Quel che affidiamo al vento
Quel che affidiamo al vento

Quel che affidiamo al vento, il nuovo libro di Laura Imai Messina


È arrivato in libreria lo scorso gennaio 'Quel che affidiamo al vento', delicatissimo romanzo che parla di perdita e rinascita, e di un misterioso telefono che permette di ascoltare la voce del vento

Ci sono storie che sembrano nascere dall'immaginazione più disparata di una scrittrice e che invece hanno radici profonde che affondano le dita affamate nella realtà. È il caso di Quel che Affidiamo al Vento, romanzo di Laura Imai Messina ed edito da Piemme.

Tutto comincia, senza che il lettore sia presente agli eventi, l'11 Marzo 2011: una data che segna una sorta di punto di non ritorno per il Giappone. Se l'11 Settembre 2001 ha aperto una cicatrice nel volto degli Stati Uniti con l'attentato delle Torri Gemelle, sancendo una linea invisibile che demarca il prima e il dopo, l'11 Marzo 2011 ha segnato un sentimento simile per la storia nipponica. Lo Tsunami, provocato da un sisma si 8.9 gradi, ha avuto luogo al largo della costa della regione di Tohoku e si è portato via ben 15.703 persone. Tra queste vittime rientrano la madre e la figlia di Yui, la protagonista del romanzo, che deve in qualche modo cercare di trovare un modo per andare avanti.

Quel che affidiamo al vento
Quel che affidiamo al vento

Conduttrice radiofonica, Yui viene a sapere dell'esistenza di un luogo che sembra essere sorto direttamente dalle migliori fiabe (e che, attenzione, esiste realmente):sul fianco della Montagna della Balena c'è un giardino di nome Bell Gardia in cui torreggia una cabina telefonica con un telefono nero che non è collegato a nessuna centralina. Una cabina che serve per comunicare non con chi è dall'altra parte della città, ma con chi è dall'altra parte della vita, con il vento come unico messaggero.

Il telefono, infatti, è uno strumento che Suzuki-San ha installato per dare voce al dolore di chi ha perso qualcuno, di chi ancora combatte con il lutto e con il dolore, di chi cerca nei sussurri del vento la voce della persona amata. Ed è in questo giardino che Yui e Takeshi si conoscono: Takeshi che ha perso la moglie e che vive a Tokyo con la figlia, muta da quando sua madre l'ha lasciata.

L'amicizia tra Yui e Takeshi, il loro condividere il dolore e la fatica che a volte viene richiesto a chi sopravvivere alla perdita di qualcuno di tanto importante, è il motore che trascina e avviluppa questo romanzo delicato e struggente, che parla di lotta e di rinascita, di ferite e coraggio.

L'autrice, che dimostra di conoscere molto bene l'anima più misteriosa del Giappone, restituisce al lettore uno stile evocativo, ma anche intimo, che sembra puntare dritto al cuore di chi legge, costringendolo a mettersi di fronte ai propri fantasmi e alle proprie ferite. E in questo senso Quel che Affidiamo al Vento funziona davvero bene nell'abbracciare il lettore, nel farlo sentire quasi parte integrante della storia, come se i sentimenti di chi legge avessero il potere di incanalare il vento che i protagonisti inseguono con la disperazione di chi non è sicuro di voler uscire dal proprio gorgo di dolore, come se quel dolore fosse l'unica arma a disposizione per ricordare con rispetto chi se ne è andato, chi è stato divorato da quell'intercapedine che esiste tra i vivi e i morti.

Ma in realtà Quel che Affidiamo al Vento non è un romanzo che si fa forte di facili ricatti emotivi, giocando solo sulla sofferenza: ci parla di prese di coscienza, della capacità di udire le note di un ritmo che parlano di cambiamento e di rinascita, ma soprattutto di accettazione. Tutto questo viene reso dallo stile di Laura Imai Messina, che è elegante e discreto, capace di raccontare tutto – anche il più piccolo dettaglio – senza dover ricorrere a facili esercizi di stile o alla ripetizione di stereotipi che vanno per la maggiore. È uno stile curato, preciso, pieno di conoscenza, che però incede con la lentezza con cui nascono i germogli in un orto: dove non c'è fretta, non c'è la corsa al risultato, ma solo la bellezza del raccontare una storia fatta di struggente malinconia, ma anche meravigliata speranza.

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