Locandina Ma Loute

Ma Loute (2016)

Ma Loute
Locandina Ma Loute
Ma Loute è un film del 2016 prodotto in USA, di genere Commedia diretto da Bruno Dumont. Il film dura circa 122 minuti. Il cast include Fabrice Luchini, Juliette Binoche, Valeria Bruni Tedeschi, Jean-Luc Vincent, Brandon Lavieville, Didier Després. In Italia, esce al cinema giovedì 25 Agosto 2016 distribuito da Movies Inspired. Al Box Office italiano ha incassato circa 88972 euro.

Estate 1910. numerosi turisti sono scomparsi mentre si rilassavano nelle splendide spiagge della Channel Coast. Gli ispettori Machin e il suo assistente Malfoy capiscono che l'epicentro delle misteriose sparizioni deve essere Slack Bay. Nel frattempo tra i Van Peteghem, borghesi in villeggiatura, e i Brefort, famiglia di pescatori della zona scatterà una soprendente scintilla…

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 25 Agosto 2016
Uscita in Italia: 25/08/2016
Genere: Commedia
Nazione: USA - 2016
Durata: 122 minuti
Formato: Colore
Distribuzione: Movies Inspired
Box Office: Italia: 88.972 euro
Conosciuto anche come: Slack Bay [USA]

Immagini

[Schermo Intero]

NOTE DI REGIA

Dopo P'tit Quinquin. Volevo fare un film commedia, ma non riuscivo a trovare la chiave, la tonalità giusta. Accantonai l'idea per parecchio tempo, girando altri film, affrontando altri generi. Poi l'emittente Arte mi chiese di dirigere una serie TV. Mi davano carta bianca, così decisi di imbarcarmi nell'avventura di una commedia poliziesca, a modo mio però, sperimentando. Intuivo che l'azione drammatica avrebbe dovuto essere la forza trainante dello humor. Ho iniziato così da ciò che sapevo fare, da ciò che conoscevo, aggiungendo una dimensione burlesca, addirittura grottesca. Il successo di P'tit Quinquin mi ha dato fiducia e ho deciso di voler prolungare questa esperienza trasferendola al cinema, sfruttando al massimo i vantaggi che il grande schermo offre in termini di narrazione ed immagini. Desideravo che Ma Loute avesse una qualità cinematografica e fosse al contempo spassoso. E volevo prendere le distanze dal così detto naturalismo che, mio malgrado, è da sempre attribuito alle mie opere.

Souvenirs della Baia di Slack. Mentre ero alla ricerca di un soggetto per una commedia da girare nella Costa d'Opale – la regione che conosco bene e nella quale vivo – mi imbattei in alcune vecchie cartoline, in particolare, alcune che mostravano i "Passeurs de la baie de la Slack", gli abitanti del posto, che trasportavano le persone del ceto medio da una riva all'altra del fiume Slack all'inizio del XX secolo. È stato quello lo spunto iniziale per il film e per la storia: i Brufort da un lato, i Van Peteghem dall'altro, la love story e le misteriose sparizioni. Lavorando alla sceneggiatura, ho collegato tra di loro le cartoline. Avevo scritto P'tit Quinquin senza sapere se sarebbe stato apertamente divertente; al contrario, ora ero cosciente di ciò che stavo facendo, della comicità delle situazioni che andavo immaginando. Il meccanismo comico presuppone immediatezza, il suo effetto è meno seducente e differito, rispetto ai tempi dell'azione drammatica, quindi più difficile da creare.

La sfida del film in costume. La storia ha luogo nell'estate del 1910. L'inizio del XX secolo vede la comparsa del ceto borghese, dell'industria, del capitalismo e, di conseguenza, della lotta di classe. Si tratta di un racconto delle origini, un film primitivo sulla nostra epoca. Noi spettatori di oggi sappiamo che quel mondo verrà sconvolto, che la Prima Guerra Mondiale scoppierà quattro anni più tardi. Per la prima volta, mi sono trovato a dover ricreare un paesaggio ormai scomparso. Le cartoline dell'epoca mi hanno permesso di farlo. Poiché la storia ben presto va fuori controllo, volevo un'ambientazione che incarnasse tale follia. Mi sono ricordato del Typhonium a Wissant, una casa in stile neoegiziano costruita alla fine del XIX secolo, uno di quegli edifici, che nel Nord Passo-di-Calais veniva chiamata una "folie". Ho scritto la sceneggiatura con in mente quell'edificio. I proprietari erano riluttanti ad acconsentire alle riprese: all'inizio rifiutarono, ma un anno dopo acconsentirono. Gli esterni sono stati filmati nel Typhonium, gli interni in un'altra casa, altrettanto stravagante, pensata in stile Tudor da degli inglesi. La composizione finale dei set fonde quindi l'immaginazione con la realtà.

Luce del passato. Il digitale consente di spingersi oltre il 35mm, ma la nitidezza dell'immagine non è d'aiuto nel filmare il passato. Lo spettatore odierno si è costruito un'immagine del passato – o, per lo meno, di ciò che pensa sia l'immagine del passato – che bisogna tenere in considerazione, per far sì che creda a quanto vede sullo schermo. Nel caso specifico, ho cercato di trovare toni e colori dell'immagine che corrispondessero al tempo narrato. Come materiale di riferimento avevo l'autocromia dei fratelli Lumière, tuttavia, volevo evitare di scivolare nell'immaginario. Si è trattato di bilanciare il presente con il passato. Il digitale, inoltre, a causa dell'iperdefinizione dell'immagine, dona una sorta di iperrealismo alla rappresentazione di un'epoca ormai passata, una vera e propria modernità che, in un certo senso, le attribuisce un carattere di totale attualità.

Alle origini del burlesque. Il mio riferimento cinematografico primario è stato Max Linder, con la sua comicità tutta francese dalle maniere borghesi, un po' maldestro, e, dopo tutto, coevo dell'azione del film. Ho anche tenuto presente l'opera di Stanlio e Ollio (Stan Laurel e Oliver Hardy), di cui amo in particolar modo la dinamica corporea delle capriole, cadute e scivoloni. Il duo costituito dall'ispettore Machin e dal suo vice si muove nella stessa direzione, quanto ad aspetto fisico – il piccoletto ed il ciccione – il loro modo di vestire – completo nero e bombetta – e poi Machin continua a cadere, a rotolare, inizia persino a prendere il volo. D'altronde, tutti i personaggi del film cadono e scivolano per poi riprendersi o persino sollevarsi in aria, come Valeria Bruni Tedeschi nella scena del miracolo. È un cinema delle origini in quanto i primi film erano farse e commedie, che spesso davano una svolta comica a situazioni od azioni appartenenti alla cultura ed al mondo della borghesia.

L'intenzionale miscela di generi. Si trattava di abbracciare tutte le sfaccettature dell'essere umano, la duplicità dell'uomo, capace di tutto e del contrario di tutto, facendo un film al contempo divertente, toccante, inquietante, commovente e pieno di suspense. La storia del cinema è la storia della separazione dei generi, io invece voglio che la gente rida e pianga. Adoro la commedia italiana, i grandi film di Dino Risi o di Ettore Scola, come Brutti, Sporchi e Cattivi, che riesce a coniugare insieme commedia e tragedia, dove il peggio ispira la risata, che assurge a nobiltà. Ho giocato la carta del dualismo sapendo che l'incontro dei Brufort e dei Van Peteghem sarebbe stato esplosivo. Ho poi annodato questi opposti con un intrigo amoroso, che ho reso ulteriormente complesso introducendo una dimensione di incongruità, un ulteriore strato, l'indagine di polizia, che dona suspense e mistero alla narrazione. Con Ma Loute intendevo in ogni caso generare una reazione comica. Ero certo che l'aspetto sociale avrebbe presto ceduto il posto al crescente senso del grottesco.

Oltre le convenienze. Il cinema può andare oltre ciò che è ragionevole e rendere possibile ciò che è proibito. I Brufort sono antropofagi, si cibano letteralmente della borghesia, ed i Van Peteghem sono incestuosi, legati da matrimoni consanguinei, da rapporti degenerativi. Due famiglie mostruose, ciascuna a modo suo. La mia regia spinge questi estremi ai limiti. Il risultato avrebbe potuto essere orrendo, persino insopportabile, ma al contrario risulta divertente perché la commedia è alimentata dalla tragedia. Ho volutamente calcato la mano, fino a raggiungere la dimensione del grottesco, alla ricerca della funzione catartica che un tempo il cinema possedeva e pare aver in un certo modo perduto da quando è diventato puro intrattenimento. Ma Loute va oltre le convenienze sociali e morali, e trasgredisce i tabù per meglio alimentare la commedia e radicarla nella realtà. Volevo trovare la risata nelle situazioni serie, nelle zone d'ombra, che avevo già esplorato nel linguaggio drammatico dei miei film precedenti. Dovevo solo trovare la distanza giusta per farlo: l'auto-compiacimento è una purga.

L'origine del turbamento. Quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura, Ma Loute si innamorava di una ragazza, ma ben presto pensai che fosse un'idea poco originale e interessante. Ho sempre fatto film per esplorare ciò che non conoscevo, così ho deciso di creare quella che chiamerei una mistificazione romantica per affrontare la problematica dei generi e portare una nota estremamente contemporanea ed ambigua nel film in costume. Non si tratta neppure di una storia d'amore omosessuale. Ma Loute non ha dubbi sull'identità di Billie, è veramente convinto che si tratti di una ragazza. Il turbamento è causato dall'androginia, da quel corpo che contiene due opposti. D'altronde, Billie cambia continuamente; a volte è una ragazza, a volte un ragazzo. Il cinema è il luogo ideale per incarnare tale turbamento senza che si debba applicare un giudizio morale. Quando Ma Loute scopre la verità, colpisce Billie, ma non si tratta di un atto indirizzato contro una persona del suo stesso sesso – piuttosto contro un mistificatore. Ma Loute è turbato da Billie fino alla fine ed agisce di conseguenza. Il desiderio è sempre presente, il turbamento è intenzionale.

Romanticismo musicale. La musica ha talenti sbalorditivi che il cinema non possiede. Nel film ne sottolinea la dimensione romantica in quanto interviene essenzialmente nel rapporto tra Ma Loute e Billie trasformandolo in una straordinaria avventura d'amore. Volevo qualcosa di inedito. Ho scoperto un compositore Belga della fine del XIX secolo, Guillaume Lekeu (1870-1894), le cui composizioni esprimevano la nostalgia di una grande musica, molto possente ed eroica, orchestrale, evocativa di Wagner o Mahler, e messaggera di un certo livello di modernità. Era esattamente ciò che stavo cercando in Ma Loute: un'emozione grandiosa ed immediata. Spesso ho fatto film nei quali l'emozione scaturiva a seguito della loro visione, dove la colonna sonora era quasi o del tutto inesistente. Oggi riesco ad evocare nello spettatore un piacere più immediato, direttamente nella sala cinematografica, o, almeno, spero di riuscirci. Peraltro credo che, tra tutti i miei film, Ma Loute sia quello più accessibile al pubblico. È una specie di chiarificazione dei film precedenti, il che non ha nulla a che vedere con la musica. In effetti l'intera colonna sonora porta un'esuberante impronta espressionistica che rafforza le immagini. Mai prima d'ora ero ricorso al sound design nei miei film.

La Personificazione dell'eccesso. L'intero film doveva risultare eccessivo e fantasioso. Il Typhonium incarna molto bene questi aspetti, come anche i costumi e gli oggetti di scena. È tutto d'epoca, tuttavia, con l'aggiunta di qualche tocco di stravaganza. Era necessario, come già detto, estrapolare il burlesco dal reale. Ad esempio, a convincere Fabrice Luchini a fare il film è stato il suo costume. Ha la gobba, è letteralmente ritorto. Lo stesso vale per Didier Desprès, che interpreta l'ispettore Machin. È intrappolato nel suo costume, la qual cosa causa divertimento. Valeria Bruni Tedeschi invece porta il busto, così da assumere quella rigida postura che rende ancora più forte la scena del miracolo. In quel momento, sembra essere toccata dalla grazia (perché persino la borghesia può avere i propri momenti di grazia!!!).

Effetti necessariamente speciali La realtà temporale di un film in costume richiede la cancellazione di molti degli elementi che appartengono alla contemporaneità: aerei che volano nel cielo, navi che solcano il mare… forse solo le dune corrispondono ancora alle immagini del paesaggio del 1910. A volte nei miei film precedenti avevo fatto uso di effetti speciali, ma nulla di paragonabile a quanto avviene in Ma Loute. Detto questo, la frammentazione del lavoro prevista dagli effetti speciali non mi crea problemi, al contrario, durante le riprese mi consente di concentrarmi sulla mise-en-scène, poiché so bene che la scenografia è solo provvisoria e verrà modificata in post-produzione. Non dovendomi più ispirare alla realtà, ho goduto della più completa libertà. Devo dire che la complessità di una produzione così importante come Ma Loute non mi spaventa affatto, tutto il contrario! D'altronde, è stata la mia esperienza registica più pacata.

Attori professionisti e non. Non faccio distinzione tra attori professionisti e attori non professionisti, non sono interessato a questioni di status. Tutti gli attori devono costruire i propri personaggi, ciascuno a modo suo. Emmanuel Schotté, che avevo scelto per il personaggio del tenente di polizia in L'Umanità, nella vita reale non faceva il poliziotto, dunque recitava una parte, non si trattava di un documentario. Lavoro allo stesso modo con tutti gli attori, tuttavia vi sono ruoli che richiedono una messa a punto più complessa ed interpreti in grado di spingersi al limite, in termini di sfumature o stravaganza. Nel caso specifico, avevo bisogno di virtuosi della composizione dei personaggi, in grado di dare vita ai membri della famiglia Van Peteghem. Si tratta di caratteri molto costruiti, ai quali, quindi, gli attori "professionisti" si prestano molto bene. Non avendo mai modificato il mio approccio, è stata per me una scelta naturale, ai fini del soggetto del film e della tipologia del personaggio, coinvolgere Fabrice Luchini per la parte di André Van Peteghem. Avevo proceduto allo stesso modo per Camille Claudel, 1915: raccontavo la storia di un'artista, perciò per la parte ne cercai un'altra, Juliette Binoche.

Il trio Van Peteghem. Fabrice Luchini è stato il primo attore al quale ho pensato per la parte di André Van Peteghem. L'ho voluto incontrare subito per assicurarmi che avrebbe accettato la trasformazione fisica richiesta dal personaggio. Gli ho spiegato di non essere affatto interessato ai suoi film, solo alle sue doti attoriali. Il suo mestiere consiste nel diventare qualcosa di diverso da ciò che lui è nella vita, perciò gli ho proposto di diventare un altro. Lo abbiamo dovuto truccare e trasformare fisicamente. Non volevo che gli spettatori fossero in grado di riconoscerlo a prima vista. Ha anche cambiato modo di parlare, forzando ancor di più l'accento. Ho usato lo stesso approccio con Juliette Binoche e Valeria Bruni Tedeschi. Ciò che volevo fare era infastidirli, per rivelare i loro lati nascosti. Sono acrobati. È stato avvincente fare in modo che costruissero quei bizzarri personaggi e vederli confrontarsi con le proprie paure. Camille Claudel, 1915 mi aveva insegnato che Juliette Binoche sarebbe stata in grado di fare qualsiasi cosa; le avrei potuto chiedere di essere Paul Claudel e lei sarebbe riuscita ad essere convincente. Perciò è stato naturale per me pensare a lei per il ruolo di Aude Van Peteghem. Ci siamo presi un po' di tempo per trovare il giusto equilibrio tra snobismo ed esuberanza. Avevo in mente un riferimento preciso, un'attrice francese degli anni '50, incredibilmente incentrata su sé stessa, presuntuosa e, per questo, molto divertente. Il lavoro di Juliette sul suo personaggio è stato eccellente. Il personaggio di Valeria Bruni Tedeschi era più riservato, la qual cosa non è necessariamente nella sua natura, per quanto la considerassi perfetta per la parte. Ho dovuto quindi neutralizzarla, persino imbrigliarla – approccio che lei ha perfettamente capito ed accettato.

Alla ricerca di Ma Loute e Billie. Sono due ragazzi del nord, che ho scoperto sul posto. Brandon Lavieville ha fatto suo il personaggio di Ma Loute in brevissimo tempo. Avevo già preso suo padre come capo della famiglia Brufort. Mi era piaciuta la sua faccia. Gli ho fatto fare alcuni screen test per accertarmi che non avesse paura della macchina da presa, che possedesse la verve necessaria, e che sapesse recitare. Billie è stato più difficile da trovare. Ho cercato a Parigi e nel nord della Francia… Si tratta obbligatoriamente di un personaggio complesso, per via della sua natura. Ho incontrato transessuali, androgini, ragazzi e ragazze, associazioni LGBT… Ho viaggiato molto seguendo la strada classica, che mi ha portato dopo sette od otto mesi ad incontrare Raph. Era la persona giusta, al contempo mascolino e sensibile, sedicenne all'epoca delle riprese, dotato dell'ambiguità necessaria al film.

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