Recensione Il matrimonio che vorrei
Recensione del film Il matrimonio che vorrei, divertente commedia di David Frankel che vede protagonisti Meryl Streep e Tommy Lee Jones come una coppia in crisi sessuale che cerca di ritrovare la propria intimità anche dopo che i figli sono diventati grandi. film divertente, strappa più di una risata e gioca su dialoghi divertenti dal ritmo perfettamente calibrato.
di Erika Pomella / 12.10.2012 Voto: 7/10
Chi l'ha detto che per essere innamorati e felici bisogna essere bellissimi e ancora avvolti dall'aurea irresistibile della giovinezza? Da Ultimo Tango a Parigi a Tutto può succedere, passando per E' complicato sono molti i film che hanno messo al centro della propria diegesi una coppia non più giovane che, tuttavia, non accetta di rinunciare all'amore e, di conseguenza, all'esplicazione fisica di quel sentimento: il sesso. E' il caso di Il matrimonio che vorrei, nuovo film di David Frankel, regista di film come Un anno da leoni, il commovente Io & Marley e il fortunato Il diavolo veste Prada.
Al centro della storia c'è Kay (la sempre meravigliosa Meryl Streep), che dopo trentun'anni di matrimonio, si chiede se il suo rapporto con il marito Arnold (Tommy Lee Jones) non sia giunto fatalmente al capolinea. Da anni i due dormono separati, non si toccano più e non hanno niente da dirsi che riguardi qualcosa che vada al di là della giornata di lavoro. Distrutta per la situazione della sua condizione sentimentale, Kay tenta il tutto per tutto quando trova il libro di un terapista di coppia, il Dr. Feld (Steve Carell), il quale li invita nella cittadina di Great Hope Springs per una terapia full-time della durata di una settimana. Arnold è difficile da convincere, ma alla fine i due coniugi partono per la cittadina, sottoponendosi alla terapia e agli esercizi che il Dr. Feld consiglia loro per ritrovare la passione, l'intimità e il senso stesso del loro matrimonio.
Basterebbe fare il nome di Meryl Streep per dire che Il matrimonio che vorrei è una pellicola che val comunque il prezzo del biglietto. Da quarant'anni l'attrice americana porta sul grande schermo il ritratto di donne sempre differenti da loro, che tratteggia non solo con il suo grande talento interpretativo, ma anche attraverso una fisicità sempre diversa. La Kay che dipinge con straordinaria chiarezza è una donna rimasta intrappolata in una decade passata, avvolta in vestaglie vintage e che si esprime attraverso una vocina quasi stridula, che non accetta più l'idea di vivere con un uomo che sembra non trovarla più interessante o seducente. Dall'altra parte c'è un Tommy Lee Jones che sembra essersi rinchiuso in se stesso, in un reticolo di rughe che mostra la sua età e le sue preoccupazioni, che quasi urla l'abitudine dell'uomo di tenere tutto per se, di non lasciar mai intravedere i suoi pensieri, come se farlo lo rendesse meno uomo o meno pater familias. Tra queste due esistenze un po' rassegnate e con qualche accenno di patetico, trova spazio una verve ironica e divertente, che riesce a creare un clima ricettivo capace di coprire un'ampia porzione dello spettro emotivo. Il matrimonio che vorrei è un film divertente, che strappa più di una risata a chi è seduto in poltrona, che gioca su dialoghi divertenti e dal ritmo perfettamente calibrato, e che soprattutto si fa forte della grande espressività dei suoi interpreti. Dall'altro lato, però, il film di Franken è anche un delicato ritratto di una coppia che ormai si è adagiata sull'abitudine, che lotta e si sfida in continuazione per non scivolare in fondo, verso una routine fastidiosa e letale.
Non si tratta di una commedia brillante sulla riscoperta della vita sessuale – come fu, ad esempio, E' complicato, con la stessa Streep. Il matrimonio che vorrei è piuttosto una commedia che sancisce il diritto di una coppia ad avere ancora una vita sessuale anche dopo che i figli sono diventati grandi. Attenzione, però: il film non vuole dire che un amore, per essere tale, non possa fare a meno della passione travolgente o del sesso più conturbante. Lo stesso Steve Carell consiglia ai suoi pazienti di continuare ad impegnarsi, di lottare, perchè momenti difficili e di crisi ci sono in ogni matrimonio. Quello che Frankel mette in scena infatti è un matrimonio fatto di vecchi ricordi rivestiti dalla magia della giovinezza, dell'imbarazzo nello riscoprirsi non più così giovani, e della voglia di non dover rinunciare a se stessi come componenti di una coppia. Ecco allora che tra scene divertenti come il sesso orale in una sala cinematografica o l'imbarazzo di Tommy Lee Jones davanti l'idea di un menage à trois si inseriscono inserti più delicati e poetici.