3 Days to Kill
3 Days to Kill

3 Days to Kill, la recensione


'3 Days to Kill' è un film che rimane spaccato tra due generi, in bilico in una rappresentazione che appare spesso insicura e fin troppo ibrida. La parte della commedia funziona, con un Kevin Costner ispirato. La parte thriller, invece, finisce con l'essere comica e poco credibile.
Voto: 6/10

Ethan (Kevin Costner) è un veterano dei servizi segreti, che lascia il lavoro quando scopre di essere affetto da una malattia che gli lascerà solo pochi mesi di vita. Il suo obiettivo, ora, è tornare a Parigi e cercare di ricreare un rapporto con sua moglie Tina (Connie Nielsen, recentemente vista in The Following) e con sua figlia Zooey (Hailee Stenfeld). Purtroppo, però, i suoi piani vanno a  farsi benedire quando l'agente segreto Vivi (Amber Heard) lo precetta per un ultima missione contro due grandi terroristi, l'Albino e il Lupo. In cambio della sua collaborazione Ethan riceverà una cura sperimentale per combattere il suo male e avere così l'opportunità di passare più tempo con la sua famiglia ritrovata.

Come era avvenuto nei suoi precedenti lavori, anche in 3 days to kill il regista McG cerca di soffermarsi sul lato più intimo e umano dello spionaggio internazionale, facendolo con gli strumenti e i toni di una commedia. Però se in film come Una spia non basta il versante della comedy non solo era preponderante, ma anche fortemente pubblicizzato, 3 days to kill sembra non avere ben chiaro il tragitto da seguire. La pellicola, infatti, si apre come un potenziale thriller action incentrato su un lavoro di spionaggio. Nella prima scena vediamo la bellissima Amber Heard con i capelli tirati indietro e l'abbigliamento anonimo che ogni spia che si rispetti dovrebbe adottare per non richiamare l'attenzione. Lo spettatore allora si aspetta un action-movie in piena regola, con i protagonisti che si scoprono a dover interagire. Un attimo dopo, però, ci troviamo catapultati in una sorta di universo parallelo, dove la missione anti-terroristica sembra essere lasciata ai margini del quadro quasi come riempitivo e il personaggio di Amber Heard viene completamente ridotto a poche moine sexy di una bambola gonfiabile mai uguale a se stessa. Con i capelli di colori sempre diversi, abiti succinti ad enfatizzarne il fisico, Vivi finisce con il diventare una figura evanescente, tanto che il pubblico è spinto a sospettare che non esista veramente e che sia solo un'emanazione e un'allucinazione del sofferente Ethan. In questo modo la parte del thriller e dell'action  viene ridotta ai minimi termini, in uno svolgimento molto spesso surreale e privo di quel minimo di pathos necessario a rendere la visione se non altro partecipativa. Invece alcune scene di "combattimento" finiscono con l'essere al limite del ridicolo, strappando qualche risata, ma lasciando chi è seduto in poltrona con un pugno di mosche.

Dove, invece, 3 days to kill funziona alla perfezione è nella rappresentazione del suo protagonista. Ethan è un veterano delle missioni, un vecchio cowboys con ancora molte potenzialità da dare sul campo, sebbene il suo corpo cominci a mostrare segni di un prossimo cedimento. Ethan, però, convince soprattutto quando cerca di ricostruire se stesso come padre (molto più che come marito). I suoi tentativi di recuperare il rapporto con la figlia sono divisi tra scene quasi da sit-com e momenti invece più intimi e toccanti. In questo la regia di McG, sebbene spesso ripetitiva, funziona molto bene. Funziona quando fa vedere i personaggi interagire tra di loro, con scene dalla fotografia sognante, mentre in sottofondo, in voice-over, sentiamo le interazioni dialettiche, che sembrano non aver posto nella costruzione delle inquadrature, come se immagini e parole, pur volendo dire la stessa cosa, non ne fossero capaci. Queste scene sono le migliori dei film, insieme a quelle in cui Ethan affronta alcuni dei suoi avversari e di colpo la suoneria di sua figlia, I don't care, comincia a squillare. Molto divertente anche la scena con un contabile italiano, Guido, che mentre sta per essere torturato è "costretto" a dire alla figlia di Ethan la ricetta per gli spaghetti al sugo. Queste scene sono ben riuscite perchè c'è un equilibrio perfetto, ben pensato e ben realizzato. Se si fosse scelto di utilizzare sempre questa via, lasciando andare la tendenza all'ibridazione tra generi, 3 days to kill sarebbe stato un prodotto decisamente migliore di questa pellicola guardabile, che sparisce nell'arco di una notte, veloce come un filo di fumo che si alza su Parigi.

Valutazione di Erika Pomella: 6 su 10
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