Recensione Cogan – Killing Them Softly


Recensione del film Cogan - Killing Them Softly, thriller diretto da Andrew Dominik con Brad Pitt, Ray Liotta. Alla regia eccellente si unisce anche sceneggiatura che affascina. Le scene di uccisione sono girate come se si trattasse di un valzer sentimentale.
Voto: 8/10

Cogan – Killing Them Softly, scritto e diretto da Andrew Dominik, che torna a lavorare con Brad Pitt dopo L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, definito dalle San Francisco and St. Luois Film Critics Associations come il miglior film del 2007, è un thriller che veste i panni di saggio filosofico sulle condizione dell'economia americana, e sulla crisi che ha investito tutto il mondo. Nel cast, oltre al già citato Pitt, torna quel bravo ragazzo Ray Liotta, Richard Jenkins, Scoot McNairy, Sam Shepard James Gandolfini che tutti ricordano nella serie tv I soprano.

La storia comincia quando un paio di criminali da strapazzo decidono di fare una rapina durante una bisca clandestina della mafia, gestita da Markie Trattman (Liotta). Il colpo sembra facile e indolore, soprattutto perchè Markie fu già vittima di una rapina nelle medesime condizioni; i rapinatori Frankie (McNairy) e Russell (Ben Mendelsohn) contano sul fatto che la malavita faccia cadere la responsabilità proprio su Markie, lasciando loro due puliti. Il colpo – che alla fine riesce – porta però alla crisi dell'economia della mafia. Per sanare questo problema, il sicario Cogan (Pitt) viene ingaggiato per punire i responsabili e portare l'ordine. A fare da intermediario tra le parti c'è il misterioso Autista (Jenkins).

Tratto dal romanzo omonimo di George V. HigginsCogan – Killing Them Softly racconta, sotto il rumore degli spari e gli schizzi di sangue che macchiano lo schermo, una storia di una crisi economica che fonda le sue radici nel gioco d'azzardo. L'immagine è quella di due scapestrati che, per un colpo di fortuna, riescono a mettere in atto una rapina capace di mettere in ginocchio l'economia della mafia. Secondo il regista Dominik, la storia di Higgins potrebbe essere vista come un tableau in scala di quella che è la condizione economica mondiale: la mancanza di regolamentazione e il disordine perpetuo vengono messi in scena dal regista di Chopper in uno scenario dalle tinte pulp, dove uno sparuto gruppo di uomini si incontra di nascosto, cercando di riportare l'ordine. In questa pellicola Dominik parla dell'America all'America: con il suo racconto fittizio spinge lo spettatore americano medio a ridere delle sue stesse paure, incarnate tutte da quella crisi che sta portando il mondo sull'orlo del baratro. "Noi non siamo un popolo," annuncia Pitt/Cogan "L'America non è una nazione. E' affari. Quindi pagami".

L'eleganza della regia di Dominik si evince in ogni fotogramma di questo quadro clandestino. Le scene di uccisione – che sono le migliori del film – sono girate come se si trattasse di un valzer sentimentale, come se alla fine fosse liberatorio lasciarsi andare tra le braccia amorevoli della morte e sfuggire a tutti i drammi della contemporaneità. Vetri, cristalli e note di musica classica si fondono a sangue ed organi che schizzano fuori, senza però mai scivolare nella violenza gratuita o nella prostituzione dell'orrore: tutto è necessario e insieme inevitabile. Pur mettendo in scena un universo diegetico dove la morte la fa da padrone, Dominik non abbandona mai la sua naturale eleganza, che si rispecchia anche nell'uso sapiente della macchina da presa, capace di diventare viva e tentacolare anche in spazi circoscritti come quelli di un automobile e che si fa forte di inserti quasi allucinati, come la soggettiva di un uomo che si addormenta, causa sonno e uso di droga. I personaggi che mette in scena sono tutte maschere allucinate di un presente in bilico, tutti deviati dal bisogno di fuggire dalla prigione a cui sembrano destinati e di racimolare quanto più denaro possibile. Una devianza, quella mentale dei protagonisti, che Dominik riesce a far passare per naturale e che, al contempo, sottolinea grazie ad un sapiente uso dei decadrages.

Alla regia eccellente si unisce anche una sceneggiatura – sempre dello stesso Dominik – che affascina per il suo tentativo di rimanere sempre ancorata ad una situazione di normalità. La verbosità fluente – tipica ad esempio della maggior parte dei film di Tarantino – viene qui recuperata da personaggi che sono capaci di parlare per minuti interminabili di niente, per poi colpire lo spettatore con poche frasi ad effetto che rimangono impresse nella memoria. Non è un caso, poi, se queste battute memorabili vengono messe quasi tutte in bocca a Brad Pitt, di sicuro l'interprete migliore del cast. Il suo Cogan è un sicario. Non è altro: non è un padre di famiglia, non è un uomo deluso dal tramonto del sogno americano, nè un uomo che combatte per amore. Nessuna guarnizione giunge a descrivere il suo personaggio: Cogan è quello che fa. Un uomo che uccide le sue vittime con precisione medica, tenendosi sempre abbastanza a distanza dalle prede, delle quali non vuol condividere le pene. "Piangono, supplicano, si pisciano addosso, chiamano la mamma … Non è dignitoso", confida a Jenkins. Brad Pitt è pressochè perfetto nel dipingere quest'uomo vestito di pelle, affascinante e letale al tempo stesso. L'interprete di The Tree Of Life conferma per l'ennesima volta le sue doti istrioniche, date molto spesso per scontate. A quasi cinquant'anni il divo americano è riuscito a convincere quasi tutti, divenendo quell'interprete non solo mainstream ma anche di nicchia che ha sempre anelato essere. Il suo Cogan, infine, si inserisce perfettamente all'interno di una galleria di personaggi grotteschi, tutti ben interpretati. L'unica nota dolente è Ray Liotta che, pur nella sua bravura, non riesce mai a separarsi da quell'immagine di malavitoso che lo perseguita da troppi anni.

Valutazione di Erika Pomella: 8 su 10
Cogan – Killing Them Softly
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