Il maestro giardiniere, recensione del film di Paul Schrader
Joel Edgerton, Sigourney Weaver e Quintessa Swindell sono gli interpreti del nuovo film di Paul Schrader, Il maestro giardiniere, una storia che intreccia colpa e redenzione con il razzismo e altri temi sociali e non solo.
di Matilde Capozio / 13.12.2023 Voto: 6/10
Dopo la presentazione, fuori concorso, al Festival del Cinema di Venezia nel 2022, esce il 14 dicembre 2023 nelle nostre sale Il maestro giardiniere di Paul Schrader, con Joel Edgerton e Sigourney Weaver.
Nell’estesa e variegata piantagione di Gracewood Gardens, appartenente alla facoltosa vedova Norma Haverhill (Sigourney Weaver), il maestro giardiniere del titolo è il meticoloso Narvel Roth (Joel Edgerton), l’orticoltore a capo del mantenimento dei giardini; appassionato ed esperto di piante, fiori, semi, terra, tutto ciò che riguarda il campo della botanica, Narvel supervisiona colture e fioriture, la sera redige diligentemente un diario su cui annota pensieri e riflessioni relativi al proprio lavoro, e di tanto in tanto, viene convocato dalla padrona di casa con cui si intrattiene anche in maniera più intima; l’uomo in realtà nasconde, dietro il suo atteggiamento schivo ed estremamente riservato, un passato turbolento e pericoloso, i cui strascichi continuano a riecheggiare anche nella sua attuale e rinnovata esistenza. Un giorno Norma annuncia che sua nipote Maya (Quintessa Swindell, che ha sostituito la prevista prima scelta, Zendaya), una ragazza reduce da una situazione familiare difficile e rimasta di recente orfana, verrà a lavorare nella tenuta come apprendista di Narvel; l’arrivo di Maya finirà per alterare inevitabilmente gli equilibri tra i personaggi, costringendo i protagonisti a fare i conti con il proprio passato e anche a rimettere in discussione presente e futuro.
La conclusione di un’ideale trilogia su colpa e redenzione
Il film è scritto e diretto da Paul Schrader, sceneggiatore di tanti leggendari film di Martin Scorsese, come Taxi driver, Toro scatenato, L’ultima tentazione di Cristo, che considera Il maestro giardiniere come l’ultimo capitolo di una sua ideale trilogia iniziata con First reformed-La creazione a rischio (2017) con Ethan Hawke, e proseguita con Il collezionista di carte (2021) con Oscar Isaac, ma che percorre tutto il cinema del regista e sceneggiatore, trovando la sua ispirazione anche nella letteratura.
Al centro della vicenda c’è infatti, fondamentalmente, la figura di un uomo solitario che, dietro il proprio lavoro, nasconde un passato che sta cercando di lasciarsi alle spalle, e diventa quindi essenzialmente un anti-eroe esistenziale in cerca di una redenzione che, in questo caso, non è tanto religiosa quanto, semmai, piuttosto etica e morale.
Il maestro giardiniere è un film che fa ampio ricorso a simbolismi e metafore, a cominciare da quello più antico di tutti, il giardino che rimanda naturalmente al biblico Eden: un luogo dominato dalla bellezza e dall’armonia di forme e colori che sembra quasi racchiuso in una bolla isolata dal resto del mondo, in cui si può scomparire dedicandosi a un’attività essenzialmente solitaria come il giardinaggio, presunto paradiso terrestre che tenta di lasciar fuori ogni elemento che possa causare disturbo, ma da cui si può essere cacciati da un momento all’altro, se si commette un peccato. Ci sono immagini, segni e parole che vengono impressi sulla carta, ci sono quelli che adornano luoghi e spazi, come le abitazioni, e ci sono anche quelli che ci si imprime sul proprio corpo, tanti modi di espressione che raccontano qualcosa delle persone che li compiono, quello che si vuole mostrare al mondo e quello che invece, al contrario, si tenta di nascondere.
È anche una storia, quindi, giocata sui contrasti, sugli opposti che si attraggono o si scontrano, come un uomo dal passato nel suprematismo bianco e nel neonazismo e una ragazza di origini afroamericane, toccando così il tema del razzismo, in modi diretti e indiretti (la tenuta in cui è ambientato gran parte del film, ad esempio, anche non viene detto esplicitamente, è un riferimento alle piantagioni sudiste che impiegavano uomini e donne di origine africana come schiavi), ed è, in fondo, una storia in cui forse l’America stessa riflette sulle colpe del proprio passato per cercare speranza nel futuro, con un confronto generazionale tra una mentalità ancora molto radicata nel passato e, invece, l’apertura a nuove influenze e punti di vista.
Un racconto che oscilla fra il thriller e l’onirico
Dopo una prima parte che pone le basi del racconto, piantando i semi (come ribadito dalle parole dello stesso Narvel) che servono a destare la curiosità nei confronti dei personaggi, oltre a un senso di attesa e di quieta suspense per cosa potrebbe essere in procinto di accadere, Il maestro giardiniere, specie nella seconda metà, allarga la propria prospettiva e modifica in parte il proprio tono: la trama oscilla tra una storia che vira anche verso il crime movie, e quindi in cui si affrontano problemi e ostacoli molto reali e concreti, e invece un’atmosfera più sfumata, con alcune vere e proprie scene oniriche, per cui la narrazione si fa più astratta, e che sembra appartenere a un film più basato su sensazioni e impressioni che su una sceneggiatura solida e densa, basata su una serie di cause ed effetti, e questo può essere un poco spiazzante per lo spettatore.
Il film può comunque contare su un’altra prova valida, qui tutta giocata in sottrazione, di un attore sempre interessante come l’australiano Joel Edgerton, oltre che del resto del cast, per una storia che ha un suo certo fascino visivo, anche se con un impianto che può renderla in parte ostica al pubblico.