L'Ufficiale e La Spia (2019)
J'accuseGennaio del 1895, pochi mesi prima che i fratelli Lumière diano vita a quello che convenzionalmente chiamiamo Cinema, nel cortile dell’École Militaire di Parigi, Georges Picquart, un ufficiale dell’esercito francese, presenzia alla pubblica condanna e all’umiliante degradazione inflitta ad Alfred Dreyfus, un capitano ebreo, accusato di essere stato un informatore dei nemici tedeschi. Al disonore segue l’esilio e la sentenza condanna il traditore ad essere confinato sull’isola del Diavolo, nella Guyana francese. Un atollo sperduto dove Dreyfus lenisce angoscia e solitudine scrivendo delle lettere accorate alla moglie lontana. Il caso sembra archiviato. Picquart guadagna la promozione a capo della Sezione di statistica, la stessa unità del controspionaggio militare che aveva montato le accuse contro Dreyfus. Ed è allora che si accorge che il passaggio di informazioni al nemico non si è ancora arrestato. E se Dreyfus fosse stato condannato ingiustamente? E se fosse la vittima di un piano ordito proprio da alcuni militari del controspionaggio? Questi interrogativi affollano la mente di Picquart, ormai determinato a scoprire la verità anche a costo di diventare un bersaglio o una figura scomoda per i suoi stessi superiori. L’ufficiale e la spia, adesso uniti e pronti ad ogni sacrificio pur di difendere il proprio onore. L’affare Dreyfus è uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia, avvenuto in Francia tra il 1894 e il 1906 e che vide protagonista il soldato ebreo francese Alfred Dreyfus, ingiustamente accusato di essere una spia e quindi processato per alto tradimento. Dreyfus sostenne fermamente la sua innocenza combattendo contro un’intera nazione. Il suo caso ebbe una notevole risonanza mediatica dividendo l’opinione pubblica del tempo, tra chi ne sosteneva l’innocenza e chi lo riteneva invece colpevole. Tra gli innocentisti si schierò Émile Zola, il quale scrisse un articolo in cui puntava il dito contro il clima di antisemitismo imperante nella Terza Repubblica francese. Tale intervento venne intitolato proprio J’Accuse.
Info Tecniche e Distribuzione
Uscita al Cinema in Italia: giovedì 21 Novembre 2019Uscita in Italia: 21/11/2019
Prima Uscita: 13/11/2019 (Francia)
Genere: Drammatico, Storico, Thriller
Nazione: Francia - 2019
Durata: 126 minuti
Formato: Colore
Produzione: Legende, R.P. Productions, Eliseo Cinema, Rai Cinema, Gaumont (co-produzione), France 2 Cinema (co-produzione), France 3 Cinema (co-produzione), Kinoprime Foundation (co-produzione), Kenosis (co-produzione), Horus Movies (co-produzione), Ratpac (co-produzione), France Televisions Ocs (con la partecipazione di), Canal+ (con la partecipazione di), Regione Ile-De-France (con il supporto di), Cnc (Création Visuelle Et Sonore Numérique) (con il supporto di), Eutourage Pictures (in associazione con), Palatine Etoile 16 (in associazione con), Optimum Developpement (in associazione con), L'arbre Holding (in associazione con)
Distribuzione: 01 Distribution
Box Office: Italia: 3.208.764 euro
Soggetto:
Polanski ha scritto la sceneggiatura insieme a Robert Harris, autore del romanzo da cui il film è tratto, L'ufficiale e la spia (The Dreyfus Affair), in Italia edito Mondadori. Da un romanzo di Harris il regista premio Oscar per Il pianista aveva già tratto nel 2010 il suo L'uomo nell'ombra.
Conosciuto anche come: An Officer and a Spy [USA]
In HomeVideo: in Digitale da giovedì 5 Marzo 2020 e in DVD da giovedì 12 Marzo 2020 [scopri DVD e Blu-ray]
Passaggi in TV:
• domenica 10 Dicembre ore 12:25 su Sky Cinema Due
Cast e personaggi
Regia: Roman PolanskiSceneggiatura: Robert Harris, Roman Polanski
Musiche: Alexandre Desplat
Fotografia: Pawel Edelman
Scenografia: Jean Rabasse
Montaggio: Hervé de Luze
Costumi: Pascaline Chavanne
Cast Artistico e Ruoli:
Jean Dujardin
Marie Georges Picquart
Louis Garrel
Alfred Dreyfus
Emmanuelle Seigner
Pauline Monnier
Grégory Gadebois
Comandante Joseph Henry
Hervé Pierre
Generale Charles-Arthur Gonse
Didier Sandre
Generale Raoul Le Mouton De Boisdeffre
Wladimir Yordanoff
Generale Auguste Mercier
Mathieu Amalric
Alphonse Bertillon
Damien Bonnard
Jean-Alfred Desvernine
Eric Ruf
Colonnello Jean Sandherr
Laurent Stocker
Generale Georges De Pellieux
Michel Vuillermoz
Colonnello Armand Du Paty De Clam
Vincent Grass
Generale Jean-Baptiste Billot
Denis Podalydes
Maître Edgar Demange
Vincent Perez
Louis Leblois
Melvil Poupaud
Maître Fernand Labori
Laurent Natrella
Ferdinand Walsin Esterhazy
Produttori:
Alain Goldman (Produttore), Luca Barbareschi (Coproduttore), Roman Abramovich (Produttore esecutivo), Zbigniew Raczynski (Produttore esecutivo), Lukasz Raczynski (Produttore esecutivo), Costantino Margiotta (Produttore esecutivo)
Assistente alla regia: Hubert Engammare. Casting: Michaël Laguens. Suono: Lucien Balibar, Aymeric Devoldere, Cyril Holtz. Capo Truccatore: Vesna Peborde. Capo Parrucchiere: Agathe Dupuis. Organizzatore di Post Produzione: Abraham Goldblat. Organizzatore Generale: Cyrille Bragnier.
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COMMENTO DEL REGISTA
Il film è basato sull’affaire Dreyfus, argomento cui penso da molti anni. In questo scandalo di vaste proporzioni, forse il più clamoroso del diciannovesimo secolo, si intrecciano l’errore giudiziario, il fallimento della giustizia e l’antisemitismo. Il caso Dreyfus divise la Francia per dodici anni, causando una vera e propria sollevazione in tutto il mondo, e rimane ancora oggi un simbolo dell’iniquità di cui sono capaci le autorità politiche, nel nome degli interessi nazionali.
INTERVISTA A Roman Polanski
Roman Polanski, perché ha voluto girare un film sull’Affare Dreyfus, sulla svolta decisiva che rappresenta nella storia della Francia e dell’Europa? Dalle grandi storie spesso nascono grandi film e l’Affare Dreyfus è una storia eccezionale. La storia di un uomo accusato ingiustamente è sempre affascinante, inoltre è un tema estremamente attuale vista la recrudescenza dell’antisemitismo.
Qual è la genesi del film?
Quando ero molto giovane, vidi il film Emilio Zola e rimasi scosso dalla scena in cui il capitano Dreyfus viene disonorato. Già allora, mi dissi che un giorno avrei dovuto girare un film su questa terribile storia.
È andato incontro ad una serie di battute d’arresto prima di poter girare il film. Innanzitutto la scelta della lingua, in quanto i primi produttori con cui aveva parlato, volevano che il film fosse in inglese.
Sette anni fa, quando ho proposto il progetto ai miei amici e ai miei soci di allora, sono stati molto entusiasti all’idea ma pensavano che fosse fondamentale che il film fosse in inglese per ottenere i finanziamenti dei distributori internazionali, in particolare di quelli americani. È vero che i film americani girati in Francia sono immancabilmente girati in inglese, Emilio Zola ne è il tipico esempio. Era più facile vendere i film sui mercati internazionali se erano in inglese. Addirittura, Stanley Kubrick ha girato, il suo film sulla Prima Guerra Mondiale, Orizzonti di Gloria, in inglese. Ma io non riuscivo proprio ad immaginare tutti quei generali francesi parlare in inglese. Il pubblico attuale è molto più evoluto e ama vedere i film e le serie TV in lingua originale con i sottotitoli.
Alla fine, Alain Goldman si è proposto di produrre il film in francese.
Esatto, l’anno scorso, nel gennaio del 2018, Alain Goldman si è proposto di produrre il film in francese. Chiaramente ne sono stato felicissimo! È iniziata così la nostra grande avventura, abbiamo iniziato a girare a novembre. Ed eccoci qui!
Come ha lavorato sul progetto?
Io e Robert Harris avevamo appena finito di girare L’uomo nell’ombra. Robert era molto entusiasta all’idea, così ci siamo subito messi al lavoro. All’inizio ci era sembrato evidente che avremmo dovuto raccontare la storia dal punto di vista di Dreyfus ma presto ci siamo resi conto che non avrebbe funzionato; la storia era completamente ambientata a Parigi, i personaggi principali e i colpi di scena mentre il nostro protagonista principale era rinchiuso sull’Isola del Diavolo. La sola storia che avremmo potuto raccontare sarebbe stata la storia della sua sofferenza. È stata una scelta molto combattuta e dopo più di un anno di lavoro, Robert ha trovato una soluzione al nostro dilemma: sarebbe stato meglio lasciare Dreyfus sull’isola e raccontare la storia dal punto di vista del colonnello Picquart, uno dei principali protagonisti di questa storia. Ma dovevamo anche guadagnarci da vivere, così abbiamo messo il progetto da parte mentre io giravo un altro film e Robert scriveva un romanzo sull’Affare Dreyfus. Ha lavorato su questa storia per un anno e il suo libro, estremamente ben documentato, L’ufficiale e la spia (il titolo francese, D., è un po’ strano), è diventato subito un best seller. Nel frattempo, io avevo finito di girare Venere in pelliccia e quando ci siamo rivisti, per parlare della nostra storia, sapevamo come volevamo raccontarla.
Come ha selezionato il cast?
Jean Dujardin mi è sembrato perfetto per interpretare il colonnello Picquart: gli somiglia fisicamente, ha la stessa età e per giunta è un grande attore. Un film di questa importanza ha bisogno di una star e Jean Dujardin lo è, non per niente ha vinto un Oscar! Ci è parsa una scelta ovvia, dovevamo solo verificare che fosse interessato al progetto. Ed infatti, era impaziente all’idea di recitare nel film.
Quindi la vostra scelta narrativa è stata quella di fare del colonnello Picquart il protagonista principale del film. All’epoca, era uno scapolo e la sua amante (interpretata da Emmanuelle Seigner) era sposata con un alto ufficiale dello Stato. È un outsider e un ‘banale antisemita’, così come lo erano tutti alla fine del XIX secolo. Eppure, sarà lui a salvare involontariamente Dreyfus…
Il colonnello Picquart è un personaggio affascinante e complesso. Non è un fervido antisemita. Non gli piacciono gli ebrei ma più per consuetudine che per convinzione personale. In quanto ufficiale del controspionaggio, quando scopre che Dreyfus è innocente, prende molto a cuore il caso e decide di scoprire la verità. Quando ne parla al suo superiore, gli viene intimato di tacere: l’esercito non avrebbe mai potuto commettere un simile errore! Nonostante la débâcle del 1870, l’esercito come la Chiesa è sacrosanto. Non interessa a nessuno che i soldati si sentano in colpa o affrontino un dilemma morale: si tratta di Verità e Giustizia.
Cosa fa decidere il colonnello Picquart ad opporsi alla versione ufficiale? La purezza dei suoi principi morali o allora la sua ubbidienza all’etica militare?
Nel film c’è una discussione memorabile tra Picquart e il maggiore Henry, il suo principale antagonista. Il maggiore Henry dice: “Mi ordina di uccidere un uomo e io lo faccio. Mi dice che è stato un errore, mi dispiace ma non è colpa mia. L’esercito è così.” E Picquart risponde: “È forse il suo esercito, maggiore, no di certo il mio”.
Questa battuta riflette una realtà ancora attuale. I soldati sono obbligati ad uccidere per il loro Paese ma se pertanto un crimine di guerra è commesso non sono obbligati ad insabbiarlo.
Ad un certo punto, il colonnello Picquart si trova nella stessa situazione difficile di Dreyfus: arrestato, denunciato e accusato di tradimento dall’estrema destra.
Perché decide di agire secondo coscienza ed è animato dal bisogno di conoscere la verità piuttosto che di ubbidire all’etica militare. Tutto inizia con un dubbio che sorge a proposito della somiglianza tra la calligrafia di Esterhazy e quella in cui è scritta una lettera recuperata all’Ambasciata tedesca, il famoso “bordereau”, poi il dubbio lo spinge progressivamente ad indagare. Picquart continua ad investigare sebbene gli sia stato detto di smettere e scopre nuove prove della colpevolezza di Esterhazy. E man mano che la verità affiora, è sempre più inorridito dalla gravità dell’errore.
Il padre del filosofo Emmanuel Levinas (1906-1995), un libraio lituano, a quanto pare gli consigliò di trasferirsi in Francia, sostenendo che “un Paese che si divide per l’onore di un piccolo capitano ebreo, è un Paese in cui una persona giusta dovrebbe sbrigarsi ad andare”.
È vero, all’epoca c’erano gli “antidreyfusardi” ma anche i “dreyfusardi” e alla fine è stata provata l’innocenza di Dreyfus. Quindi la Francia ne esce piuttosto bene, sebbene il caso sia stato risolto dopo venti anni rischiando di far sprofondare il Paese in una guerra civile.
Il film presentava un’altra sfida, quella di far conoscere l’Affare Dreyfus ad un pubblico giovane a cui la storia non è nota.
Quando mi chiedevano dei miei progetti e rispondevo che stavo lavorando ad un film sull’Affare Dreyfus, tutti pensavano che fosse fantastico. Ma ben presto mi sono reso conto che molti non sapevano cvvosa fosse davvero accaduto. È uno di quegli eventi storici che tutti pensano di conoscere, ignorandone però la reale essenza.
Un‘altra cosa che mi ha colpito nel film, è lo stato pietoso in cui era il controspionaggio francese all’epoca. La “Section de Statistiques” in cui gli informatori giocano a carte mentre bevono alcol, il portiere è mezzo addormentato, le intercettazioni sembrano patetiche e le risorse tecnologiche fatiscenti sorprenderanno il pubblico attuale. Lo shock tecnologico è impressionante rispetto a ciò che conosciamo oggi del controspionaggio.
Anche questo è autentico e senza dubbio sembrava moderno allora. Era l’epoca delle prime automobili, i primi telefoni e le macchine fotografiche della Kodak! Anche qui, le ricerche fatte da Robert per il suo libro sono state estremamente utili. D’altra parte, questa arroganza tecnologica fece sì che alcuni investigatori, tra cui il noto esperto Bertillon, commisero un certo numero di errori determinanti e rifiutarono di cambiare idea.
La prova che in un primo momento fa incolpare Dreyfus e successivamente lo scagiona è il “bordereau”.
Si tratta di una lettera strappata, rubata dal cestino dell’ufficio dell’addetto militare dell’Ambasciata tedesca. Nella lettera, un ufficiale francese propone di fornire ai tedeschi segreti militari, comprese informazioni riguardanti l’obice 120 mm. L’esercito francese era molto sensibile alla fuga di informazioni in quanto stava mettendo a punto un nuovo pezzo di artiglieria, l’obice 75 mm, una canna da fucile senza rinculo, creata per assorbire l’impatto del proiettile, che rappresentava un progresso importante.
In questo senso, il film ha un interesse didattico, in quanto permette a tutti, compresi quelli che non conoscono niente di questo caso, di capire la sfida politica e filosofica che affronta Picquart. Si tratta quasi di un’indagine poliziesca.
Lo chiamerei addirittura un giallo. La storia è narrata da un punto di vista completamente soggettivo, il pubblico condivide ogni fase dell’indagine con Picquart. Ogni evento fondamentale è autentico, sono le stesse parole che furono proferite allora, perché sono tratte dalle registrazioni dell’epoca.
C’è l’ostilità dell’opinione pubblica, del maggiore Henry che vuole prendere il posto di Picquart, dello Stato Maggiore, e poi ci sono tutti quelli che vogliono aiutare Dreyfus come Emile Zola e Clemenceau.
È stato Emile Zola a portare alla luce il caso scrivendo il suo famoso J’accuse, una lettera scritta al Presidente della Repubblica Francese che fu pubblicata sulla rivista L’Aurore. Senza questa lettera chissà come sarebbe finita. Anche Clemenceau ha giocato un ruolo determinante. Sette anni dopo la fine del caso, quando era Primo Ministro, nominò Picquart Ministro della Guerra.
Picquart pagò caro il suo coinvolgimento in quanto fu condannato ad un anno di prigione e ad una multa di 3000 franchi francesi. Morì asfissiato dal fumo della sua stufa; alcuni dicono che sia stato assassinato dagli antidreyfusardi. Ad ogni modo, il giornale antisemita di Edouard Drumont, La Libre Parole esultò alla notizia della sua morte.
Nel suo film si possono vedere anche dei manifesti con su scritto ‘Morte agli ebrei’. L’antisemitismo non è sparito, è cambiato, ha assunto un altro volto, è diventato un argomento per gli estremisti di sinistra, i nemici di Israele e gli islamisti radicali. Crede che oggi un nuovo caso Dreyfus possa verificarsi o allora le sembra impensabile?
Con le nuove tecnologie sarebbe impossibile immaginare un caso in cui una persona viene accusata in base ad un’analisi grafologica sbagliata. E sicuramente non nell’esercito, in quanto la mentalità militare è cambiata. L’esercito non è più ‘sacrosanto’.
Oggi abbiamo il diritto di criticare qualsiasi cosa incluso l’esercito, mentre a quel tempo lo stesso aveva un potere illimitato. Ma un altro caso, sì, è possibile.
Ci sono tutti gli elementi perché possa succedere: false accuse, pessime procedure giudiziarie, giudici corrotti, e soprattutto “social media” che condannano senza un processo equo e senza diritto di appello.
In quanto ebreo braccato durante la guerra e regista perseguitato dagli stalinisti in Polonia, sopravvivrà all’attuale maccartismo femminista che le dà la caccia e cerca di impedire la proiezione dei suoi film, e che tra le tante vessazioni l’ha fatta cacciare dall’Oscar Academy?
Lavorare, fare film come questo mi aiuta molto. In questa storia, ritrovo momenti che io stesso ho sperimentato, posso osservare la stessa determinazione nel negare l’evidenza e nel condannarmi per cose che non ho commesso.
La maggioranza delle persone che mi perseguitano, non mi conoscono e non sanno niente del caso.
Questo film è stato una catarsi per Lei?
No, non lavoro così. Il mio lavoro non è una terapia. Comunque devo ammettere che molte delle dinamiche che sono dietro il sistema persecutorio mostrato nel film, mi sono familiari e mi hanno chiaramente ispirato.
La persecuzione che Lei vive è cominciata con l’assassinio di Sharon Tate? La maniera in cui la gente mi vede, la mia ‘immagine’ ha iniziato a delinearsi con la morte di Sharon Tate. Quando è accaduto, sebbene io stessi attraversando già un momento terribile, la stampa si impossessò della tragedia e, non sapendo esattamente come trattare la questione, l’affrontò nel modo più ignobile, insinuando, tra le altre cose, che io fossi responsabile dell’assassinio su uno sfondo di satanismo. Per la stampa, il mio film Rosemary’s Baby, era la prova che io fossi in combutta con il diavolo! Fu necessario che trascorressero molti mesi prima che, finalmente, la polizia trovasse i veri assassini, Charles Manson e la sua “famiglia”. Questa storia mi perseguita ancora oggi, ogni cosa è come una palla di neve, ogni stagione che passa, aggiunge un nuovo strato. Storie assurde di donne mai conosciute che mi accusano di cose accadute, in teoria, più di mezzo secolo fa.
Non vuole difendersi?
Per fare cosa? Sarebbe come combattere contro i mulini a vento.
INTERVISTA A Jean Dujardin
Il nuovo film di Roman Polanski racconta l’Affare Dreyfus dal punto di vista del colonnello Picquart, un eroe caduto nell’oblio e il personaggio che Lei interpreta. Cosa sapeva di questo personaggio chiave, così poco conosciuto?
L’Affare Dreyfus è un evento storico fondamentale che sconvolse e divise la società francese. Tutti facciamo riferimento all’Affare Dreyfus e crediamo tutti di conoscerlo sebbene, in realtà, sappiamo ben poco di questo evento. Roman Polanski ha deciso di raccontare la storia dal punto di vista del colonnello Picquart, un personaggio cruciale di cui non conoscevo la storia. Picquart è stato il più giovane tenente colonnello della storia, era originario dell’Alsazia come Dreyfus. Durante il caso, Picquart è combattuto tra la sua lealtà verso l’esercito e la verità. La fede cattolica e l’antisemitismo vigevano in Francia all’epoca e il Paese non aveva nessuna intenzione di cedere potere. Era un Paese in cui l’esercito aveva una posizione centrale. Picquart ha una coscienza morale ma anche un senso del dovere: sconfigge il dubbio ed è abbastanza coraggioso per sacrificare la sua carriera in favore della verità. Ho già interpretato ruoli drammatici ma questo personaggio mi ha regalato un’intensità e una finezza mai sperimentati prima.
Come si è preparato a questa interpretazione prima di iniziare le riprese del film?
Mi sono preparato come esige Roman, con grande cura e attenzione per i dettagli. Ho studiato il testo accuratamente così da poter reagire alle sue direttive nel modo più assoluto. Mi sono immerso nel testo per due mesi, mi sono esercitato con un coach e mi sono chiuso in me stesso. Ho ripetuto fino a che mi girava la testa in modo da essere completamente sicuro nel momento delle riprese. Dato che Roman è un regista estremamente tecnico, ho dovuto esserlo anch’io nel mio modo di recitare. Lui rompe codici e convenzioni e bisogna adattarsi al modo in cui lavora. Per lui, ho lavorato sulla rabbia fredda, un’emozione controllata che raramente si richiede ad un attore. Bisogna essere perfetti sul testo, precisi nella recitazione e allo stesso tempo flessibili per adattarsi alle sue direttive. Il testo di L’ufficiale e la spia è un testo letterario, pieno di trabocchetti. Bisogna masticarlo, ingoiarlo e restituirlo senza riflettere. Se Roman mi avesse offerto la parte cinque anni fa, non sono sicuro che avrei osato accettare. Infatti, a mia grande sorpresa, mi sono ritrovato in uno stato di grande concentrazione quasi meditativa che mi è piaciuto molto.
Ho dovuto lavorare molto anche sul mio aspetto. Roman voleva che fossi più muscoloso, con una silhouette ben disegnata. Aveva ragione, mi ha fatto sembrare più giovane, più simile ad un soldato e più battagliero.
Durante le riprese Lei indossava un’uniforme dell’epoca. L’ha aiutata ad entrare nel ruolo o ha influenzato il suo modo di recitare?
Sono a mio agio negli abiti militari da quando ho interpretato il capitano Neuville in Il ritorno di un eroe (Le retour d’un héros) di Laurent Tirard nel 2017. Ma in ogni caso, non recito grazie ad un travestimento. Posso basarmi su un costume, usarlo come supporto ma l’obbiettivo non è quello di fare una caricatura o esagerare un personaggio che è già lì. Ho tratto ispirazione da riferimenti storici, dalla mia vita e dalla mia esperienza. Non mi nascondo dietro personaggi artefatti come ho potuto fare in passato. La finzione è come un muscolo e in questo caso eravamo vicini all’osso.
In quali condizioni è stato girato il film?
Roman aveva questo progetto da dieci anni. Ha detto poco sull’origine di questa scelta; è una persona molto riservata. Abbiamo girato dalla fine di novembre ad aprile per circa 75 giorni. Le riprese sono state molto lunghe: è raro girare così a lungo. Per circa sei mesi ho condotto una vita monastica, ritirata che a tratti contrastava con la forza emotiva delle riprese. Il mio ricordo più impressionante è legato alla scena che si svolge al Tribunale di Parigi, lo stesso luogo in cui si tenne il processo al generale Petain nel 1945. Durante la scena, sono sul banco dei testimoni di fronte a 400 comparse. Ho sentito un’emozione unica. Roman ha preteso molto da me, una recitazione piena di introspezione su me stesso e su ciò che sono. Ero molto concentrato durante le riprese, concentratissimo. Roman esige questo tipo di raccoglimento.
È la prima volta che ha lavorato con Polanski. Come ha affrontato questa collaborazione?
Polanski è il primo maestro che io abbia mai incontrato. È un regista che esige dagli altri la stessa precisione che esige da sé stesso. Bisogna seguirlo e non perdersi altrimenti ti starà addosso: ficca il naso dappertutto, in ogni dettaglio delle riprese. Roman ha studiato all’Accademia di Belle Arti e costruisce le inquadrature come dei dipinti. Ogni dettaglio deve essere perfetto: le tende in una camera, un ramo nella foresta e così via. Presta la stessa attenzione ai dettagli nel dirigere i suoi attori. Puoi ripetere una scena trenta volte prima di girarla purché risulti vera. Roman è una persona complessa ed esigente che non permetterà che niente lo distolga dal sentiero che ha tracciato. Deve poter avere una chiara visione del progetto, fino alla fine. Ha bisogno di cercare e trovare la verità. L’ufficiale e la spia è un film decisivo per lui, proprio come Il pianista. Non si tratta solo di fare un film, lui vive la storia e ci porta con sé dentro di lei. Mi piace molto questo modo di lavorare e mi metto al servizio della storia.
L‘ufficiale e la spia è un film dalle molteplici sfaccettature, non è solamente un film storico. Come lo definirebbe?
Polanski è un regista ossessionato da una domanda: come può rinforzare la trama e fare in modo che il film sia riuscito fino a che tutto ciò che rimane diventi pura sostanza. Roman non è un amante di pompose e noiose rievocazioni storiche, L’ufficiale e la spia è un film decisamente moderno, un thriller dei nostri tempi. Straordinario ma anche necessario, influenzato dal suo tempo. Abbiamo dovuto girare delle scene in cui la gente bruciava i libri di Zola in mezzo alla strada, in seguito al sostegno che aveva espresso nei confronti di Dreyfus. Le scene sono state girate giusto due giorni dopo le scritte antisemite ‘Juden!’ (ebrei) sulla vetrina di Bagelstein, un panificio ebreo che si trova a Parigi. Durante tutta la produzione siamo sempre stati consapevoli che il film faceva eco alla realtà odierna, in cui l’antisemitismo ha assunto nuovi volti. È un film che dovrebbe essere proiettato nelle scuole: mostra coraggio e integrità.
HomeVideo (beta)
info: 21/11/2019.
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