La figlia oscura, recensione dell'esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal
La figlia oscura, recensione dell'esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal

La figlia oscura, recensione dell’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal


Un'affermata attrice americana passa dietro la macchina da presa con la trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo di Elena Ferrante, una delle autrici contemporanee più influenti e apprezzate in tutto il mondo, in una storia che esplora la complessità dell'essere donna, interpretata dal premio Oscar Olivia Colman.
Voto: 7/10

L'ultima attrice, in ordine di tempo, ad affrontare il passaggio dietro alla macchina da presa è Maggie Gyllenhaal (figlia lei stessa di un regista e una sceneggiatrice), che per il suo debutto alla regia ha scelto di adattare per il grande schermo La figlia oscura, romanzo del 2006 di Elena Ferrante, una delle pochissime autrici italiane ad aver raggiunto una fama globale.  Rispetto al libro troviamo alcune modifiche per dare al film un respiro più internazionale, a partire dall'ambientazione, che si sposta dalla costa ionica a una non specificata isola greca, e una protagonista britannica affiancata da un cast principalmente anglosassone, in parte statunitense (l'unica attrice italiana è Alba Rohrwacher, in un piccolo ruolo).

Leda Caruso (Olivia Colman) è una docente universitaria in vacanza in Grecia, dove inizialmente trascorre le sue giornate in solitaria finché la sua quiete viene turbata dall'arrivo di una chiassosa famiglia, di cui fa parte Nina (Dakota Johnson), una giovane madre; osservare la ragazza insieme alla sua bambina riporta alla mente di Leda i ricordi di quando lei stessa era alle prese con le sue figlie ancora piccole, e faticava a destreggiarsi tra la gestione della famiglia e i suoi studi.

Un'opera quindi prevalentemente al femminile, sia davanti e dietro la macchina da presa (sembra che la stessa Ferrante abbia approvato il film a condizione che venisse diretto da una donna) sia nelle tematiche, che ruota principalmente intorno alla complessità densa di contraddizioni dell'essere donna e madre, in particolar modo il conflitto, talvolta lacerante, tra le esigenze familiari e la voglia di indipendenza e autoaffermazione: la sensazione di inadeguatezza, unita a un senso di vergogna, di fronte alle responsabilità materne che accompagna la paura di dover rinunciare ai propri interessi e alle proprie passioni, che possono essere tanto sentimentali e sensuali quanto mentali, culturali e professionali. 

Una storia che va a indagare sentimenti irrisolti come in un thriller psicologico, che mantiene per gran parte della sua durata un'atmosfera di disagio e di suspense: le sequenze ambientate nel presente ci mostrano le immagini di una Grecia turistica, con il mare limpido, la spiaggia, i mercatini colorati, ma sono anche pervase da un senso di minaccia, come un pericolo pronto a esplodere; l'isola contiene anche un lato più oscuro, che si manifesta in un acquazzone estivo, in rumori e oggetti che piombano addosso come un avvertimento, o come nell'immagine dei vermi, che strisciano silenziosi gettando un che di sinistro su ciò che sfiorano. In parallelo i flashback chiariscono un poco alla volta le difficoltà nel ménage familiare della giovane Leda (interpretata da Jessie Buckley), in un crescendo di tensione che la spingerà, poi, a fare i conti con le sue scelte.

Con un ampio utilizzo di primi piani e della camera a spalla a sottolineare l'instabilità e l'imprevedibilità di personaggi e situazioni, il fulcro della storia sono naturalmente le interpretazioni femminili: la Colman che da una parte deve rappresentare da un lato la donna matura, colta, pacata e dall'aria materna ma poi suggerire un lato più inquieto, aspro, perfino sgradevole, a cui fa da specchio la giovanile vitalità tormentata della Buckley, e una Johnson in un inedito ruolo di dark lady; più in secondo piano il reparto maschile, che vede un veterano come Ed Harris, il giovane Paul Mescal (Normal People) e Peter Sarsgaard (marito della regista nella realtà).

Alcuni elementi della scrittura risultano un pochino ridondanti o autoindulgenti, e sembrano più un vezzo di stile che funzionali alla trama; sul finale, poi, quando i tormenti del passato e quelli del presente convergono, e la tensione arriva al suo picco, sembra che la storia non riesca a decidere se optare per una conclusione più consolatoria e ottimista oppure una drammatica e ambigua, con un effetto un po' generico

La neoregista dimostra comunque di avere uno sguardo elegante e non banale, attento alla forma e ai dettagli, e inoltre il film ribadisce l'interesse sempre più internazionale e traversale per l'autrice de L'amica geniale (di cui infatti è atteso anche un adattamento per Netflix di La vita bugiarda degli adulti, suo ultimo romanzo).   

Valutazione di Matilde Capozio: 7 su 10
La Figlia Oscura
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