Empire of Light di Sam Mendes
Empire of Light di Sam Mendes

Empire of Light, recensione del film di Sam Mendes


Il regista di 'American Beauty' e 'Revolutionary Road' scrive e dirige una storia parzialmente autobiografica, che racconta di un fragile legame sentimentale a cui fa da sfondo una vecchia sala cinematografica nell'Inghilterra dei primi anni '80, scossa da tensioni sociali e razzismo, affidandosi alle interpretazioni di Olivia Colman e dell'emergente Michael Ward.
Voto: 6/10

Primi anni '80, in una cittadina costiera nel sud-est dell'Inghilterra, sul cui lungomare si affaccia il cinema Empire; la direttrice di sala è Hilary Small (Olivia Colman), una donna di mezza età, che ha una relazione clandestina con Mr. Ellis (Colin Firth), il suo capo sposato. Capiamo da subito che Hilary si porta dietro un passato complicato, segnato da qualche episodio traumatico per cui sta tentando di ritrovare l'equilibrio mentale, anche con l'ausilio del litio prescrittole dal medico. Un giorno all'Empire viene assunto un nuovo dipendente, il giovane Stephen (Michael Ward), di origini afro-caraibiche, che lavora lì mentre sogna di entrare al college per studiare architettura. Tra Hilary e Stephen inizia a svilupparsi un legame che però dovrà fare i conti, oltre che con le loro differenze, anche con il teso clima socio-politico di quel periodo.

Empire of light è scritto e diretto da Sam Mendes, che se per il precedente 1917 si era ispirato ai racconti di suo nonno sul primo conflitto mondiale, stavolta ha rievocato alcuni aspetti della propria giovinezza, inserendo nella storia elementi autobiografici, a partire dallo stesso personaggio di Hilary (liberamente basata su sua madre, la scrittrice e poetessa Valerie Mendes), fino al clima artistico e culturale, il cinema e la musica, che hanno segnato la propria adolescenza.
Il film è centrato soprattutto sull'incontro fra due persone colte entrambe, ciascuna a suo modo, in un momento di transizione, alla ricerca del proprio posto nella società e della piena realizzazione di sé: entrambi infatti devono combattere contro qualcosa, nel caso di Hilary si tratta di un nemico interno, che ne mette a rischio la salute mentale, creando un pericolo per se stessa e per chi le sta a fianco; per Stephen invece la minaccia è rappresentata dal clima ostile della città, dove il colore della sua pelle lo rende bersaglio di insulti e aggressioni a sfondo razzista, e dove anche una semplice passeggiata può rivelarsi pericolosa.

Mendes, che è sempre stato un regista molto attento all'aspetto stilistico dei suoi film, anche in questo caso (in collaborazione con il suo abituale direttore della fotografia Roger Deakins) realizza un'opera visivamente elegante, le cui riprese si sono svolte in gran parte nella città di Margate, in Kent, già fonte d'ispirazione per pittori e scrittori, con i suoi cieli grigi, il malinconico lungomare, le ampie spiagge di sabbia bianca battute dal vento, e naturalmente quello che è un po' l'epicentro della storia, il cinema Empire; in un periodo in cui tra l'altro, come ben sappiamo, si discute molto della preoccupazione circa la sopravvivenza della sala cinematografica come luogo fisico, qui ci viene mostrato un grande edificio dalla decadente maestosità, con l'architettura in stile art déco, i pannelli in legno e le poltrone di velluto, in cui sembra quasi di sentire l'aroma dei popcorn e degli snack che accolgono gli spettatori all'entrata e che qualche ora dopo verranno spazzati via dai pavimenti, e gli odori chimici della cabina del proiezionista, con i suoi complessi macchinari, le preziose bobine di pellicola da maneggiare con cura che poi si tradurranno in quel raggio di luce proiettato sul grande schermo. Il cinema stesso però è testimone a sua volta, e forse ultimo erede, di un passato ancora più grandioso ma ormai lontano, con le stanze abbandonate al piano superiore che diventano luogo deputato alla passione segreta, e rifugio per chi abbia le ali spezzate e stia tentando, letteralmente quanto metaforicamente, di guarire prima di spiccare il volo.

Empire of light non vuole però essere il Nuovo cinema Paradiso di Mendes, ma si ha piuttosto l'impressione che il regista, il quale per la prima volta firma interamente da solo il copione di uno dei suoi film, abbia quindi fatto confluire nella sceneggiatura diverse suggestioni, non sempre però perfettamente calibrate tra di loro: così si alternano scene cariche di pathos e momenti più quieti e introspettivi, spiragli di speranza e prospettive più realisticamente caute, e anche le dichiarazioni sul potere terapeutico del cinema (e dell'arte in genere) ma che vanno in parte a stemperarsi in un tessuto narrativo più ampio, che avrebbe beneficiato di una maggiore definizione in alcuni punti. 

A dominare il film è comunque l'interpretazione di Olivia Colman, che coniuga una tenerezza quasi materna a un lato più oscuro ed enigmatico come già ha dimostrato di saper fare nei suoi ruoli più riusciti, mentre tra i personaggi secondari quello che spicca maggiormente è il nostalgico proiezionista di Toby Jones.
Empire of light è dunque un film che guarda al passato senza troppi sentimentalismi ma con compassione verso un'epoca e i suoi personaggi, che a tratti fatica a mettere a fuoco il suo percorso anche se può contare su una confezione dignitosa.

Valutazione di Matilde Capozio: 6 su 10
Empire of Light
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