Locandina Agadah

Agadah (2017)

Agadah
Locandina Agadah
Agadah è un film del 2017 prodotto in Italia, di genere Drammatico diretto da Alberto Rondalli. Il film dura circa 126 minuti. Liberamente tratto dal celebre Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki, il film è una rilettura di uno dei grandi classici della letteratura europea. Il romanzo fu scritto in francese all'inizio del 1800 e ha avuto tra le peripezie più singolari che la storia della letteratura ricordi. "Il Manoscritto" è una serie di storie di fantasmi, intrecciate l'una nell'altra come scatole cinesi: 'un decamerone nero', suggestivo e grandioso fatto di simbolismi a volte indecifrabili in cui si ritrovano tutti gli elementi del romanticismo nero. Un classico della letteratura, un'opera titanica e a tratti inafferrabile che fu portata sullo schermo solo una volta dal polacco Wojciech Jerzy Has nel 1964 e che tanto affascinò Luis Bunuel. Il cast include Pilar López de Ayala, Jordi Mollà, Caterina Murino, Nahuel Pérez Biscayart, Valentina Cervi, Alessio Boni. In Italia, esce al cinema giovedì 16 Novembre 2017.

Siamo nel 1815, il conte Potoski sta lavorando al suo romanzo nell'elegante dimora in cui vive. Maggio 1734, Alfonso di van Worden, giovane ufficiale Vallone al servizio di Re Carlo, ha ricevuto l'ordine di raggiungere il suo reggimento a Napoli nel più breve tempo possibile. Nonostante Lopez, suo fedele servitore, cerchi di dissuaderlo dall'attraversare l'altopiano delle Murgie, perché infestato da spettri e demoni inquietanti, si mette ugualmente in cammino. In un intreccio fantastico, tra sogno e realtà, che ricorda il Decamerone e le Mille e una Notte, Alfonso compirà un percorso iniziatico, durante dieci lunghe giornate, tra allucinazioni e magia in caverne misteriose, locande malfamate, amori scabrosi e apparizioni diaboliche. Ambientato all'indomani della Battaglia di Bitonto, che portò il Regno di Napoli sotto il dominio di Carlo di Borbone, il film, in un crescendo epico e maestoso, intreccia, tra sogno e realtà, il destino di due uomini uniti in modo indissolubile attraverso storie tra loro concatenate in una realtà popolata da briganti, zingari, forche, cabalisti e fantasmi. Alfonso non avrà mai certezza se la sua esperienza sia stata reale o solo frutto dell'immaginazione.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 16 Novembre 2017
Uscita in Italia: 16/11/2017
Genere: Drammatico
Nazione: Italia - 2017
Durata: 126 minuti
Formato: Colore
Produzione: Ra.Mo.
Soggetto:
Liberamente tratto dal celebre Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki, il film è una rilettura di uno dei grandi classici della letteratura europea. Il romanzo fu scritto in francese all'inizio del 1800 e ha avuto tra le peripezie più singolari che la storia della letteratura ricordi. "Il Manoscritto" è una serie di storie di fantasmi, intrecciate l'una nell'altra come scatole cinesi: 'un decamerone nero', suggestivo e grandioso fatto di simbolismi a volte indecifrabili in cui si ritrovano tutti gli elementi del romanticismo nero. Un classico della letteratura, un'opera titanica e a tratti inafferrabile che fu portata sullo schermo solo una volta dal polacco Wojciech Jerzy Has nel 1964 e che tanto affascinò Luis Bunuel.

Immagini

[Schermo Intero]

IL ROMANZO E LA TRAMA

Per la sua complessità e per la molteplicità dei livelli di lettura, non è possibile sintetizzare esaurientemente e univocamente la trama dell'opera. Una "avvertenza" in apertura del romanzo informa del ritrovamento di un manoscritto scritto in spagnolo e successivamente tradotto in francese dall'autore del ritrovamento (il francese è in effetti la lingua in cui il polacco Potocki scrisse il romanzo). Il "manoscritto" altro non è che il romanzo che inizia subito dopo, ambientato in Spagna, suddiviso in sessantasei giornate, il cui protagonista (e narratore in prima persona) è Alfonso van Worden. Ottenuto l'incarico di capitano delle Guardie vallone, Alfonso ha deciso di raggiungere Madrid attraversando le montagne della Sierra Morena, una zona, secondo gli abitanti, frequentata dagli spiriti; qui, uno dopo l'altro, scompaiono il suo mulattiere Mosquito e il suo domestico Lopez. Giunto alla locanda conosciuta come Venta Quemada, Alfonso si accinge a dormire quando ai rintocchi della mezzanotte un'ancella nera entra in camera sua e lo invita a seguirlo. Essa lo conduce fino a una stanza sontuosamente arredata dove lo attendono due giovani dame vestite alla moresca che gli offrono da mangiare e da bere, e successivamente gli raccontano la loro storia, rivelandogli di essere sorelle e di essere sue cugine; come loro, Alfonso apparterrebbe alla stirpe dei Gomelez, che un tempo regnava nella zona delle Alpujarras vicino Granada, stirpe depositaria di un misterioso segreto. Alfonso, dopo aver solennemente promesso alle due sorelle di mantenere il silenzio su quanto ha appreso, si reca a dormire in un grande letto dove le due giovani lo raggiungono (o forse si limita a sognarlo), ma quando si sveglia si ritrova all'aperto accanto ai cadaveri dei due fratelli del bandito Zoto alla forca di Los Hermanos; le due belle fanciulle sono diventate due fetidi cadaveri. Questo schema (avventura seguita da risveglio sotto la forca dei fratelli del bandito Zoto) si ripete più volte nel corso dei tentativi di Alfonso di superare la Sierra Morena. Egli incontra un eremita e un invasato di nome Pacheco, un inquisitore, lo stesso bandito Zoto e i suoi fratelli (che sono vivi e vegeti), di nuovo le due sorelle, e ognuno di questi personaggi gli racconta la sua storia. Alfonso, nel cercare una spiegazione logica a tutto quello che gli sta capitando, si ripromette però di mantenera ferma la fedeltà ai suoi ideali e alla parola data, e riesce a resistere anche quando viene imprigionato e minacciato di tortura dall'inquisitore. In seguito, egli si unisce a una carovana di zingari, il cui capo, lo zingaro Avadoro, ogni sera al bivacco racconta una parte della sua avventurosa esistenza, interrompendosi al momento di andare a riposare e riprendendo la sera successiva. All'interno del racconto dello zingaro, che rappresenta una delle sezioni più importanti dell'intero romanzo, si apre tutta una serie di altre finestre narrative, tanto che il romanzo si configura come un romanzo-matrioska, in cui la storia principale ne racchiude un'altra, che a sua volta ne racchiude un'altra e così via. Vengono introdotti numerosi altri personaggi significativi, come l'Ebreo errante, Rebecca e suo fratello il cabalista, il geometra Velasquez, Hervas e molti altri, ognuno dei quali ha una sua storia particolare e rappresenta simbolicamente un certo tipo di umanità. Inoltre, si può dire che ognuno dei racconti introdotti esemplifichi una certa tipologia di narrazione (racconto nero o di fantasmi; racconto di avventure; racconto con ambientazione esotica; racconto moralistico; storia buffa, ecc.), tanto che, oltre a presentare una galleria pressoché infinita di personaggi, il Manoscritto rivela anche la sua ambizione di presentare e racchiudere un repertorio tendenzialmente completo di tutti i generi e le tipologie narrative, esistenti e possibili. Alcune storie contengono rimandi reciproci e allusioni a episodi condivisi, che si intrecciano fra loro spesso restituendo un senso diverso l'una all'altra. Alla fine l'arcano si svela: Alfonso van Worden, in realtà, è stato sottoposto a una prova iniziatica, che egli ha brillantemente superato, da parte della potente famiglia dei Gomelez, che progetta di ritornare a dominare il sud della Spagna; per aver superato la prova, e per essere rimasto fedele a sé stesso, alla fine egli viene premiato.

IL ROMANZO

Un sogno o forse un gioco di specchi. Un caleidoscopio di racconti e personaggi che si inseguono e si riflettono gli uni negli altri. Una tempesta di immagini, colori, suoni che ammaliano e stordiscono: incastonati sul filo del viaggio – reale o forse solo sognato – di Alfonso van Worden. Il tono è a volte ironico, a volte serio. Sempre capace di sorprendere e spiazzare il lettore tra la digressione scientifica, il racconto gotico e le spiegazioni razionali che vengono subito dopo messe in discussione. "Le vostre storie sono così complesse che mi smarrisco" dice spazientita Rebecca la Cabalista, ad un certo punto de "Il Manoscritto": ma il conte Potocki sembra divertirsi a confonderci e lasciarci come smarriti nella ragnatela di racconti, per poi riprendere il filo che sembrava smarrito, come un illusionista… Da "Il Male assoluto" di Pietro Citati: Che significa raccontare? Raccontare … non è qualcosa di lineare. Se vogliamo narrare, dobbiamo interrompere la nostra storia: dare ascolto a una seconda, a una terza, a una quarta, a una quinta voce, dentro la nostra voce fittizia: interromperci continuamente, perché ora l'ebreo errante ora il cabalista (questi grandi bugiardi) vogliono essere ascoltati; e intrecciano ogni filo con tutti gli altri fili del mondo. Nessuna attività umana è più interminabile…

IL FILM

Due sono stati i principali problemi che ho dovuto affrontare nel trarre un film da un capolavoro di straordinaria complessità e bellezza quale il "Manoscritto". Il primo di ordine drammaturgico: tra le infinite variazioni che il romanzo propone, era necessario fare una scelta per ridurre la storia ad un impianto cinematografico che da un lato rispettasse la complessità del romanzo e dall'altro permettesse la realizzazione di un film. La soluzione più naturale è stata quella di utilizzare come struttura narrativa portante quella del viaggio di uno dei protagonisti, Alfonso van Worden ("l'onesto, ingenuo e ridicolo Alfonso Van Worden…"), che diventa protagonista unico. Da questo tema principale, attraverso l'entrata in scena dei vari narratori, per gemmazione, partono le altre storie che rimangono quindi incastonate sul tema principale. In questa operazione drammaturgica ho cercato quindi di mettere in rilievo il conflitto tra i contenuti fantastici ed esoterici dei vari racconti ed il tentativo di interpretare, da parte di Alfonso, gli eventi attraverso "i lumi della ragione". Il secondo problema che mi si è posto è stato di tipo registico e può essere così riassunto: come realizzare un film nel quale si impongono una serie di effetti speciali che rispettino la ricchezza gotica e dei vari racconti fantastici senza cadere in quella sorta di estetica fantasy che si è imposta come linguaggio dominante? La risposta che ho cercato di dare è stata quella di integrare, ove possibile, gli interventi computerizzati con effetti di tipo artigianale (ad esempio con l'uso di scheletri reali opportunamente scenografati). L'impostazione drammaturgica, anche in questo caso, giustificava e rendeva possibile questa scelta: infatti la struttura portante (il viaggio di Alfonso) si svolge sempre sul crinale del reale e non determina mai l'uso di particolari effetti. E' solo nei racconti fantastici via via proposti dai vari narratori che le vicende assumono un tono fantastico e gotico che impone l'uso di effetti speciali. Si determina quindi un doppio registro: realistico il primo (il viaggio), e fantastico (i racconti dei narratori). In alcuni casi i piani narrativi addirittura si triplicano con un narratore che racconta una storia nella quale un altro narratore racconta una storia, in un gioco a incastro che costituiscono uno dei motivi di maggior fascino del "Manoscritto".

AGADAH

Un film non può mai essere l'esatta trasposizione per immagini di un'opera letteraria. In un qualche modo si realizza sempre un piccolo o grande tradimento, reso inevitabile dall'irriducibile diversità dei mezzi espressivi. E questo è ancor più vero per un'opera infinita (la versione completa consta di 66 giornate e centinaia di storie che s'intersecano) come quella di Potocki. Ho sentito quindi necessario rendere conto, a partire dal titolo di questo tradimento (che spero il Conte mi vorrà perdonare). Agadah è un termine cabalistico che si può tradurre con: narrare (nelle sue varie accezioni). A sua volta l'etimologia di narrare è "far conoscere raccontando": che mi sembra il senso più vero del film.

DEL NARRARE

"Se la Storia fallisce, il Racconto trionfa sul fallimento di ogni cosa umana, ed è l'unica realtà dell'universo." (Pietro Citati in "Potocki, lo scrittore che sfidò l'universo") Mentre narriamo o ascoltiamo un racconto, il tempo si concede una pausa. Entriamo in una dimensione sospesa dove il caos e l'angoscia del mondo rimangono esclusi. Nella narrazione gli eventi, caotici ed inconoscibili, acquistano un senso e ci pare di riuscirne a penetrare il significato. Persino le storie più fantastiche e gotiche, attraverso vie misteriose, ci consentono di conoscere qualcosa di noi stessi e del mondo; ed è in questo che consiste il fascino di questa attività primordiale ed eterna, di cui l'uomo sembra non poter fare a meno. Le storie, tutte le storie, si narrano e si ri-narrano. I personaggi si sdoppiano e si moltiplicano continuamente per riapparire in altre storie o forse nella stessa storia che si ripresenta sotto forme diverse e ci accorgiamo che tutte appartengono ad un unico racconto, cangiante ed infinito. La Storia, o se si vuole la realtà nella quale l'uomo agisce si ripresenta sempre uguale a se stessa "proponendo soltanto una diversa combinazione di bene e di male". Ed allora, il breve tempo concesso alla narrazione, diventa il fragile baluardo opposto al Nulla che ci attende. Alberto Rondalli

AGADAH – I COSTUMI

Nicoletta Taranta debutta come costumista in La classe non è acqua (1997) e Prime luci dell'alba di Lucio Gaudino (2000), per poi proseguire con molti lavori, fra cui nel 2001 Quartetto di Salvatore Piscicelli, per il quale ha curato anche le scenografie. Il Derviscio di Alberto Rondalli del 2001, Signorina Effe di Wilma Labate In seguito Romanzo Criminale di Michele Placido (2005). Per il Romanzo Criminale vincerà nel 2006 il Ciak d'Oro, il Premio Migliori Costumi, il David di Donatello Premio Migliore Costumista e ai Nastri d'Argento il Premio Migliori Costumi. Nel 2007 lavora ai costumi di L' Aria del lago di Alberto Rondalli, La Prima linea di Renato De Maria del 2009, Mediterranea di Jonas Carpignano del 2015 e La Macchinazione di David Grieco (2016).

AGADAH – LA FOTOGRAFIA

Claudio Collepiccolo è stato il direttore della fotografia di quasi tutti i film di Daniele Luchetti: Mio fratello è figlio unico (2007), La nostra vita (2010), Anni felici (2013) e Chiamatemi Francesco – Il Papa della Gente (2015). Si è occupato anche di altri progetti cinematografici, come il Derviscio di Alberto Rondalli (2001), L'Aria del Lago sempre di Rondalli (2007), Aninha e il suo Generale e Sui Passi dell'Amore (2012), Il Bacio Azzurro (2014).

AGADAH – LA SCENOGRAFIA E IL SETTING

Francesco Bronzi ha ricevuto il David di Donatello per il Miglior scenografo nel 1995 e il Nastro d'Argento alla migliore scenografia nel 1996 per il film L'uomo delle stelle, diretto da Giuseppe Tornatore. Ha studiato architettura degli interni presso l'Università degli Studi di Perugia, dove in seguito è stato docente, e ha frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia con il maestro Guido Fiorini. Ha cominciato la propria carriera a meno di vent'anni come assistente scenografo di Giorgio Giovannini, per il film I tre volti della paura (1963). Nel 1984 riceve la Nomination ai David di Donatello per la Migliore scenografia con il film Kaos dei Fratelli Taviani. Le sue ultime scenografie sono state realizzate per alcune miniserie televisive, tra cui La freccia nera (2006), per la regia di Fabrizio Costa, Coco Chanel (2008) e S.O.S. Befana (2011). Ha bissato la vittoria ai David nel 2000 con il film Canone Inverso – Making Love di Ricky Tognazzi.

INTERVISTA AL REGISTA ALBERTO RONDALLI

Quando hai deciso di fare del Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocky un film?
Avevo il film nel cassetto dal 2000, da quando giravo Il Derviscio. All'epoca pensavo di riuscire a realizzarlo con un grosso produttore e avevo fatto anche i sopralluoghi in Spagna, poi tutto si è bloccato. La sceneggiatura era quindi già pronta da 15 anni, ma il progetto era talmente ambizioso, complesso e difficile da realizzare che ho dovuto metterlo costantemente da parte. L'occasione è arrivata quando ho incontrato Pino Rabolini, una persona amante delle sfide e desiderosa di cimentarsi in una nuova esperienza imprenditoriale e di vita.

Cosa ti ha affascinato di questo romanzo?
Il fatto che il Manoscritto sia un testo definitivo, una sorta di summa totale di tentativi da parte di uno scrittore di raccontare tutto il raccontabile compiendo così il massimo sforzo che una mente umana possa fare. Quando ho letto il romanzo, mi sono lasciato completamente catturare dalla forza della narrazione, dalla capacità di affabulare e di essere affabulato, e mi sono reso conto che il racconto, come sosteneva lo scrittore Pietro Citati nel suo libro Il Male assoluto, è l'unica cosa che può sopravvivere al caos della storia. La narrazione ci dà infatti l'illusione di mettere ordine agli eventi dell'esistenza e di dare loro un senso, ed è per questo che è l'attività più umana e necessaria che ha l'essere umano. Senza saremmo disperati, proprio come Potocki o il suo doppio, il personaggio di Diego Harvas: entrambi infatti hanno scelto il suicidio di fronte al fallimento del loro tentativo di comprendere e raccontare il mondo. In questa necessità della narrazione, risiede per me tutta la modernità de Il Manoscritto.

Perché hai scelto di intitolare il tuo film Agadah?
Un film non può mai essere l'esatta trasposizione di un'opera letteraria. C'è sempre un piccolo o grande tradimento nel passaggio, reso inevitabile dall'irriducibile diversità dei mezzi espressivi. E questo è ancor più vero per un'opera infinita come Il Manoscritto. Ho deciso così di denunciare subito questo tradimento, a partire dal titolo: Agadah, termine cabalistico che si può tradurre con "narrare". A sua volta l'etimologia della parola narrare è "far conoscere raccontando" che, per me ripeto, è il senso più profondo del film.

Nel 1964 il regista polacco Wojciech Has ha fatto una trasposizione cinematografica de Il Manoscritto. Hai preso le distanze dal suo film o la sua opera ti ha ispirato?
Diversamente da Has ho scelto di raccontare alcuni episodi racchiusi in dieci giornate, mentre Has ha scelto le cosiddette "storie spagnole", che sono molto divertenti e picaresche, ma del tutto diverse dalle mie. Ci accomuna solo la struttura del viaggio di Alfonso van Worden. Il mio Alfonso è un adolescente: Potocki lo descrive, "senza un pelo di barba"; l'Alfonso di Has è invece un uomo adulto, e questo a mio parere toglie al personaggio l'aspetto del viaggio iniziatico del giovane uomo. Ad ogni modo ho visto la pellicola di Has più volte e l'ho anche citata in Agadah: l'inquadratura delle mani congiunte degli scheletri del padre e della madre di Alfonso quando si sposano sono il mio omaggio a questo regista.

L'edizione integrale del Manoscritto è suddivisa in 66 giornate e conta 700 pagine e un centinaio di storie. In che modo hai selezionato le sedici storie di Agadah?
Il Manoscritto è un romanzo su cui un regista potrebbe fare film tutta la vita senza riuscire a esaurirne tutte le storie. Ho scelto di raccontare la storia portante e poi quei racconti che mi sembravano spiegassero meglio sia il personaggio di Alfonso sia lo stesso Potocki, ovvero le vicende legate a Diego Hervas e a suo figlio, anche se l'autore è presente in ogni storia e, in trasparenza, è in tutti i suoi personaggi.

Il film ti è costato un grande lavoro di documentazione storica?
Sì ma in quindici anni ho avuto tutto il tempo di fare un lavoro accurato. Con la costumista e lo scenografo ho cercato di ricostruire in maniera quanto più realistica gli ambienti e i costumi. Avevo disegnato come sempre tutte le scene, ma questa volta mi sono dovuto anche adattare alle situazioni che si sono venute a creare, perché tante storie e diverse location hanno comportato anche molte variazioni.
A proposito di location, come mai hai deciso di girare in Italia?
Il Manoscritto è ambientato nella Serra Morena, ma la storia poteva essere benissimo adattata in Sicilia o in Puglia, perché sono terre che hanno subìto la dominazione borbonica e sono state anche loro attraversate da banditi, zingari, scuole cabalistiche. Alla fine abbiamo optato per la Puglia e la scelta è stata perfetta, perché alcune sue zone desertiche richiamano molto quelle della Spagna.

Come hai scelto l'attore che interpreta Alfonso e come avete lavorato insieme?
Avevo bisogno di un attore giovane o almeno che sembrasse tale, ma che fosse allo stesso tempo molto solido, perché occorre molta forza per sostenere la leggerezza di Alfonso. Nahuel è un grande attore, meticoloso e molto preparato, che in sole due settimane ha imparato ad andare a cavallo. Il suo, però, non è un personaggio semplice e all'inizio era disorientato. Per aiutarlo a restituire la leggerezza di Alfonso, gli ho suggerito di pensare a Charlot, mentre, ad esempio, per dargli qualche riferimento sulla gestualità di un uomo del '700 gli ho chiesto di imparare a ballare il Minuetto.

Per ricreare gli ambienti del film hai avuto dei riferimenti iconografici?
Sì. Ho lavorato nuovamente con il direttore della fotografia Claudio Collepiccolo proprio perché abbiamo un'intesa consolidata sul tipo di luce da usare e sui riferimenti pittorici da adottare. L'immagine dell'Oriente nel mio film non vuole essere filologicamente orientale ma direi orientalista ed è stata dedotta proprio da tanti quadri del '700 e '800 di pittori che hanno visitato l'Oriente o semplicemente l'hanno immaginato attraverso i loro occhi di occidentali. Certi tagli di luce sono caravaggeschi, altri sono più vicini all'olandese Jan Vermeer. In alcuni casi abbiamo utilizzato l'illuminazione naturale delle candele, facendo riferimento a un pittore come Georges De La Tour, oltre naturalmente a Kubrick che in questo è stato un maestro. E ancora, nelle scene più leggere ci siamo ispirati ai quadri di Jean-Honoré Fragonard, per altre ancora abbiamo tratto ispirazione da Le tre età dell'uomo e la morte di Hans Baldung Grien. Ogni scena delle 16 storie di Agadah ha una suggestione pittorica.

E per gli scheletri, ti sei ispirato ad altri film?
No, mi hanno ispirato i lavori del fratello del pittore Fragonard, Honoré, e la sua serie di "scorticati": cadaveri sezionati e imbalsamati in vere e proprie pose artistiche e finanche le mummie delle Catacombe dei Cappuccini di Palermo. Per la loro realizzazione abbiamo utilizzato degli scheletri a grandezza naturale (di uso medico), che sono stati truccati da Matteo Arfanotti, un campione di body painting, digitalizzati e in seguito animati.

E le musiche, che ruolo giocano nel tuo film?
Hanno un valore drammaturgico, di punteggiatura della storia, non sono solo un sottofondo. Il tema di Alfonso, ad esempio, è un tema che si ripete nelle dieci giornate ma si arricchisce di variazioni differenti, perché differenti sono le avventure che lui vive. Ho lavorato con Alessandro Sironi per la realizzazione della colonna sonora e sono state da lui composte delle musiche barocche romantiche, mentre per la parte cantata abbiamo scelto di avvalerci di cantanti liriche, di cori e di una cantante argentina contemporanea.

L'immagine orientalista dell'Oriente di Potocki sembra oggi molto ingenua. Qual è il tuo rapporto con il cinema arabo di oggi: lo vedi, hai dei registi di riferimento?
La visione orientalista dell'Oriente in Agadah è distante dalla realtà ed il film non ha alcun intento filologico. Ho viaggiato moltissimo nei paesi arabi, e tra i registi arabi amo, tra gli altri, il tunisino Nacer Khemir, che nei suoi film restituisce quell'atmosfera misteriosa e magica dell'Oriente.

Come pensi reagirà il pubblico?
Non lo so, ma spero che sia un pubblico semplicemente disposto a lasciarsi andare al racconto.

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