Gambit
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Recensione Gambit con Colin Firth, Cameron Diaz


Recensione del film Gambit di Michael Hoffman, con Alan Rickman, Stanley Tucci, Colin Firth, Cameron Diaz, Cloris Leachman, Togo Igawa.
Voto: 7/10

Confucio diceva: “Fai il lavoro che ti piace e non lavorerai un solo giorno in vita tua”; di certo si tratta di una bella massima, piena di ottimismo. Ma avere il lavoro dei propri sogni è abbastanza per essere felice? Henry Dean (Colin Firth) svolge un mestiere che gli piace, ma la sua quotidianità lavorativa è spesso ostacolata dalle continue vessazioni del capo Lionel Shabandar (Alan Rickman), un miliardario pomposo e arrogante, così pieno di sé da aver intitolato il suo primo romanzo semplicemente Me. Stanco dei modi quasi primitivi dell’uomo, Henry decide di vendicarsi: ben conscio del fascino che l’arte esercita su Lionel e della fissazione dell’uomo per un quadro introvabile di Monet, Henry decide di coinvolgere il suo amico copista, il Maggiore (Tom Courtenay) ed una chiassosa donna del Texas, P.J. Puznowski (Cameron Diaz) in una truffa al sapore di vendetta.

Scritto da Joel e Ethan CoenGambit è un film che più che sull’intreccio vero e proprio, fonda le sue migliori qualità su un cast scelto ad hoc. Se la biondissima e rumorosissima Cameron Diaz riesce senza troppi problemi a calarsi nei panni di una donna dai modi diretti e disarmanti, è senza dubbio nell’interpretazione degli attori maschili che si deve ricercare l’elemento più riuscito della pellicola. Da una parte la placida eleganza britannica di Colin Firth si mescola ad un luciferino desiderio di supremazia. L’uomo, a metà strada tra un buffo imbranato e un freddissimo killer, delizia la platea con un’interpretazione che non va mai sopra le righe e che si arricchisce di alcune delle sequenze più divertenti dell’intera operazione drammaturgica – vi consigliamo, a questo proposito, di non perdervi nemmeno un fotogramma della lunga scena all’interno dell’hotel Savoy. La sua nemesi di celluloide, quell’Alan Rickman che in molti ricordano soprattutto per il suo ruolo di Severus Piton nella saga di Harry Potterè un uomo viscido e sgarbato, del quale però è pressochè impossibile non innamorarsi. Con movenze esagerate, che ricordano alla lontana quelle del personaggio di Louis Litt nel legal-drama Suits, e una risposta sempre pronta, Alan Rickman dipinge un personaggio che non si può mai definire pienamente negativo, pur con la sua tendenza al nudismo. Un cenno pieno di ammirato consenso va fatto anche al piccolo cameo di Stanley Tucci che dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, di essere un attore dal grande spettro interpretativo, una sorta di maschera machiettistica che riesce in qualsiasi prova. 

Il regista Michael Hoffman dirige un film quasi interamente poggiato su situazioni surreali, che però intrigano lo spettatore quel tanto che basta a mantenere viva l’attenzione per l’ora e mezza di durata. La sua regia è puntuale, pulita, senza futili esercizi di stile e per questo facilmente fruibile; mancano, però, anche delle scelte concretamente personali. Il regista decide di nascondersi dietro la sua macchina da presa e lì rimane nascosto fino alla fine, decidendo di portare i propri personaggi e la storia in primo piano. Una storia che, seppur scritta dai fratelli Coen, sembra mancare di quell’ironia perversa e cinica che caratterizza i lavori dei due. Non mancano, come si è forse già accennato, situazioni esilaranti e momenti di pura intuizione: il finale, per dirne una, arriva inaspettato e divertente, molto meno banale di quanto ci si potrebbe aspettare. Il tutto, però, sembra essere adagiato su un livello di sufficienza che non sembra voler sfruttare tutte le potenzialità del gioco messo in scena.

Nonostante questi piccoli appunti, comunque, Gambit rimane un prodotto d’intrattenimento puro e semplice, che riesce nel suo obiettivo più importante: divertire il pubblico, anche grazie ad un cast che riesce a trasmettere allo spettatore uno stato di serenità e di buon umore. E di questi tempi non è poco.

Valutazione di Erika Pomella: 7 su 10
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