Poster Siccità

Siccità (2022)

Siccità
Locandina Siccità
Siccità è un film del 2022 prodotto in Italia, di genere Drammatico diretto da Paolo Virzì. Il film dura circa 124 minuti. Soggetto di Paolo Giordano e Paolo Virzì. Il cast include Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Elena Lietti, Tommaso Ragno, Claudia Pandolfi, Vinicio Marchioni, Monica Bellucci, Diego Ribon, Max Tortora, Emanuela Fanelli, Gabriel Montesi, Sara Serraiocco. In Italia, esce al cinema giovedì 29 Settembre 2022 distribuito da Vision Distribution. Disponibile in homevideo in DVD da martedì 17 Gennaio 2023, in Digitale da mercoledì 28 Dicembre 2022.

A Roma non piove da tre anni e la mancanza d’acqua stravolge regole e abitudini. Nella città che muore di sete e di divieti si muove un coro di personaggi, giovani e vecchi, emarginati e di successo, vittime e approfittatori. Le loro esistenze sono legate in un unico disegno, mentre cercano ognuno la propria redenzione.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 29 Settembre 2022
Uscita in Italia: 29 Settembre 2022 al Cinema; 28 Dicembre 2022 in TVOD; 17 Gennaio 2023 in DVD
Genere: Drammatico
Nazione: Italia - 2022
Durata: 124 minuti
Formato: Colore
Lingua: italiano
Produzione: Vision Distribution, Wildside, Sky (in collaborazione con), Prime Video (in collaborazione con)
Distribuzione: Vision Distribution
Soggetto:
Soggetto di Paolo Giordano e Paolo Virzì.
Classificazioni per età: ITA: 6+ (MIC)
In HomeVideo: in Digitale da mercoledì 28 Dicembre 2022 e in DVD da martedì 17 Gennaio 2023 [scopri DVD e Blu-ray]

Cast e personaggi

Regia: Paolo Virzì
Sceneggiatura: Francesca Archibugi, Paolo Giordano, Francesco Piccolo, Paolo Virzì
Musiche: Franco Piersanti
Fotografia: Luca Bigazzi
Scenografia: Dimitri Capuani
Montaggio: Jacopo Quadri
Costumi: Ottavia Virzì

Cast Artistico e Ruoli:



Produttori:
Olivia Sleiter (Produttore esecutivo), Mario Gianani (Produttore), Lorenzo Gangarossa (Produttore)


Suono: Alessandro Bianchi | Effetti visivi: Paolo Galiano | Aiuto Regia e Casting: Elisabetta Boni | Suono in presa diretta: Alessandro Bianchi | Montaggio del Suono: Daniela Bassani | Organizzatore Generale: Rocco Messere.

Immagini

[Schermo Intero]

Note di Regia – Paolo Virzì

“Nel momento in cui le strade delle nostre città erano deserte, ed eravamo chiusi ciascuno a casa propria, connessi l’uno all’altro solo attraverso degli schermi, ci è venuto naturale guardare avanti, interrogandoci su quello che sarebbe stata la nostra vita dopo. Abbiamo iniziato a fantasticare su un film ambientato tra qualche anno, in un futuro non così distante dal presente. Immaginando alcuni racconti da far procedere ciascuno autonomamente, secondo la tecnica del film corale, che man mano scopriamo esser legati l’uno all’altro in un intreccio più grande. Una galleria di personaggi ugualmente innocenti e colpevoli, un’umanità spaventata, affannata, afflitta dall’aridità delle relazioni, malata di vanità, mitomania, rabbia, che attraversa una città dal passato glorioso come Roma, che si sta sgretolando e “muore di sete e di sonno”. Una visione che può sembrare un’allegoria catastrofica, dove anche l’ironia è nerissima, ma attraversata da un sentimento di tenerezza e compassione, da lampi di batticuore e speranza di salvezza. La canzone di Mina “Mi sei scoppiato dentro al cuore”, ascoltata dal violoncellista Filippo nella solitudine di un lutto e che commenta musicalmente la passerella finale del cast, risuona come una preghiera in questo paesaggio di solitudini e di relazioni meschine, provando a dar voce all’insopprimibile desiderio collettivo di consolazione e di amore.”

Intervista a Francesca Archibugi

Il titolo Siccità evoca un argomento che oggi è di grande attualità. Non lo era quando avete cominciato a lavorare al copione, da dove nasce questa idea? 
“Eravamo spaventati dal Covid, reduci dal primo lockdown severo, Paolo Virzì ci parl  di quest’idea e ci sembr  subito molto bella, in qualch e modo canalizzava tutte le nostre paure, le trasportava su un altro piano, ci consentiva di impegnare l’immaginazione su qualcosa di inventato ma contiguo. Potevamo utilizzare ci  che avevamo visto in noi stessi, ma anche negli altri, dalla nostra finestr a. Masticarlo, reinventandolo, utilizzarlo come materiale narrativo. In più, conversando con Paolo Giordano, che è anche un uomo di scienza e affronta la narrazione dal suo originale spiraglio, ci si allargava la prospettiva”.

Che cosa accade in scena, chi sono gli uomini e le donne di età, estrazione sociale e contesti diversi che appaiono nel film e che cosa li accomuna in maniera più evidente o più sotterranea?
“Sì, le persone sono molto diverse. Davanti a una catastrofe, ognuno reagisce a modo suo, rivelando il proprio stile cognitivo. Cosa guida le emozioni, cosa è importante e cosa no. Le difficoltà esaltano le reazioni individuali, e nelle reazioni individuali dei personaggi c’è sempre qualcosa di avvincente”.

La forma e lo sviluppo del racconto fa pensare ai romanzi di Carver, in particolare a Short Cuts e al film che ne ha tratto Robert Altman con i vari personaggi in apparenza lontani, che poi risultano collegati dall’incrocio di esperienze e destini comuni: è un riferimento che avete tenuto presente fin dall’inizio del vostro lavoro?
“Sì, abbiamo parlato di quel film, ma anche di altri: molti film sono costruiti sulle storie incrociate. Ne abbiamo rivisti alcuni ma poi, quando scrivi, tutto quello che hai visto è introiettato e dimenticato. Sono i tuoi personaggi che si arrampicano sulle “scalette”.

Come vi siete divisi i compiti? Lei, Paolo Virzì e Francesco Piccolo avevate già collaborato spesso per varie sceneggiature firmate insieme, che cosa è cambiato con l’ingresso in squadra di Paolo Giordano? Avete cambiato metodo, avete scritto ognuno per proprio conto e poi vi siete confrontati per dar vita a un approccio e a uno sguardo comune sulla materia?
Ci piace lavorare tutti insieme, stare insieme, lavorare e parlare, scrivere e ridere, farci dei pranzetti e ricominciare.  Anche se lavoriamo in atmosfera giocosa, sentiamo tantissimo la responsabilità di ci  che stiamo raccontando. Fare film è un privilegio che bisogna meritarsi. Paolo Giordano, così più giovane di noi,  è scivolato in squadra come fosse oliato. Pensavo che fosse un tipo serio, – lo chiamiamo “il professore” – e che in sua presenza dovessimo comportarci bene, non prendere per i fondelli il mondo intero, invece è un burlone come noi. Ma portava informazioni esatte. È stato bello”.

Si nota l’assenza programmatica di qualsiasi giudizio o moralismo nella rappresentazione dei vari personaggi: lei è sempre convinta che sia necessario comprendere le motivazioni e compenetrarsi comunque, anche con quelli più negativi o di difficile redenzione, come insegnava il vostro maestro Furio Scarpelli?
“Diciamo che non è una scelta programmatica, viene istintivo.  Quando metti al mondo un personaggio, un essere umano, è abbastanza difficile non volergli bene. Soprattutto quando si dibatte in un dramma
collettivo”.

Il film appare una riflessione dura e a volte triste sul presente e l’immediato futuro, ma voi siete tra gli eredi più autorevoli di un genere nobile come la grande commedia italiana del passato. Credete che oggi sia più difficile impegnarsi nel cinema civile di denuncia attraverso la satira di costume?
“Le storie hanno dentro, misteriosamente, il proprio stile. Scrivere con Paolo Virzì è appagante perché è elastico, duttile, percettivo, accoglie e scarta proposte con una sicurezza dolce e autorevole. Poi quando vedi le pagine messe in scena, vedi il film, ti rendi conto che lui paolizza ogni cosa, ha il suo tocco, una specie di realtà aumentata, la vita in scala 1 a 1 e mezzo: rende vivida, sapida, ogni ansa del racconto come possedesse un filtro Instagram. Per me i film di Paolo, una volta finiti, sono sempre una sorpresa”.

Che tipo di adesione ai ruoli e alla storia avete immaginato per ognuno dei personaggi? Avete scritto in qualche caso in funzione degli interpreti o la loro scelta è arrivata solo a copione ultimato?”
“Domanda per Paolo che è il regista! Del cast ne parliamo, sì, ma con cautela, bisogna non ficcarsi dentro la testa del regista con sguaiataggine. È un posto delicato”.

Intervista a Paolo Giordano

Il titolo Siccità evoca un argomento che oggi è di grande attualità. Non lo era quando avete cominciato a lavorare al copione, da dove nasce questa idea? Che cosa vi stava a cuore rappresentare fin dall’inizio? Volevate forse rappresentare uno stato di emergenza generale mutuato dalla diffusa inquietudine provocata dalla pandemia?
“Il primo contatto tra me e Paolo Virzì è avvenuto ad aprile 2020, nel momento del vero lockdown; non ci conoscevamo molto bene, ci eravamo incrociati solo un paio di volte. Non ricordo bene se l’input fosse arrivato direttamente da lui o se fosse stato il nostro produttore Mario Gianani a parlarmi della possibilità di interagire con Paolo, per poter portare un mio contributo a un racconto da sviluppare. Comunque, Virzì e io abbiamo chiacchierato su zoom riguardo a un’idea che al momento era quella di una storia corale che potesse parlare del nostro presente. Avevamo un po’ tutti in testa l’idea di come riuscire a raccontare il difficile momento della pandemia, se fosse stato giusto farlo subito o aspettare del tempo. Noi due abbiamo scoperto presto di avere un’idea comune: non era nostra intenzione parlare direttamente di pandemia, ma eravamo convinti che le storie che da lì in avanti avremmo raccontato avrebbero dovuto essere affrontate con la consapevolezza di qualcosa di nuovo. Io mi dedico da tempo alle tematiche ambientali e ai cambiamenti climatici e so quanto i problemi legati all’acqua e all’idrosfera siano uno degli aspetti più inquietanti e urgenti della nostra epoca: oggi in un’estate di siccità tutti sembriamo coinvolti sul tema, ma in realtà si tratta di problematiche all’ordine del giorno da tempo su cui c’è stato e c’è molto studio. Ricordavo un momento del 2017 in cui a Roma si parlava addirittura di razionamento dell’acqua e così la storia di Siccità è venuta fuori dalle nostre conversazioni. È nata l’idea di ambientare tante vicende diverse all’interno di una plausibile emergenza dei nostri tempi. Il calco più a portata di mano è stato quello di un’emergenza reale, che si è verificata davvero qualche anno fa in Sudafrica, a Città del Capo, dove è stato decretato il razionamento dell’acqua e uno stato di emergenza, legato al consumo idrico. Ci siamo documentati su uno scenario plausibile che avrebbe potuto verificarsi e abbiamo spinto un po’ in avanti l’immaginazione mostrando, ad esempio, il Tevere a secco completamente svuotato. Inoltre, se penso a un fiume a me vicino e caro, come il Po, in questi mesi mi rendo conto che non siamo andati troppo lontano. Quando Virzì e io, e in seguito con
Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, ci siamo ritrovati nel picco delle suggestioni pandemiche – era “l’autunno nero” delle cosiddette “zone rosse”- abbiamo lasciato filtrare la storia che stavamo scrivendo attraverso l’emotività del momento senza mai “schiacciarci” sull’attualità.

Che cosa accade in scena, chi sono gli uomini e le donne di età, estrazione sociale e contesti diversi che appaiono nel film e che cosa li accomuna in maniera più evidente o più sotterranea?
“Il tentativo è stato quello di dar vita ad un affresco da commedia umana che fosse “largo” sia sulle zone di
Roma portate in scena, sia sulle estrazioni sociali e le età dei vari personaggi, che va, da quella degli  adolescenti a quella dei nonni e abbraccia la politica massimalista fino alle borgate. Il copione aveva questa vocazione larga da comedie humaine e questo è significativo perché sia a Virzì che a noi sceneggiatori stava a cuore mostrare un’emergenza che, da una parte avesse un effetto livellante, (dato che agisce verso tutti) e dall’altra, esasperasse le differenze e le iniquità sociali. Vedendo il film realizzato, si nota ancora meglio un alto livello di esasperazione. Intorno ai vari personaggi c’è un contesto di emergenza, ma il motivo per cui questo contesto diventa storia è che quando li conosciamo hanno tutti in comune il fatto di essere secchi e inariditi: la siccità li pervade anche sentimentalmente ed emotivamente. Il film appare così come una ricerca per inumidire questo terreno arido, sia come contesto esterno, sia nei personaggi: così il Tevere in secca appare come una radiografia di ognuno di loro, in un ambiente che pu  essere borghese, di periferia o altro ancora”.

Che cosa si racconta in scena?
“Nella Roma di oggi o di un futuro piuttosto vicino nel momento più grave di un’emergenza idrica, un folto gruppo di persone si trova alle prese in modo piuttosto convulso con un inaridimento che riguarda anche le proprie vite, i desideri e i sentimenti. Intrecciandosi, tante storie diverse trovano paradossalmente ognuna una sua strana nuova speranza: secondo me questo è un film che non rinuncia a un’idea di speranza. Non è consolatorio, perché forse il particolare contesto fuori dall’ordinario è un modo di parlare di tematiche sociali che sono meno squillanti, ma hanno la stessa importanza. Non è un film che si permette di essere finto, ma secondo me, non rinuncia a un’ipotesi di speranza come tutte le storie dovrebbero sempre cercare di fare”.

La forma e lo sviluppo del racconto fa pensare ai romanzi di Carver, in particolare a Short Cuts e al film che ne ha tratto Robert Altman con i vari personaggi in apparenza lontani, che poi risultano collegati dall’incrocio di esperienze e destini comuni: è un riferimento che avete tenuto presente fin dall’inizio del vostro lavoro?
“Sì, Short Cuts è stato un riferimento importante, com’è inevitabile d’altronde quando si hanno molte storie che s’incrociano. La scena iniziale dell’investimento in auto, che era in una delle storie di Carver-Altman, è un modo subliminale per tenere traccia di questa ispirazione”

Come vi siete divisi i compiti lei e gli altri sceneggiatori? Avete scritto ognuno per proprio conto e poi vi siete confrontati per dar vita a un approccio e a uno sguardo comune sulla materia?
“Questo argomento è stato a lungo oggetto di scherzo tra noi quattro, c’ è stata una lunga fase predominante in cui ci siamo incontrati tutti fisicamente, debitamente “tamponati”, per almeno un paio di mesi con molte riunioni in comune in cui abbiamo sviluppato un trattamento corposo. In seguito, quando abbiamo avuto  tutto il film ci siamo divisi la sceneggiatura in quattro: ognuno di noi ha preso per sé una parte e ha lavorato in autonomia; infine, ci siamo incontrati tutti insieme per omogeneizzare il materiale. È stato un processo
estremamente     razionale     e     metodico     e     anche     piacevole     per     quello     che     mi      riguarda”.

Si nota l’assenza programmatica di qualsiasi giudizio o moralismo nella rappresentazione dei vari personaggi: lei è convinto, come gli altri sceneggiatori del film, che sia necessario comprendere le motivazioni e compenetrarsi comunque, anche con quelli più negativi o di difficile redenzione?
“Certo, è qualcosa che appartiene al DNA di ognuno di noi, anche se forse io tendo a un impianto più strettamente tragico. Il giudizio non si poneva affatto come istinto, che era invece quello di disinnescare col sorriso e una messa in discussione più divertita dei personaggi. Questo per me è stato un aspetto più nuovo e divertente e mi sono sintonizzato volentieri a mia volta con loro. Quello che trovo interessante di questo mio mestiere extra di sceneggiatore è che mi costringe a sintonizzarmi su mondi e contesti che non sono automaticamente miei”.

Il film appare una riflessione dura e a volte triste sul presente e l’immediato futuro. Credete che oggi sia più difficile impegnarsi nel cinema civile di denuncia attraverso la satira di costume?
“Un certo tipo di commedia italiana, anche se a volte funziona ancora oggi, soffre per una certa polverizzazione della società. Alcuni stereotipi o tipizzazioni dei nostri connazionali oggi sono più difficili da rappresentare rispetto agli scorsi decenni, perché i tipi umani e sociali sono meno riconoscibili. Il contesto civile e sociale rispetto a quell’epoca è cambiato, c’è più rimescolamento, più variazioni su un “continuum”: un determinato tipo di approccio non funziona più così bene. Ci sono intere parti della società che vengono tagliate fuori come pensiero o riflessione, a me capita di sentirlo molto quando si parla di libri e di cultura in modo diverso, non c’è più un riferimento culturale, un centro, ma moltissimi rivoli e quindi è tutto più difficile. Per quello che ci riguarda credo per  che Siccità risolva comunque un problema di un certo tipo di contesto, c’è un grande contesto che ci accomuna e in quest’ambito vediamo le traiettorie dei singoli uomini e donne che non sono emblemi, ma dei personaggi. Io ho riferimenti diversi rispetto ai personaggi che rappresentano una classe sociale, tendo a vedere individualità più complesse e anche più ibride. Noi sceneggiatori abbiamo parlato molto delle storie che sono venute fuori chiacchierando, non abbiamo teorizzato, questo discorso era tutto più implicito. Nel nostro film ha una parte decisiva l’incastro della storia e quando lavori, ti occupa molto la mente la mappa di queste storie e, in un certo senso, questo ci ha impedito di fare troppa teoria”.

Che tipo di adesione ai ruoli e alla storia avete immaginato per ognuno dei personaggi? Avete scritto in qualche caso in funzione degli interpreti o la loro scelta è arrivata solo a copione ultimato?
“C’è stata una certa compenetrazione tra le due cose, è un modo di lavorare tipico di Virzì, Archibugi e Piccolo che mi sembrava molto collaudato. Era naturale che nelle nostre sedute di sceneggiatura ci fosse uno scambio continuo tra “scriviamo il personaggio” e “pensiamo già a chi lo interpreterà”; c’era sempre una sorta di “schermata a latere” in più e questo ci ha dato molta forza. Se scrivi un personaggio astratto, ma che ha già i suoi connotati, è come se ricevesse anche un po’ di energia in prestito dall’attore o dall’attrice che lo interpreterà. Ad esempio, Valerio Mastandrea è stato sempre, fin dall’inizio, nelle nostre teste come interprete ideale per il personaggio dell’autista in crisi: ci siamo ritrovati facilmente a scrivere a suo favore tutto quello che poteva venire fuori con le sue caratteristiche di lui come persona”.

Intervista a Francesco Piccolo

Da dove arriva l’idea di Siccità?
“L’idea del film è di Paolo Giordano e Paolo Virzì. Era appena finito il primo lockdown quando Virzì ha chiesto anche a me e a Francesca Archibugi di collaborare. È stato chiaro, fin dall’inizio, che non intendevamo fare nessun riferimento esplicito alla pandemia, scrivendo il film abbiamo cercato di raccontare quella particolare fase di inquietudine mettendo in scena, come facciamo sempre con Virzì, soprattutto storie di persone, la loro umanità, attraverso un tipo di sguardo che non è e non deve essere mai giudicante. Cerchiamo sempre di avere uno sguardo che sia impietoso e pietoso al tempo stesso: non esistono personaggi positivi o negativi o unidimensionali e questo lo dico a proposito sia della vita che del cinema, che dovrebbe sempre preoccuparsi di rendere le persone complesse come lo sono nella realtà”.

Come vi siete divisi i compiti in fase di sceneggiatura?
“Abbiamo dato vita, fin da subito, a una specie di laboratorio comune, ma qualche volta ci siamo dati anche “compiti a casa” da eseguire ognuno per proprio conto. Giordano è entrato nella nostra collaudata squadra di lavoro con una “morbidezza” molto bella, mi è piaciuto molto lavorare con lui”.

Avete scritto le storie intrecciate dei vari personaggi pensando già direttamente a chi li avrebbe interpretati? 
“Come succede molto spesso con Paolo Virzì, mentre scrivevamo veniva fuori ogni tanto il nome di un attore che ci sembrava giusto per un certo ruolo e una volta individuato un interprete, che di comune accordo  pensavamo fosse quello ideale, ci capitava di scrivere alcune sequenze o alcuni dialoghi anche in funzione delle sue caratteristiche”.

Come vi siete documentati sul tema siccità?
“Abbiamo letto e studiato molti testi sull’argomento, indagando soprattutto gli aspetti che riguardavano gli effetti a breve termine.  Nel film si vedono certe cose che si rivelano “apparentate” alla nostra realtà di questi giorni, ma in fase di scrittura noi non pensavamo minimamente che questo problema, che era comunque già all’epoca molto vivo e urgente, sarebbe diventato poi così impellente”

La forma di racconto fa pensare ai libri di Raymond Carver e in particolare a Short Cuts
“È stato molto appassionante e divertente costruire la trama fondendo le varie vite e le varie storie con i personaggi che si incrociano e si conoscono, e far scoprire, ad esempio, a poco a poco, che un avvocato è anche l’amante di una donna vista nel corso del racconto…”

Nel film si nota l’assenza programmatica di qualsiasi giudizio o moralismo nella rappresentazione dei vari personaggi: lei è sempre convinto che sia necessario comprenderne le motivazioni e compenetrarsi comunque, anche con quelli più negativi o di difficile redenzione come insegnava Furio Scarpelli?
“Credo sia una caratteristica che accomuna molto me, Virzì e Archibugi: capire le ragioni di ogni personaggio, e anche quando compie atti discutibili”.

Che cosa ha pensato dopo aver visto il film finito?
“Un film deve parlare da solo e Siccità ha parlato anche a me spettatore, mi è piaciuto tantissimo così come mi piaceva già molto il copione. Nel mio lavoro a me questo basta, essere contento di quello che abbiamo fatto, e lo sono molto. Poi è ovvio che per  saranno gli altri a giudicare quello che abbiamo fatto…”


dal pressbook del film

Eventi

Presentato alla 79a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia – Fuori Concorso.

HomeVideo (beta)


STREAMING VOD, SVOD E TVOD:
Siccità disponibile in Digitale da mercoledì 28 Dicembre 2022 e in DVD da martedì 17 Gennaio 2023
info: 29 Settembre 2022 al Cinema; 28 Dicembre 2022 in TVOD; 17 Gennaio 2023 in DVD.

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