvisavamo delle scene. Per esempio, per quanto riguarda la storia della famiglia, abbiamo parlato di come avesse incontrato suo marito e come fosse stato il loro matrimonio, di dove andassero a scuola i loro figli… di tutto quello che ipotizzavamo fosse accaduto prima del momento in cui ha inizio il film. Abbiamo fatto le prove nell'appartamento dove successivamente avremmo girato. Non c'era nulla di tutto questo nella sceneggiatura ma era importante per gli attori e per me sapere quello che era successo prima e portare nel film questa storia di sfondo, anche se era invisibile.
Poi abbiamo provato l'intero film in continuità nelle location vere e proprie. Questo era di importanza cruciale perché il nostro allucinante programma di riprese, che doveva adattarsi alle disponibilità degli attori, era totalmente privo di continuità. I nostri attori venivano dai luoghi più disparati: Olanda, Belgio, Serbia, Polonia, Romania, Croazia, Bosnia… adattarsi ai loro orari è stato un incubo. Così, fare le prove del film in continuità ha permesso agli attori di memorizzare l'energia, il livello di emozione, il ritmo di ciascuna scena. In quella fase la direttrice della fotografia Christine Maier ed io abbiamo progettato ogni singola ripresa.

Lei ha messo insieme un cast eccezionale. Ce ne può parlare?
Tutti gli attori sono vere e proprie gemme per me: Izudin Bajrović (Nihad), Dino Bajrović (Sejo, che è anche il vero figlio di Izudin) e Boris Ler (Hamdija). Izudin porta nel film l'energia di un bosniaco che è al tempo stesso ingenuo, intelligente e dal buon cuore, ma che fa parecchi errori.
Emir Hadžihafizbegović (Premio Speciale Orizzonti per Miglior Attore a Venezia nel '71), quando stavamo girando la scena in cui lui, un soldato serbo, entra nella base piena di rifugiati, la sua interpretazione è stata così realistica che due donne, tra le comparse, sono svenute. Queste donne erano bambine durante la guerra di Bosnia e la sua interpretazione ha fatto riemergere nella loro memoria dei ricordi traumatizzanti. Interpretare questi ruoli è stata un'esperienza molto forte emotivamente, per Emir e per tutti gli attori.
Anche lavorare con gli attori olandesi è stato incredibile, specialmente con Raymond Thierry che ha dato vita a un'interpretazione di Franken molto personale: permette al pubblico di condividere le motivazioni del suo personaggio fino a un certo punto ma il momento successivo lo spiazza perché il personaggio non fai mai quello che ti aspetti da lui. Voglio menzionare anche Johan Heldenbergh, l'attore belga che interpreta Karremans e che è riuscito a dare vita a tante diverse sfumature del suo complicato personaggio.
Per quanto riguarda Mladić la domanda principale era come doveva essere reso visto che è ancora in vita. Tutti sanno che aspetto ha Mladić. Invece non sono in molti a sapere che aspetto ha Karremans. Abbiamo esplorato svariate possibilità: non mostrarlo, o magari filmarlo solo di spalle. Ma non volevamo renderlo una figura misteriosa. È un uomo sì, è stato un criminale di guerra ma non una figura mitica, è un essere umano in carne ed ossa. Ci siamo domandati quale attore potesse trasmettere la sua energia, chi potesse incarnare la sua personalità. E abbiamo scelto lo straordinario Boris Isaković. Questo attore ha un incredibile spettro interpretativo e un'impressionante energia. Sono disponibili parecchi filmati di repertorio di Mladić ma per interpretare questo ruolo Boris ha trovato un approccio originale e potente che rende così vera questa storia.

È significativo il fatto che alcuni attori che sono serbi abbiano interpretato ruoli di musulmani bosniaci e viceversa?
No, non mi interessano le nazionalità, mi limito a scegliere i migliori attori per un determinato ruolo. Parliamo tutti la stessa lingua e abbiamo una storia e una cultura comuni e abbiamo anche lo stesso aspetto. Le nazioni non sono importanti per i film e non dovrebbero essere importanti nemmeno nella vita.

Possiamo presumere oggi che Mladić avesse sempre avuto l'intenzione di uccidere quegli uomini? Che quei negoziati fossero solo una messa in scena?
Nel 1991 il leader dei serbi bosniaci Radovan Karadžić (condannato alla prigione a vita per crimini di guerra) disse in Parlamento che se la Bosnia non fosse rimasta in Yugoslavia i musulmani sarebbero scomparsi nell'inferno della guerra perché non sarebbero stati in grado di difendersi. Su YouTube si può vedere un filmato di questa dichiarazione. Ebbe inizio così il genocidio dimostrato nei processi di Karadžić, Mladić e altri. Nel maggio del 1992 in ogni piccola città sul confine fra Bosnia e Serbia furono uccisi brutalmente 3000-4000 cittadini.
Quello che successe era stato ovviamente pianificato.

Che cosa mi può dire dell'ONU? L'organizzazione si trovava davvero in una situazione difficile perché nessuno la sosteneva. Che impressione vorrebbe che ne avesse chi vede il film?
Il film non è contro l'ONU né contro le idee sostenute da questa organizzazione. Al contrario. Il mio film ci mette in guardia sul fatto che dobbiamo migliorare e sostenere le nostre istituzioni. L'ONU fu bloccata politicamente da determinati uomini politici internazionali. Quella di abbandonare Srebrenica fu soprattutto una decisione politica. Si fece tutto il possibile per legare le mani all'ONU. Ma questo non esonera gli olandesi che avevano molti pregiudizi contro i musulmani bosniaci oltre che una visione piuttosto coloniale della gente in generale. Florence Hartmann lo spiega nel suo libro The Blood of Real-politik. Consiglio di leggere questo testo perché non parla solo di Srebrenica ma anche di come funziona il sistema politico. Se la situazione di Srebrenica si ripresentasse oggi, nel 2020, avrebbe lo stesso esito!
L'Unione Europea non muoverebbe un dito! E questo mi fa veramente paura.

Dove ha girato le riprese ambientate nella base ONU?
Abbiamo costruito la base. La sala principale esisteva ma abbiamo dovuto modificarne l'aspetto in base alla sensazione che volevamo fosse comunicata da quello spazio. Doveva essere un luogo indefinito, volevamo un grande spazio aperto in cui le persone potessero stare in piedi, e una strada che le portasse verso la vita o verso la morte. Sorprendentemente è stato molto difficile trovare uno spazio adatto per le riprese in Bosnia nonostante ci siano tante fabbriche abbandonate nel Paese. Avevamo trovato il posto perfetto in un vecchio campo di concentramento usato durante la guerra ma non abbiamo potuto usarlo. Così abbiamo realizzato le riprese nell'edificio accanto. Molte furono le location teatro di violenza, persino le scuole. 
Alcune delle nostre comparse erano state in quei campi come prigionieri. Fu molto strano fare questa scoperta. Un giorno stavamo girando una scena in cui alcuni uomini venivano costretti a salire su un camion e così spiegammo alle comparse come farlo. Un uomo rispose: "Non è questo il modo in cui ci fecero prigionieri." All'inizio non avevo capito. E l'uomo continuò. "Sono stato qui, in questo campo, per 12 mesi, e non è così che i soldati ci davano gli ordini." L'uomo ci spiegò che cosa era successo nella realtà e filmammo la scena seguendo le sue indicazioni. Ecco come ho scoperto che molte delle oltre 400 comparse erano ex-prigionieri del campo di Heliodrom.
Gli interni sono stati girati a Stolac; gli esterni a Mostar che dista 40 minuti. Abbiamo girato prima le riprese interne e poi quelle esterne, cosa piuttosto complicata. Abbiamo girato le riprese esterne in giugno e luglio con 40 gradi di temperatura. Ogni giorno avevamo circa 10 interventi di emergenza con persone che svenivano per il caldo. Io sono svenuta solo una volta (ride).

Come è riuscita a creare l'incredibile senso di tensione che percorre tutto il film?
Mentre scrivevo la sceneggiatura ho scelto di inserire degli elementi thriller e il potente flusso di energia dei tentativi di Aida di salvare la sua famiglia lo ha reso possibile. Per il montaggio ho lavorato con Jaroslaw Kaminski (Ida, Cold War) e la nostra preoccupazione principale è stata che la tragedia di Srebrenica non fosse molto nota ed era importante invece che il pubblico venisse a conoscenza delle premesse. 
Un film sull'Olocausto può contare sul fatto che le persone siano bene informate sull'argomento quindi non c'è bisogno di spiegare nulla.
Ma non è così per il genocidio di Srebrenica. Abbiamo condotto un sondaggio fra gli studenti di Jarek della divisione montaggio della scuola di filmografia di Lodz, tutti ragazzi intorno ai vent'anni. Cinque di loro avevano sentito parlare di Srebrenica ma non sapevano esattamente che cosa fosse successo e dieci di loro non ne avevano mai sentito parlare. Credo che questa sia la situazione nella maggior parte dell'Europa per non parlare delle altre parti del mondo.  Il film doveva essere comprensibile, mandare un messaggio anche alle persone che non erano al corrente di questo evento storico.

Questo film non è un documentario. Qual è il cuore della sua storia?
Il cuore di questa storia è contenuto tutto nel dramma di Aida e nelle sue emozioni. Vorrei che le persone portassero con sé, dopo averlo visto, le sensazioni e le domande sollevate dal film. Se i soldati olandesi avessero avuto una maggiore empatia questa tragedia avrebbe avuto un esito così terribile? Veniamo sempre più spesso guidati da sentimenti di egoismo, il capitalismo ha bisogno di egoismo per sopravvivere ma sta portando il nostro mondo e tutti noi verso il disastro.
Vorrei tanto che le persone potessero fare un parallelo fra la storia di Srebrenica e le loro vite e domandarsi chi sarebbe pronto ad aiutarli nei loro momenti difficili. Le cose sarebbero potute andare diversamente se solo avessimo avuto più solidarietà dagli altri?
E c'è anche il trauma che trasferiamo ai nostri figli: sia ai figli dei persecutori che ai figli delle vittime. I persecutori trasferiscono un'enorme quantità di energia nella negazione di quanto hanno fatto tramandando alle generazioni successive il peso di un enorme fardello.

Alcuni dei suoi film parlano di guerra, altri no. Come collocherebbe questo film rispetto al resto del suo lavoro?
Per la maggior parte i miei film parlano del dopoguerra, sono storie di vita odierna condizionate dal passato. Questa guerra alla quale siamo sopravvissuti ha ancora parecchie conseguenze nelle nostre vite. Ma questo è il mio primo film di guerra in cui sono presenti carri armati, fucili, soldati… Come femminista vedo la guerra come un gioco tutto maschile. Virginia Wolf lo ha detto molto bene: "Combattere è sempre stata un'abitudine dell'uomo, non della donna, la macchina delle uccisioni ha un sesso, ed è il sesso maschile." Credo che ogni guerra sia solo un palcoscenico per sociopatici e psicopatici. Proprio in questo momento, mentre stiamo parlando, ci sono persone che si stanno arricchendo grazie alle guerre. In realtà, alcuni diventano ricchi e milioni di altri soffrono.
Questo film mostra la struttura patriarcale e burocratica della guerra. La responsabilità è sempre di qualche autorità, sta sempre da qualche altra parte. Per me la guerra è questo: una donna a terra, con una pallottola nella schiena, mentre i soldati saccheggiano la sua casa.
Le narrazioni di guerra sono sempre infarcite da ideali simbolo di libertà, democrazia e giustizia, in modo da non farci vedere la verità che sta dietro la storia che mostriamo, la sua intrinseca banalità. Abbiamo bisogno di narrazioni che mostrino quello che non ci viene detto, che ci raccontino le storie da altre prospettive. 


extra dal pressbook del film

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