

Sull’Iliade: Rachel Bespaloff e la bellezza degli eroi sacrificati
Edito da Adelphi, 'Sull'Iliade' è un saggio che prende la tradizione Omerica e la analizza nel suo essere vicino non tanto all'immortalità della gloria, ma alle fragilità dell'essere umano.
di Erika Pomella / 10.01.2019
"Ciò che esalta, ciò che celebra, non è il trionfo della forza vittoriosa,, ma l'energia umana della sciagura, la bellezza del guerriero morto, la gloria dell'eroe immolato, il canto del poeta nel tempo futuro – tutto quello che, pur vinto dal fato continua a sfidarlo e a sconfiggerlo".
Queste sono alcune delle parole che Rachel Bespaloff – autrice bulgara cresciuta culturalmente nell'aurea filosofica di una Parigi mai veramente abbandonata – dedica ad uno dei racconti più importanti e famosi di sempre. L'Iliade di Omero è sempre stata oggetto di studi, di scavi. Moltissime menti illuminate si sono sedute e hanno cercato di tirare le somme di un'epopea epica che riusciva a mettere al proprio centro narrativo i sorrisi beffarsi del fato, debolezze umane e crudeltà divine, in mezzo al campo polveroso di una guerra che sembrava interminabile.
In Sull'Iliade – che in Italia è pubblicato da Adelphi, nella collana Piccola Biblioteca – Rachel Bespaloff però non si cura di trovare simbologie dietro i giochi a scacchi degli dei, né si sofferma sul quadro generale di un racconto che ha posto le basi all'idea di narrazione che abbiamo ancora oggi. Coerente ai suoi studi così come alle sue predisposizioni filosofiche, Rachel Bespaloff è più che mai interessata a cercare di capire gli esseri viventi che si nascondono dietro le grandi pagine della letteratura e, in questo caso, della tradizione ellenica. La sua penna, che vola sicura e attenta sulla pagina, mira a raccontare di uomini ed eroi che sono UNO ma che sono altresì obbligati a farsi tutto. Uomini che combattono, amano, sbagliano. Uomini che hanno onore o sognano la gloria, che hanno la violenza nella mente così come nelle braccia abituate a sostenere spade e scudi. Non è un caso, dunque, che in questo saggio tremendamente ispirato, i primi tre capitoli siano ispirati ai tre personaggi dell'Iliade che in qualche modo ne sanciscono non solo il successo, ma anche l'inizio e la fine.
Da Ettore al pelide Achille, passando per la bella Elena. Del primo la Bespaloff ha sottolineato il carattere decisamente umano, quello in grado di far nascere un eroismo inatteso anche attraverso la vulnerabilità, la paura dell'avversario e la consapevolezza che l'onore che lo spinge a scendere in campo non mina in alcun modo il suo desiderio alla felicità. Sentimento, quest'ultimo, che sembra invece precluso ad Achille. L'eroe – che al cinema è stato rappresentato dalle fattezze di Brad Pitt in Troy – è in qualche modo opposto ad Ettore, con la sua inclinazione a piegare alla sua volontà tutto ciò che gli ruota intorno, tutto ciò che potrebbe essere e che invece Achille accetta che venga distrutto in favore di una gloria futura di cui lui non avrà esperienza, ma che verrà tramandata di secolo in secolo.
L'elemento più interessante di questo piccolo saggio – nella forma, mai nel contenuto – è il modo in cui l'autrice sottolinea l'intento omerico di portare in superficie la realtà secondo quale è la forza – non l'amore, non la bellezza – il vero punto nevralgico attorno cui tutto ruota. La forza di Achille, così come quella di Ettore, fa sì che entrambi vengano percepiti come belli, perché in essi portano quella che è l'illusione della perfezione. Uomini fatti di muscoli tesi e nervi pronti a scattare, che combattono non per un vero e proprio movente, ma perché la loro natura glielo impone. E, in qualche misura, questo ragionamento può essere mosso anche per Elena. La sua forza non sta nei muscoli, ma nella bellezza che ostenta, suo malgrado, e che spinge interi eserciti a farsi la guerra. Sebbene, come ci racconta la Bespaloff, la guerra è sempre qualcosa che non può essere giudicato, qualcosa che deve essere accettato. Ed è qualcosa che, in qualche misura, identifica coloro che la perpetrano. Ettore e Achille diventano eroi non per le loro doti morali o fisiche. Diventano eroi nel momento in cui si affacciano al baratro dell'annientamento, nel momento in cui la guerra è pronta a prendere tutto da loro, a tramutarli in nient'altro che terra e sangue da schiacciare sotto i piedi, pronti a diventare di nuovo tutto, proprio loro che hanno cercato di essere Uno.
In poco più di cento pagine, Rachel Bespaloff racconta di una storia senza tempo e lo fa con i toni accorati di chi sta raccontando una favola crudele, ingiusta, eppure profondamente intinta nella realtà dell'esperienza umana. Il suo stile è sicuro, colto, ma allo stesso tempo non rinuncia ad una bellezza di prosa che irretisce nella forma ancor prima che nel contenuto. E, come si diceva qualche riga più in su, il materiale con cui la Bespaloff ha riempito questo suo studio – e che spazia fino al Guerra e Pace di Tolstoj – è di quelli che sono fatti per durare in eterno, per non subire i dispetti beffardi del tempo che passa e che distrugge. Un piccolo capolavoro.