ELVIS – Poster

ELVIS (2022)

ELVIS
Locandina ELVIS
ELVIS è un film del 2022 prodotto in USA e Australia, di genere Biografico e Drammatico diretto da Baz Luhrmann. Il film dura circa 159 minuti. Il cast include Austin Butler, Tom Hanks, Olivia DeJonge, Helen Thomson, Richard Roxburgh, Olivia DeJonge, Luke Bracey, Natasha Bassett, David Wenham, Kelvin Harrison Jr., Xavier Samuel, Kodi Smit-McPhee. In Italia, esce al cinema mercoledì 22 Giugno 2022 distribuito da Warner Bros. Pictures. Disponibile in homevideo in DVD da mercoledì 30 Novembre 2022, in Digitale da martedì 9 Agosto 2022.

Il film esplora la vita e la musica di Elvis Presley, viste attraverso il prisma della sua complicata relazione con l'enigmatico manager, il colonnello Tom Parker.

Il film esplora la vita e la musica di Elvis Presley, viste attraverso il prisma della sua complicata relazione con l’enigmatico manager, il colonnello Tom Parker. La storia approfondisce le complesse dinamiche tra Presley e Parker nell’arco temporale di oltre 20 anni, dall’ascesa alla fama di Presley che raggiunse un livello di celebrità senza precedenti, sullo sfondo un panorama culturale in evoluzione e la perdita dell’innocenza in America. Al centro di questo viaggio, una delle persone più significative e influenti nella vita di Elvis, Priscilla Presley.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: mercoledì 22 Giugno 2022
Uscita in Italia: 22 Giugno 2022 al Cinema; 9 Agosto 2022 in PVOD
Genere: Biografico, Drammatico, Musicale
Nazione: USA, Australia - 2022
Durata: 159 minuti
Formato: Colore
Produzione: Warner Bros. Pictures (presenta), Bazmark Production, Jackal Group
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
In HomeVideo: in Digitale da martedì 9 Agosto 2022 e in DVD da mercoledì 30 Novembre 2022 [scopri DVD e Blu-ray]

Passaggi in TV:
• venerdì 08 Dicembre ore 16:35 su Sky Cinema Due
• sabato 09 Dicembre ore 16:35 su Sky Cinema Due +24

Cast e personaggi

Regia: Baz Luhrmann
Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Sam Bromell, Craig Pearce, Jeremy Doner
Musiche: Elliott Wheeler
Fotografia: Mandy Walker
Scenografia: Catherine Martin
Montaggio: Matt Villa, Jonathan Redmond

Cast Artistico e Ruoli:
foto Austin Butler

Austin Butler

Elvis Presley
foto Tom Hanks

Tom Hanks

Tom Parker
foto Olivia DeJonge

Olivia DeJonge

Priscilla Presley
foto Helen Thomson

Helen Thomson

Gladys, madre di Elvis
foto Richard Roxburgh

Richard Roxburgh

Vernon, padre di Elvis
foto Luke Bracey

Luke Bracey

Jerry Schilling
foto Natasha Bassett

Natasha Bassett

Dixie Locke
foto David Wenham

David Wenham

Hank Snow
foto Xavier Samuel

Xavier Samuel

Scotty Moore
foto Kodi Smit-McPhee

Kodi Smit-McPhee

Jimmie Rodgers Snow
foto Dacre Montgomery

Dacre Montgomery

Steve Binder, regista televisivo
foto Leon Ford

Leon Ford

Tom Diskin
foto Kate Mulvany

Kate Mulvany

Marion Keisker
foto Gareth Davies

Gareth Davies

Bones Howe
foto Charles Grounds

Charles Grounds

Billy Smith
foto Josh McConville

Josh McConville

Sam Phillips
foto Adam Dunn

Adam Dunn

Bill Black
foto YOLA

YOLA

Sorella Rosetta Tharpe
foto Shonka Dukureh

Shonka Dukureh

Big Mama Thornton/Cantante Pentecostale
foto Alton Mason

Alton Mason

Little Richard
foto Gary Clark Jr.

Gary Clark Jr.

Arthur 'Big Boy'Crudup



Produttori:
Baz Luhrmann (Produttore), Catherine Martin (Produttore), Gail Berman (Produttore), Patrick McCormick (Produttore), Schuyler Weiss (Produttore), Courtenay Valenti (Produttore esecutivo), Kevin McCormick (Produttore esecutivo)


Storia di: Baz Luhrmann e Jeremy Doner | Supervisore effetti visivi: Thomas Wood | Supervisore musicale: Anton Monsted.

Recensioni redazione

ELVIS, recensione biopic con Austin Butler
ELVIS, recensione biopic con Austin Butler
Giorgia Tropiano, voto 7/10
Elvis, biopic sull'icona della musica Elvis Presley intrepretato da Austin Butler, è una pellicola in pieno stilo Buz Luhrmann, consigliata sia se sia ama il lavoro del regista, sia se si ama il mito di Elvis.

Immagini

[Schermo Intero]

Curiosità

Le riprese principali di “Elvis” si sono svolte nel Queensland, in Australia, con il sostegno del governo del Queensland, di Screen Queensland e del programma Producer Offset del governo australiano.

LA PRODUZIONE

There must be lights burning brighter somewhere
Got to be birds flying higher in a sky more blue
If I can dream of a better land
Where all my brothers walk hand in hand
Tell me why, oh why, oh why can’t my dream come true
Oh why…

“Sebbene il film si chiami ‘Elvis’, è anche la storia del colonnello Tom Parker, o almeno, il suo racconto. Lui è la nostra porta d’ingresso, il nostro narratore anche se non sempre affidabile”, afferma lo sceneggiatore/regista/produttore Baz Luhrmann, la cui vasta ricerca sull’iconico Elvis gli ha permesso di scoprire come la strana collaborazione tra i due faccia comprendere il successo pubblico e le lotte personali dell’artista. “Come spesso dico, il colonnello Tom Parker non è mai stato un colonnello, né si chiamava Tom o Parker, ma è comunque un personaggio affascinante. Era un imbonitore in cerca di un artista che infuocasse il palco”.
“Il diciannovenne Elvis Presley ha vissuto per qualche tempo in una delle poche case designate ai bianchi in un quartiere nero di Tupelo, nel Mississippi”, continua il regista, “dove, insieme a un gruppo di amici della zona, ha assorbito la musica proveniente dai juke-box dei bar e dai raduni Pentecostali. Crescendo, ha fuso queste fonti unendole alla sua passione per la musica country. Parker, che non aveva affatto orecchio musicale, è rimasto totalmente colpito dall’effetto che Elvis aveva sui giovani. Come dice il colonnello nel film, “È stato il più grande spettacolo che abbia mai visto”.
Lurhmann aggiunge inoltre che: “A metà degli anni ’50 in alcune zone dell’America, le fiere davano sempre più spazio alla musica, principalmente country e western. E Parker era sempre alla ricerca dell’artista più straordinario, quello che faceva guadagnare di più, che aveva un costume stravagante, che entusiasmava il pubblico, che aveva delle movenze particolari… qualcuno di speciale, come Elvis”.
Luhrmann ha reclutato il premio Oscar® Tom Hanks per interpretare il ruolo di Parker, affermando: “Non avevo mai lavorato con Tom in precedenza; gli ho raccontato la storia e prima ancora di mostrargli il video dell’idea che avevo in mente, mi ha detto: ‘Beh, se mi vuoi sono pronto’. Che regalo!”.
Hanks, riguardo al vero Parker afferma: “Era sia un genio che una canaglia; un rigoroso uomo d’affari, malvagio e intelligente e un po’ taccagno, ma è sicuramente stato un pioniere in un genere di show business che non esisteva fino all’arrivo di Elvis Presley. Ha istantaneamente colto le potenzialità di Elvis, la sua unicità, e sapeva che se l’avesse lasciato andare, sicuramente qualcun altro si sarebbe arricchito al posto suo”.
Come rivela Luhrmann nel film, il denaro era la motivazione chiave e, di conseguenza, Parker è stato forse anche il primo ad aver capito il potenziale finanziario della musica legato al merchandising. “Nota l’effetto che Elvis ha sul pubblico, un effetto mai visto prima e sicuramente al di là di qualsiasi performance musicale”, osserva il regista. “Per Tom Parker, è il più grande spettacolo al mondo, e doveva essere suo”.
Per dare vita all’uomo la cui arte e immagine elettrizzanti hanno pervaso i quattro angoli del mondo per più di sessant’anni, i realizzatori hanno condotto un’ampia ricerca prima di imbattersi in Austin Butler. Dice Luhrmann, “Sapevo che non avrei potuto fare questo film senza un casting appropriato, e abbiamo cercato specificatamente un attore in grado di evocare il singolare modo sensuale di ondeggiare e le qualità vocali di questa star senza pari, ma anche la sua intima vulnerabilità. Avevo sentito parlare di Austin Butler nel suo ruolo di spicco al fianco di Denzel Washington in “The Iceman Cometh” a Broadway, e poi ho ricevuto una telefonata da Denzel, che non conosco personalmente, ma che ha elogiato l’etica lavorativa di Austin. Al seguito di vari provini su schermo e laboratori di musica e performance, sapevo inequivocabilmente di aver trovato la persona giusta per incarnare lo spirito di una delle figure musicali più iconiche al mondo”.
Butler afferma: “Ciò che mi ha sempre affascinato dei personaggi iconici, è il fatto che prima di tutto sono esseri umani. Elvis è stato il primo, in un certo senso, a rappresentare l’emblema di un ragazzo che viene dal nulla e che poi diventa l’uomo più famoso del pianeta. È il sogno americano. Inoltre, ha incarnato così tante epoche che sembra aver vissuto 100 anni; è incredibile che invece ne abbia vissuti solo 42”.
Il team di produzione di Luhrmann in “Elvis” era composto dalla sua collaboratrice di lunga data Catherine Martin che, come nel film d’esordio del regista “Ballroom – Gara di ballo”, ha curato la produzione e i costumi, al fianco della veterana produttrice di Jackal Group, Gail Berman, Patrick McCormick e Schuyler Weiss.
La Martin racconta: “Ho sempre ammirato il modo in cui Elvis ha dato un significato alle canzoni attraverso le sue doti canore. Ho colto la sua rilevanza culturale, ma una volta che Baz – da sempre appassionato alla vita del cantante – mi ha raccontato la sua visione del film, mi sono resa conto che l’ascesa alla fama di Elvis era come Icaro che vola verso il sole: un racconto ammonitore estremamente toccante e operistico, che mostra lo sfruttamento della fama a tutti i costi”.
La Berman afferma: “Questo film è molto più di un’autobiografia. Dobbiamo dare merito a Baz, alla sua profonda ammirazione e conoscenza del Re del rock’n’roll non solo come essere umano, ma anche come figura epica e accattivante che incarna la storia dell’America. Lo stesso Baz è straordinariamente capace di raccontare una storia avvincente in superficie ma che al contempo esplora verità più profonde e risonanti. Quella di Elvis è una storia molto più ricca di quanto si possa immaginare, e Baz, con il suo stile inconfondibile e la profonda competenza sia cinematografica che musicale, è davvero l’unica persona che conosco capace di portare questa vita sullo schermo”.
Anche McCormick ha trovato che Luhrmann fosse l’uomo adatto all’argomento, osservando: “Per raccontare una storia del genere, bisogna avere una conoscenza che va al di là delle peculiarità di Parker o di Elvis; Baz oltre ad essere un talentuoso regista, è profondamente coinvolto nell’industria musicale e discografica, in grado di valutare gli artisti che si esibiscono, apportando nuove idee su come ricreare e riscoprire la musica di qualsiasi periodo, inserendola nei suoi film in un modo unico”.
Weiss, che ha lavorato a stretto contatto con il regista per molti anni e su numerosi progetti, offre ulteriori considerazioni: “Baz dice sempre che Elvis è onnipresente: tutti sanno qualcosa di lui o della sua musica. Personalmente non avevo ben chiaro il viaggio di Elvis, e nemmeno le diverse fasi della sua carriera, e quanto sia stato una specie di prisma per la musica e la cultura, attirando in sé così tante influenze e poi a sua volta ispirare tante altre persone. Ho scoperto tutto solo dopo aver approfondito questo progetto, e la cosa mi ha stimolato e incuriosito ancora di più”.
Girando interamente nella terra d’origine di Luhrmann, l’Australia, i realizzatori hanno attinto dalla ricchezza di talenti del posto, per completare i ruoli principali del cast. “Abbiamo reclutato la brillante Helen Thomson, una colonna portante del teatro a Sydney e Melbourne, per interpretare la madre di Elvis, Gladys, oltre ad attori con cui ho lavorato per anni, come Richard Roxburgh che interpreta il padre di Elvis, Vernon, e David Wenham, che interpreta Hank Snow. In questo lavoro, adoro le collaborazioni a lungo termine”, dice Luhrmann.
Per interpretare una delle persone più importanti nella vita di Elvis, i realizzatori hanno scelto Olivia DeJonge, nata a Melbourne e vissuta per molto tempo a Perth.
“Tra Elvis e Priscilla, penso che all’inizio ci sia stata una sorta di storia d’amore delicata e innocente”, ipotizza Luhrmann. “Quando si sono conosciuti, Elvis credeva che fosse quasi impossibile incontrare una donna che non avesse una sorta di secondi fini, quindi con Priscilla formarono rapidamente una specie di bozzolo protettivo. Lei era anche un’amica, una vera amica, e credo che la connessione e il supporto siano continuati per tutta la vita. Quindi, ho dovuto trovare un’artista che, come Austin, fosse più matura della sua età e potesse interpretare questo personaggio per un lungo lasso di tempo. Ed Olivia è proprio questo; è molto intelligente e ha una grande compostezza”.
Olivia DeJonge racconta: “Inizialmente Baz mi ha spiegato la visione generale del progetto, della storia, e il ruolo del personaggio di Priscilla in questo film. Qui, come immagino nella vita reale, per Elvis rappresentava un rifugio sicuro, una sorta di respiro per bilanciare una vita tanto frenetica”.
Naturalmente, nessun film di Baz Luhrmann sarebbe completo senza la singolare esperienza sonora che il pubblico si aspetta: una fusione tra musica d’epoca e moderna ed artisti, che solo lui poteva immaginare. Con il compositore/produttore musicale esecutivo Elliott Wheeler e il supervisore musicale Anton Monsted – con cui vanta una collaborazione iniziata anche prima di “Romeo + Juliet” – il film non presenta solo la voce di Butler (che interpreta le esibizioni dal vivo del giovane Elvis), ma anche l’iconico cantato di Elvis nell’ultima parte del film e, occasionalmente, un mix delle due voci, e molti interpreti di successo di oggi, tra cui Yola, Shonka Dukureh e Gary Clark, Jr. nei panni delle leggende di Beale Street, Sister Rosetta Tharpe, Big Mama Thornton e Arthur Crudup. Sono presenti nella colonna sonora anche una serie di artisti del calibro di Doja Cat, Kacey Musgraves, Jazmine Sullivan, Jack White, Måneskin tra gli altri.

There must be peace and understanding sometime
Strong winds of promise that will blow away all the doubt and fear
If I can dream of a warmer sun
Where hope keeps shining on everyone
Tell me why, oh why, oh why won’t that sun appear

CAST E PERSONAGGI
Austin Butler, il giorno di Natale a Los Angeles si ritrovò a cantare “Blue Christmas” di Elvis Presley. Fu un segno del destino per l’attore, che ricorda: “Un paio di settimane dopo ho iniziato a suonare il piano a casa, intonando altri brani di Elvis di fronte ad un mio caro amico, che mi ha afferrato il braccio e ha detto: ‘Devi proprio interpretare Elvis’ “.
Due giorni dopo, l’agente di Butler gli comunicò l’intenzione di Baz Luhrmann di girare un film sul Re del rock’n’roll. “Ho lasciato perdere tutto pur di ottenere il ruolo. Mi è nata quasi un’ossessione per Elvis: ho iniziato a leggere e vedere tutto quel che ho potuto sulla sua vita, sui suoi amici e parenti. Ho ascoltato solo la sua musica. Prima ancora che iniziassero le audizioni, ho inviato a Baz un video in cui suonavo il piano e cantavo “Unchained Melody”.
Quando finalmente ha potuto incontrare Baz di persona, Butler dice di aver scoperto che “Baz è un essere umano straordinario. Ci siamo intesi da subito, e abbiamo avviato un processo durato molti mesi in cui avremmo lavorato e buttato giù delle idee” fino a quando finalmente è arrivato il giorno dello screen test ufficiale. Sorprendentemente, l’attore confessa: “Pensavo di aver fallito. Avevo preparato tre canzoni, ma Baz le ha cambiate all’ultimo momento. Col senno di poi, sono sicuro che mi ha messo alla prova, per vedere come mi sarei comportato sotto pressione, ma in quel momento pensavo di averlo decisamente deluso”.
Al contrario, quando a distanza di pochi giorni è arrivata la telefonata con la conferma di aver ottenuto la parte, Butler ricorda: “Ho sentito il peso della responsabilità. Ogni giorno ero assalito dall’ansia, perché volevo rendere giustizia al personaggio e alla sua famiglia, omaggiare lui e la sua vita. È stato difficile non sentirsi un bambino con l’abito del padre, come se avessi dovuto indossare scarpe più grandi di me con cui a malapena sarei riuscito a camminare”.
Luhrmann afferma: “Austin ha intrapreso un viaggio straordinario per interpretare Elvis ma, soprattutto, per mettere in luce l’essere umano. Allo stesso modo in cui Marilyn Monroe non è solo una star del cinema – incarna un tempo, un luogo, una sensibilità, una simbologia – anche Elvis non è un artista comune. In un lampo è passato dall’essere un camionista a diventare l’uomo più famoso del mondo. Inizialmente ottiene notorietà nel sud degli Stati Uniti, e nel giro di un paio d’anni è ospite di ‘Ed Sullivan’, diventando poi il giovane più chiacchierato, più provocatorio, più famoso del mondo e un milionario da un giorno all’altro. Certamente, già prima di Elvis delle celebrità come Sinatra avevano mandato in delirio le donne, ma la popolarità di Elvis è coincisa con l’emergere di una forza di mercato insaziabile di adolescenti, che si ricollegavano direttamente ai loro idoli attraverso la radio e la televisione. La rapidità del suo successo e della sua ricchezza non aveva precedenti: Elvis era unico, anche se con gli anni ha dichiarato, “È molto difficile rimanere al passo della propria immagine”.
La trasposizione cinematografica di una vita del genere ha rappresentato una sfida. “Sono stato fortunato ad avere l’aiuto di tante persone”, dice Butler, “a cominciare da Baz. Riesce, nel modo più gentile e premuroso, a portarti a fare più di quanto abbia mai pensato possibile. Crea un ambiente in cui sei libero di commettere errori e di osare”.
Per interiorizzare la fisicità di Elvis, Butler aggiunge: “Mi sono allenato con la movement coach Polly Bennett sia prima che durante le riprese”, racconta. “Non solo mi ha aiutato ad oscillare come faceva lui, ma anche a capire come far muovere una persona in quel modo”.
Ma parlare e cantare nel modo unico di questa icona musicale, era la vera chiave del ruolo, e quindi l’attore è stato affiancato da diversi vocal coach, “perché la voce e il dialetto sono importantissimi. E la voce di Elvis è cambiata negli anni”.
Luhrmann osserva: “Ci trovavamo di fronte ad una sfida tecnica molto semplice: quasi tutte le registrazioni di Elvis prima diciamo, degli anni ’60, tutte quelle tracce classiche degli anni ’50 sono registrazioni in mono; in realtà non puoi separare la voce dalla band, che è una delle cose fondamentali che bisogna fare per un film. Oltre all’aspetto tecnico queste registrazioni, sebbene affascinanti e profondamente familiari, non catturano l’esperienza scioccante e cruda del giovane Elvis dal vivo sul palco. Agli albori, Elvis si sentiva come un punk rocker originale. Ciò ha significato che avremmo dovuto creare il suono.
“Fortunatamente Austin era in grado di cantare come l’Elvis di quell’epoca, una sorta di rock and roll punk”, continua. “Allo stesso tempo, il compito di Austin era quello mostrare l’Elvis lontano dai riflettori, l’uomo che seduto al pianoforte cantava con aria triste ‘Are You Lonesome Tonight?’. Emerge l’Elvis privato e, soprattutto, la sua umanità e la sua spiritualità. Pur rispettando il tributo all’artista, questo è stato un lavoro fondamentalmente diverso: recitare attraverso una canzone piuttosto che impersonare un’icona”.
Il regista alla fine ha trovato una soluzione, lavorando sia con la voce di Butler che con l’originale. “Nella parte del film prima degli anni ’60 c’è la voce di Austin, ed occasionalmente si fonda con quella di Elvis. Mentre invece nelle grandi e iconiche esibizioni degli ultimi anni della star, si sente necessariamente solo la voce di Elvis”.
Butler ha apprezzato l’ingegnosità di Luhrmann, osservando: “Baz oltre ad essere geniale, è sempre concentrato ed attento ai dettagli. Inoltre, è disponibile, gentile, empatico, premuroso… Mette tutti a proprio agio; non avrei potuto intraprendere questo viaggio con nessun altro regista”.
Nel film, il viaggio di Elvis inizia quando viene notato durante la sua prima esibizione pubblica all’Hayride dall’uomo che sarebbe diventato il suo manager a vita, il colonnello Tom Parker. Luhrmann introduce Parker da anziano, che racconta gli anni e le sue esperienze passate con l’artista. Parker avverte il pubblico che potrebbe passare come il cattivo di questa storia, ma ovviamente non l’ha mai smentito”.
“Quando Elvis incontra il colonnello Tom Parker, interrompe il legame col circuito fieristico del sud degli Stati Uniti, influenzato dalla musica country”, descrive Luhrmann. “Il colonnello conosce il mondo delle fiere, ed è un maestro nell’arte della persuasione, capace di vendere anche il fumo alle persone, entusiasmandole. Sono felici di pagarlo, sanno di essere state ingannate, ma in quel momento ci credono e si divertono. La sua era una sorta di manipolazione emotiva e psicologica”.
Questa figura enigmatica si è fatta strada attraverso spettacoli che hanno inorridito e scioccato, ma che avrebbero attratto il pubblico pur eventualmente respingendolo. Costantemente alla ricerca di artisti fuori dal comune, Parker era impegnato nel circuito della musica country portando sui palchi fieristici interpreti come Hank Snow, quando apprende da uno dei suoi la notizia di un cantante che sta prendendo il controllo della radio locale. Parker e la compagnia si avventurano per conoscere quello che si rivelerà essere un ragazzo che sembra fondere in modo naturale la musica country con il rhythm’n’blues e il gospel – che sarebbe stato etichettato come rock n’ roll – ma non è stata la musica a colpire il Colonnello.
Luhrmann spiega: “Non gli importava della musica; per sua stessa ammissione non aveva orecchio. Era il modo in cui Elvis elettrizzava il pubblico che gli sarebbe valso una fortuna. Ed è successo, anche ben oltre le aspettative di Parker, perché insieme trasformarono il paese, la cultura popolare e il mondo”.
Il vero nome di Parker non era Tom, ma i realizzatori si sono rivolti al Tom forse più amato nell’intrattenimento per interpretare questa figura enigmatica: Tom Hanks.
“Se Elvis Presley è ancora oggi famoso in tutto il mondo, gran parte del merito va al colonnello Tom Parker”, afferma l’attore. “Promuoveva artisti del calibro di Eddie Arnold, Hank Snow e Jimmie Rodgers Snow, e ha subito colto l’effetto che questo ragazzo di Tupelo aveva sul pubblico e, principalmente, sulle donne. Elvis non ha mai avuto nessun altro manager … promotore, direi, più che manager”.
Hanks ha anche apprezzato l’approccio di Luhrmann alla storia attraverso la prospettiva del colonnello come narratore, e la possibile inaffidabilità temporale così come il suo racconto. “Il film è raccontato come un’opera, più che grande, che fa salti nel tempo, nello spazio e nella prospettiva, e credo fosse l’unico modo per farlo”, osserva Hanks. “Baz è il più grande lavoratore del mondo dello spettacolo, per quanto mi riguarda, e ha realizzato un certo numero di film che penso siano iconici per quanto possibile, ma hanno sempre una logica a prescindere dalla fluidità del punto di vista. Una narrazione lineare non sarebbe stata abbastanza grande, in base a tutto ciò che sappiamo o non conosciamo di Elvis, che invece Baz ha estratto per questo film”.
Oltre alle performance che ci si aspettano, Hanks racconta: “Ci sono dei momenti di profonda intimità e tranquillità in questo film. In particolare, nella scena sulla ruota panoramica, in cui Parker cerca di convincere Elvis che sarà il suo unico cliente e lui il suo unico manager, le implicazioni, con il senno di poi, erano davvero importanti”.
Per prepararsi al meglio al ruolo, Hanks si è confrontato con la persona che probabilmente rappresenta la fonte più attendibile, Priscilla Presley, affermando: “Mi aspettavo di sentire storie sulla sfiducia che aveva nei confronti del colonnello Tom Parker negli anni; invece, me lo ha descritto come un uomo meraviglioso, che si è preso davvero cura di loro … un mascalzone a modo suo”.
Al di là dell’opinione che si possa avere su quest’uomo, Parker fisicamente non assomigliava per niente ad Hanks, che attribuisce alteam di trucco e acconciature la sua straordinaria trasformazione; tutto ciò che ha dovuto fare, è stato radersi la testa e sottoporsi al processo, e ne è stato ben felice.
Luhrmann afferma: “Ho lavorato con molti attori, ogni tipo di interprete, e credo che Tom sia uno dei più grandi attori non solo del nostro tempo, ma di tutti i tempi. Ha un istinto e una visione incredibile; fa il suo dovere. E se vuoi che faccia qualcosa di diverso, la sua frase preferita, che adoro, è ‘Guarda questo’. E va oltre a ciò che speravi. Ed è per questo che è Tom Hanks”.
Tuttavia, il regista ha capito che il ruolo era alquanto insolito per l’attore. “Se c’è una cosa vera del Colonnello, è che il suo primo e principale pensiero è sempre stato: ‘Come posso fare più soldi possibile?’ senza considerare troppo il benessere creativo e spirituale di Elvis. Ed è una cosa tragica. Mentre invece la cosa straordinaria di Tom è che è bravissimo ad interpretare persone che ami e ammiri, proprio come lui è ammirato in tutto il mondo. Ma è anche un attore versatile che però non è mai riuscito a calarsi in un personaggio oscuro, spaventoso, del cattivo, della ‘persona che non vorresti al fianco’. Penso che fosse davvero entusiasta di interpretare questo personaggio non particolarmente amabile né tantomeno simpatico”.
Luhrmann ammette prontamente di sperare in una nuova collaborazione in futuro. “Tom è una persona di grande animo. Spero di poter lavorare nuovamente con lui, in qualsiasi momento”.
Butler concorda, aggiungendo: “Lavorare con Tom è stato fantastico; è gentile, generoso e divertente, e mi ha insegnato molto. Ha apportato tanta umanità nel ruolo del Colonnello, rendendolo persino simpatico, cosa che penso sia stata davvero importante per la storia”.
Nonostante il film sia incentrato sulle figure di due protagonisti, Hanks dice: “Non ho potuto girare tutte le scene con Austin come avrei voluto, ma l’ho osservato, e devo ammettere che non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Non ha simulato nulla, si è innegabilmente immerso nella scena; l’impegno che ci ha messo è stato impressionante fin dall’inizio”.
L’attore, che negli anni ha svolto molteplici casting con giovani talenti per i suoi progetti, ricorda quando Luhrmann inizialmente gli disse che aveva in mente Butler per la parte. “Nel provino di Austin ci vedeva già Elvis. Non aveva alcun dubbio al riguardo. Austin ha trovato una connessione profonda e molecolare con Elvis, e Baz l’ha colta”.
“Quando è salito sul palco per le esibizioni di Las Vegas, ad esempio, è stato elettrizzante”, continua Hanks. “Penso che abbia dovuto farle almeno 30 volte, e non ne avevamo mai abbastanza. Senza dubbio, oltre al suo talento, credo sia stato motivato da un’enorme fiducia nel progetto, che non è dissimile dallo stesso Elvis”.
All’inizio e nel corso degli anni in cui hanno lavorato insieme, Elvis non è stato l’unico membro della famiglia Presley con cui Parker si è confrontato. Per attirare le attenzioni del giovane talento, il Colonnello ha anche approcciato i suoi genitori Vernon e Gladys, creando un’azienda di famiglia in cui Vernon ha svolto un ruolo significativo, anche se solo di nome.
La Thomson (che interpreta Gladys) afferma: “Penso che in primo luogo, era una donna molto semplice; ha conosciuto la ricchezza solo quando suo figlio ha guadagnato tutti quei soldi, ma la maggior parte della sua vita è stata segnata dalla povertà. Baz mi ha parlato della natura del rapporto che aveva con Elvis, e di quanto fosse prezioso perché, come sappiamo, aveva partorito due gemelli ma uno era morto. Non ha mai superato quella perdita, e non è raro che psicologicamente, una madre si attacca a quello sopravvissuto quasi in maniera morbosa.
“Elvis era tutto ciò che aveva, erano legatissimi”, riflette. “Tuttavia, è stata una relazione piuttosto felice, e andavano molto d’accordo. Credo che Elvis non sia più stato lo stesso dopo la morte della madre. È stato un legame bellissimo, e mi sento una privilegiata per aver avuto l’onore di interpretarla”.
L’attrice si è divertita a lavorare con Luhrmann, dichiarando: “Firmerei qualsiasi ruolo per Baz; è davvero stimolante”, e aggiunge che quando è sul set, “Baz ama accompagnare la scena con una musica adatta, per permetterci un maggiore coinvolgimento nella situazione. E questo porta tanta energia. Anche lui stesso è un’esplosione di energia che contagia tutti, e questo suo comportamento non può far altro che stimolarci a puntare a delle prestazioni impeccabili”.
Richard Roxburgh, che interpreta Vernon e che ha lavorato molte volte con Luhrmann, concorda, aggiungendo: “Parlare con Baz è una gioia: ama la vita, ama i personaggi, ama la storia. Lavorare con lui è sempre divertente perché è una persona estremamente brillante sul set, ogni giorno, sempre. Non si prende mai un giorno libero. Ha sempre grandi idee e ascolta quelle degli altri”.
Appare chiaro nella storia che Vernon non era una figura forte nella vita del figlio, né un genitore così presente come Gladys. “Vernon è il padre di Elvis, ma per molti versi è il suo esatto opposto: estremamente riservato e dalla personalità complessa”, afferma Roxburgh. “È andato in prigione quando Elvis era piccolo, per aver presumibilmente falsificato un assegno, e questo ha macchiato di vergogna tutta la famiglia”.
“Dal momento in cui Elvis ha iniziato a diventare famoso e a fare soldi, penso che Vernon abbia trascorso tutta la sua vita sotto shock”, afferma Roxburgh. “Erano una famiglia molto povera e semplice del Mississippi, e credo che non si sia mai adattato a questa nuova vita, o al fatto che oramai la sua vita era incollata a suo figlio, che sarebbe diventato uno dei più grandi e iconici esseri umani nella storia. Si può facilmente immaginare la destabilizzazione provata da Vernon”.
Roxburgh crede che l’ingresso di Parker nel mondo dei Presley sia stato quasi come un sollievo per il suo personaggio, nonostante il “ruolo” dirigenziale assegnatogli dal Colonnello. “Penso che Vernon abbia accettato la presenza del Colonnello nella vita di Elvis perché sentiva che sapeva il fatto suo, era grande e potente, quasi da reputarsi ‘tanto fortunati’ che quest’uomo importante voleva che nostro figlio facesse parte della sua vita. Assegnò a Vernon il ruolo di direttore degli affari, ma quella fu una mossa molto astuta da parte del Colonnello; Vernon era, a tutti gli effetti, analfabeta e non sarebbe mai stato in grado, o abbastanza coraggioso, da portare avanti quel ruolo da solo. Ciò significava che il Colonnello era libero di agire e muovere i fili della carriera del cantante, coinvolgendo anche la famiglia. Tuttavia, certo che Parker avesse sempre a cuore gli interessi di Elvis, Vernon spesso non capiva i progetti che aveva in mente per il figlio”.
Nello sviluppo del progetto, Luhrmann si è avvalso del contributo di persone che hanno conosciuto Elvis in vari momenti della sua vita, ed una in particolare che lo conosceva come nessun altro: Priscilla Presley. La sua benedizione è stata preziosa per il regista, e il suo ruolo nel film era decisivo.
“Proprio come non volevamo che Austin imitasse Elvis, non volevamo che qualcuna imitasse Priscilla”, dice. “La stessa Priscilla è stata incredibilmente disponibile e l’ho incontrata diverse volte. È stato un lavoro davvero delicato portarla sullo schermo perché, da un lato, è stata anche lei un’icona. Eppure, Elvis è sempre stato al centro della sua vita e, nonostante sia andata avanti ed abbia fatto cose molto significative, ha portato avanti il nome e curato il patrimonio di Presley.
Ciò che lo ha attratto di Olivia DeJonge durante il casting è stata una qualità intangibile che ha colto nella vera Presley: “Di Priscilla ho subito percepito la sua determinazione, che ho rivisto in Olivia”.
“Priscilla era un personaggio interessante da ritrarre”, afferma la DeJonge. “E’ stata insieme ad Elvis per tanto tempo, ed ha vissuto diverse fasi della sua vita. La mia intenzione era quella di allontanare tutti i preconcetti storici, e arrivare al loro lato umano. Per me, Priscilla era una donna che amava davvero quest’uomo, nonostante il suo lavoro lo portasse spesso lontano. Non so proprio come avrei fatto io al suo posto!
“Priscilla ha messo Elvis al primo posto per molto tempo, e penso che lo amasse con tutto il cuore e se ne prendesse cura come nessun altro; era un rifugio per lui”, aggiunge la DeJonge. “All’inizio, ha tentato di incarnare tutto ciò che Elvis cercava in una donna, ma poi ha trova una propria individualità e credo si sia resa conto che la sua vita con Elvis non era più quella che voleva… Ma non ha mai smesso di amarlo”.
“È una giovane donna brillante che si innamora e improvvisamente entra a far parte della vita caotica di Elvis; spesso è l’unica voce della ragione in mezzo a tanto caos”, spiega la DeJonge. “È sposata con l’uomo più famoso del mondo e, nel tempo, il loro rapporto è stato messo a dura prova, proprio come lei, come moglie e madre”.
Prima che le telecamere si accendessero, la DeJonge afferma che, oltre al copione e alle conversazioni con Luhrmann, “Gran parte della mia preparazione è consistita nel leggere il libro di Priscilla, Elvis and Me, guardare le sue interviste, i suoi video amatoriali con Elvis, e documentarmi su ciò che è stato scritto su di lei, per avere una prospettiva più completa possibile. Quindi individuare quali elementi sarebbero stati utili per raccontare la storia”.
Nel film la maggior parte delle scene della DeJonge sono, naturalmente, al fianco di Butler, con il quale le è molto piaciuto lavorare. “Austin è stato davvero fantastico; dall’inizio abbiamo stretto una bellissima amicizia, fidandoci l’uno dell’altro per tutto il percorso. È incredibilmente talentuoso, così appassionato di questo lavoro e una fonte di ispirazione per tutti. Ha avuto rispetto del mestiere e della storia. È stato facile entrare nei panni di questi protagonisti, perché nel lavoro è sempre presente e disponibile”.
“Olivia è semplicemente meravigliosa”, ricambia Butler. “E’ un’attrice così altruista, una gran lavoratrice e una narratrice davvero dotata. Abbiamo passato molto tempo noi due, e a volte a fine giornata tornavamo a casa insieme e provavamo le scene in macchina: era sempre pronta. È stata una vera gioia condividere questa esperienza”.
Nel corso della sua vita e della sua carriera, Elvis Presley è stato a stretto contatto con molte persone che lo avrebbero aiutato a plasmarlo come artista e come uomo. “Le interazioni di Elvis con i musicisti neri, siano essi blues o gospel, sono state fondamentali per la sua crescita artistica”, afferma Nelson George, storico, autore e critico musicale e culturale americano, che ha aiutato i realizzatori ad approfondire il rapporto di Elvis con gli afroamericani a Memphis e Tupelo. “Inoltre, gli artisti che li ritraggono nel film, hanno fatto un ottimo lavoro incarnando alcuni dei più importanti cantanti e musicisti del 20° secolo”.
Impegnato a mescolare grandi star della musica e talenti emergenti per creare autenticità e coinvolgere ulteriormente il pubblico, Luhrmann ha scelto degli attuali hitmaker e volti famosi come molti dei personaggi chiave della storia, in particolare quelli dediti alla musica, tra cui: B.B. King di Beale Street, interpretato da Kelvin Harrison Jr.; Big Mama Thornton, interpretata da Shonka Dukureh; Sister Rosetta Tharpe, interpretata da Yola; Little Richard, interpretato da Alton Mason (con la voce di Les Greene), e Arthur “Big Boy” Crudup, interpretato da Gary Clark Jr. Hanno fatto parte del cast musicale anche Shannon Sanders e il suo team Gospel di Lenesha Randolph e Jordan Holland come cantanti pentecostali e, insieme a Yola, sono stati coinvolti nel progetto sin dall’inizio, lavorando con Luhrmann da Nashville all’Australia.
Durante l’ampio processo di sviluppo, Luhrmann ha iniziato a collaborare con il produttore pluripremiato ai Grammy, Dave Cobb, che lavora a Nashville, presso il famoso RCA Studio A del Tennessee, dove lo stesso Elvis ha registrato centinaia di canzoni. Con la guida esperta di Cobb, hanno riunito alcuni dei migliori musicisti che lavorano oggi a Music City (come è nota Nashville) per supportare Austin Butler mentre registrava le sue versioni dei primi successi di Elvis. Alcuni di questi musicisti avevano persino suonato con il chitarrista solista della prima band di Elvis, Scotty Moore, in persona. Riunendo acclamati artisti Gospel da tutta la regione, un momento clou di quelle sessioni alla fine del 2019, è stata una sessione di registrazione svoltasi in una piccola chiesa rurale, utilizzando microfoni originali degli anni ’40 e ’50. Quelle registrazioni hanno costituito la base della sequenza del revival Pentecostale del film.
Yola, che ha partecipato a queste prime sessioni di Nashville presso l’ RCA Studio A, afferma: “Quando ho ricevuto la chiamata per andare in studio, mi ha sorpresa il fatto che il film non fosse già stato portato a termine, perché solitamente la musica si adatta in un secondo momento al film. Ma Baz credeva che, trattandosi di un film su Elvis, sarebbe dovuto nascere dalla musica stessa”.
Yola aggiunge: “È stato davvero importante e un vero onore interpretare Sister Rosetta Tharpe, uno dei pilastri del rock ‘n’ roll; nessuno aveva mai cantato in quel modo. Questo è il mio debutto come attrice”, aggiunge, “e lavorare con Baz è stata una delle grandi gioie della mia vita”.
Al suo debutto da attrice anche Dukureh, che racconta che inizialmente era stata selezionata per unire la sua voce a Yola, oltre a cantare il successo originale di Big Mama Thornton “Hound Dog”.
“Ho ricevuto un’e-mail da Elliot Wheeler e con mio grande stupore diceva: ‘Bene, Shonka, vogliamo parlarti della possibilità di far parte del film’, a cui ho risposto: ‘Elliot ma sai con chi stai parlando?” dice ridendo. ” ‘Sì, assolutamente!’ Vorremmo che facessi parte della scena pentecostale e che interpretassi Big Mama Thornton’ ha aggiunto Elliot”.
Prima delle riprese, la Dukureh tra le varie ricerche sul personaggio ha colto delle somiglianze tra lei e la leggenda della musica. “Era una cantante autodidatta come me; in effetti non abbiamo entrambe frequentato un corso di formazione. Ha imparato da sola a cantare, a suonare la batteria, l’armonica ed ha ammesso di non saper leggere la musica. E per me vale più o meno lo stesso”.
Per il ruolo di Little Richard è stato reclutato l’emergente top model diventato attore Alton Mason in un modo piuttosto inaspettato. “Sono volato a Sydney, in Australia, per i GQ Awards e ricordo di aver incontrato Baz Luhrmann nella stanza del trucco e parrucco. Ci siamo guardati, ed entrambi abbiamo fatto apprezzamenti sulla nostra acconciatura. Poi, all’after-party a cui abbiamo partecipato, mi ha chiesto ‘Canti? O qualcuno nella tua famiglia canta?’. Gli ho risposto di sì, e ho aggiunto che la mia prozia era Mahalia Jackson”.
La Jackson, una cantante gospel tra i più influenti del 20° secolo, appare brevemente nel film. La coincidenza, insieme all’aspetto azzeccatissimo di Mason, è stata sufficiente per Luhrmann. Mason ricorda: “Abbiamo iniziato a parlare del progetto, e Baz ha addirittura rimandato la partenza del giorno successivo, per spiegarmi bene il ruolo”.
Non ci è voluto molto per convincere Mason a firmare. Il cantante Les Greene avrebbe fornito la voce, mentre Mason incarnava perfettamente la fisicità di Little Richard quando interpreta quello che sarebbe poi diventato il famoso “Tutti Frutti” nel film.
“Little Richard era un artista potente, con una grande carica che infuocava il palco. Ma aveva anche un lato angelico. Guardare i suoi video e vederlo esibirsi mi faceva venire voglia di ballare; è impossibile rimanere fermi!” ammette sorridendo. “Volevo provare la sensazione del suo modo di essere, e rendere onore a tutto ciò che ha fatto, come uno degli architetti del rock ‘n’ roll”.
Luhrmann ha contattato direttamente anche Gary Clark Jr. per interpretare Arthur Crudup, il musicista e cantautore che ha scritto “That’s All Right”, il primo singolo pubblicato da Elvis nel 1954. “Ho studiato blues fin da piccolo, ed è impossibile non conoscere alcuni dei musicisti che hanno inventato il rock ‘n’ roll”, dice Clark.
“Ritenevo importante la presenza di Crudup nella storia”, spiega Luhrmann, continuando, “L’elenco dei musicisti che avrebbero potuto incarnarlo nella musica e nello spirito si riduce davvero a un nome: Gary Clark Jr. Fondere più brani tradizionali blues, e rendere tutto spontaneo, non è stata un’impresa facile. Gary è andato ben oltre le mie aspettative”.
Clark ha imparato tecniche nuove e classiche per suonare la chitarra come faceva Crudup, e si è avvicinato alla produzione con sicurezza. “Mi fidavo al 100% di Baz”, afferma.
Una delle amicizie più strette che appaiono nel film, è quella tra Elvis e B.B. King, a cui spesso Elvis chiede consigli, anche quando perde il controllo delle situazioni e ha bisogno di un rifugio sicuro. King nel film rappresenta non solo un musicista, ma anche un astuto uomo d’affari, un ruolo che avrebbe continuato a svolgere per tutta la vita.
Kelvin Harrison Jr. ha trovato “l’idea di interpretare B.B. elettrizzante. La sua calma, la sua semplicità, i suoi modi mi hanno fatto davvero venire il desiderio di interpretare il suo personaggio, all’interno di questa storia”.
Per prepararsi alla parte, l’attore si è immerso nella ricerca sull’artista: “Ho iniziato a guardare dei video, un’intervista del ’68, e vari tutorial di chitarra che ha fatto. È stato davvero interessante perché mi ha permesso di capire come parlava e come suonava. Nell’ascoltare la sua musica, in particolare i primi album, e nel vedere molti spettacoli dal vivo ho avuto un vero quadro della sua personalità”.
Harrison ha anche apprezzato l’ambiente creato da Luhrmann sul set, affermando: “L’esperienza di lavorare con Baz non la dimenticherò mai; non ho mai vissuto niente di simile. Sa quello che vuole e come incoraggiare e responsabilizzare gli artisti. Tutti si sentivano vivi ed entusiasti di venire a lavorare, e anche le comparse si sentivano dei personaggi. L’energia, l’entusiasmo per la musica che trasmetteva Baz, ha creato un mondo dove senti di avere un posto. Senza pensarci ti lasci coinvolgere, lasci andare il tuo ego e, come dicevamo al Club Handy, lasci scivolare tutto”.
“Elvis” presenta anche coloro che avrebbero fatto parte dell’entourage del cantante a vario titolo – amici, famiglia, musicisti, produttori – per tutta la vita, tra cui Luke Bracey nei panni di Jerry Schilling; Xavier Samuel nei panni di Scotty Moore; Dacre Montgomery nei panni di Steve Binder; Gareth Davies nei panni di Bones Howe, tra gli altri.
Il film include anche scene presso la Sun Records, l’etichetta per cui Elvis ha inciso le sue prime registrazioni, compreso il successo radiofonico che ha attirato l’attenzione del Colonnello. Il fondatore della Sun, Sam Phillips, e Marion Keisker sono interpretati da Josh McConville e Kate Mulvany, e la prima fidanzata di Elvis, Dixie Locke, è interpretata da Natasha Bassett. Kodi-Smit McPhee interpreta Jimmie Rodgers Snow, il giovane musicista che suona un singolo per Parker, e David Wenham nei panni di suo padre, l’headliner di Parker, Hank Snow.
“Questa è la quarta collaborazione con Baz, e adoro lavorare con lui”, dice Wenham sorridendo. “Il suo modo di lavorare è unico, e sono certo che passerà alla storia come uno dei veri grandi realizzatori. Baz è un intrattenitore, uno showman, ma è anche un artista nel modo in cui realizza i film. Non ho mai incontrato nessuno con così tanta energia, entusiasmo e capacità di direzione. È sempre una gioia lavorare con Baz; ed esplorare un personaggio come Elvis Presley attraverso la sua prospettiva unica, è stata una combinazione perfetta”.

We’re lost in a cloud
With too much rain
We’re trapped in a world
That’s troubled with pain
But as long as a man
Has the strength to dream
He can redeem his soul and fly…

SCENOGRAFIE
Per riportare il pubblico indietro nel tempo nella vita di Elvis, le scenografe Catherine Martin e Karen Murphy si sono concentrate sulla fusione di riferimenti storici con l’incredibile narrazione visiva di Luhrmann. Con l’eccezione di alcune location, tutto è stato realizzato sugli enormi teatri di posa e sul backlot dei Village Roadshow Studios, nella Gold Coast australiana.
La Martin ha dato forma alla visione di Luhrmann sin dalla sua prima incursione nel cinema. “Negli anni abbiamo cementato il nostro modo di lavorare”, dice Luhrmann riguardo alla collaborazione con la Martin, che lui chiama CM. “Non seguiamo delle regole, abbiamo quasi un linguaggio tutto nostro. Comincio con i miei scarabocchi e collage, fogli strappati e tante parole. Tutto praticamente illeggibile e incomprensibile, lo so, ma lei capisce cosa intendo trasmettere; ed ha il gran dono di riuscire a dare forma a tutto quel guazzabuglio in maniera impeccabile. Essendo coinvolto totalmente nel processo, sa che sono ossessionato persino dall’orlo di un costume o dal colore di un muro! E siamo una vera forza: abbiamo una connessione spirituale e creativa che è davvero speciale. Dal momento in cui ci siamo incontrati, abbiamo sempre dialogato e ci siamo confrontati continuamente, e questa complicità non si è mai interrotta”.

Graceland
“Abbiamo tentato di ricreare Graceland in vari periodi di tempo e nel modo più preciso possibile; tuttavia fondamentalmente non stavamo realizzando un documentario”, afferma la Martin. “Inoltre, la prospettiva era particolare, perché la storia è raccontata dal colonnello Tom Parker. Non doveva essere una ricostruzione dettagliata della vita di Elvis e del suo mondo, ma bisognava seguire una prospettiva cinematografica nonché quella del Colonnello Tom Parker, che raccontando la storia fa emergere i suoi ricordi delle loro esperienze”.
Detto questo, Graceland esiste ancora oggi, ed è stata conservata per i fan e i turisti che possono avere un’idea precisa di come era quando Elvis ci abitava. La Martin ammette che, nonostante il filtro narrativo di Parker, “Volevamo mostrare il più possibile Graceland nelle varie fasi temporali. Tutti i nostri dettagli architettonici erano basati su progetti e planimetrie della tenuta di Graceland che abbiamo avuto la fortuna di reperire con l’ausilio speciale dell’archivista capo Angie Marchese e della sua squadra. Per noi, Graceland era il simbolo e l’espressione del successo di Elvis. Nel film si possono notare gli esterni, quando il cantante arriva per la prima volta insieme ai suoi genitori, dopo averlo appena comprata”.
“Anche gli interni della tenuta vengono mostrati così com’erano quando Elvis l’ha acquistata”, continua. “Ad esempio, inizialmente i pavimenti in parquet sono stati successivamente coperti da un tappeto rosso per le scene che riflettono le modifiche apportate dal cantante con audaci elementi d’arredo, nell’arco degli anni ’60 e ’70. Inoltre, Baz ha ritenuto importante mostrare la tenuta come appare oggi, un museo aperto al pubblico, poiché è così che viene ricordata”.
Per la Martin, il processo di progettazione e l’allestimento dei set era il frutto di una grande collaborazione e lavoro di squadra. “Mi sono avvalsa di tre direttori artistici nel reparto scenografie che si sono occupati di ogni singolo set”. Per gli interni e gli esterni di Graceland, tra gli altri c’era Matt Wynne.
“A completare la squadra c’era anche una grande decoratrice di set”, aggiunge la Martin. “È stata macchina ben oliata, in cui tutti hanno lavorato insieme per ottenere l’irraggiungibile!”.
La decoratrice di set Bev Dunn aggiunge che la sua attenzione non riguardava mai un tavolo o una sedia, ma la stanza nel suo insieme. “Ho valutato un’ ambientazione, una sala da ballo, o le vetrine dei negozi nel complesso e non singolarmente, mescolando il vecchio con il nuovo. Non potendo comprare tutti i mobili della metà del secolo, molti arredi li abbiamo dovuti realizzare ex novo, oltre ad aver acquistato oggetti nei negozi dell’usato vintage”.
L’esterno di Graceland inizialmente prevedeva una lavoro di 10 settimane, tuttavia, con la chiusura causata dalla pandemia, il set è rimasto avvolto nella plastica per quasi un anno. Sorprendentemente, in 10 giorni era pronto per le riprese finali. Tutto il verde e le piante previsti, durante la pausa sono stati spostati e immagazzinati, annaffiati e curati, così come l’erba e i prati vicini alla villa e ai vialetti. La location effettiva era in una posizione privilegiata, in quanto si trovava vicino agli Studios, e mostrava un giusto pendio sul terreno oltre ad un’esatta retroilluminazione.
Tutte le location esterne erano soggette a criteri molto stringenti, uno dei più importanti era la riservatezza, fornita sia da Guanaba, una località semi-rurale, sia da Suntown Landfill ad Arundel. Gli spettatori apprezzeranno senza dubbio l’esterno di Graceland, dove si svolge gran parte dell’azione domestica, dovuta in gran parte alla predilezione di Elvis per le auto, inclusa la famosa Cadillac rosa.
Il direttore artistico senior Damien Drew è stato responsabile dell’acquisizione di più di 300 mezzi tra auto e moto, per conto del reparto addetto ai picture vehicles. E’ ben documentato che Elvis era un grande collezionista di automobili e motociclette. Dice Drew: “Il team di Graceland è stato molto utile nel fornirci il lungo elenco delle auto che Elvis ha posseduto. Era un fanatico quando si trattava di veicoli. Alcuni li teneva solo per un breve periodo di tempo e poi li regalava a familiari o amici. E fin da piccolo amava andare in bicicletta. Abbiamo iniziato a valutare quali mezzi erano disponibili in Australia,  e quali avremmo dovuto acquistare dagli Stati Uniti. Inizialmente eravamo preoccupati di non trovare auto con la guida a sinistra in Australia, ma alla fine dopo varie ricerche, sono venute fuori”.
“Nel Queensland, dove stavamo girando, c’erano parecchi collezionisti di auto”, riprende. “La gente teneva delle auto nascoste in capannoni che non avremmo mai immaginato di trovare. In definitiva, abbiamo dovuto acquistare solo 15 auto, e solo la metà circa proveniva dagli Stati Uniti. Le restanti le abbiamo affittate da questi collezionisti australiani. Molti dei proprietari sono stati felici di concederci le auto per un lungo periodo di tempo, perché sapevano che le avremmo migliorate, rivestite e riparate, aggiungendo quindi valore”.

Beale Street
Nel film, Elvis occasionalmente passa del tempo con gli amici ad ascoltare musica dal vivo nei club lungo Beale Street, a Memphis. Questo set di esterni, allestito a Suntown Landfill, è stato uno dei più grandi e complicati da realizzare. Il supervisore art director Ian Gracie afferma: “Ci sono volute 12 settimane per creare Beale Street”. Come Graceland, però, “Il set è rimasto avvolto nella plastica per quasi un anno”.
I riferimenti per Beale Street erano tutti storici, e uno dei primi requisiti era che la strada fosse costruita su un pendio, come era all’epoca. A causa dell’azione nelle scene, tuttavia, è stato necessario tenere conto di alcune considerazioni territoriali durante la costruzione degli edifici, come la vicinanza tra Lansky’s e il Club Handy. Anche la pioggia, il vento e gli agenti atmosferici in generale sono stati una sfida, così come l’allineamento iniziale del set per una particolare ripresa al tramonto.
Complessivamente, sono stati utilizzati in Beale Street più di 60 veicoli, inclusi camion, pickup, berline e coupé – la maggior parte dei quali di provenienza locale – a cavallo di due periodi di tempo. Molti erano avvolti in vinile, altri strutturalmente modificati per renderli consoni all’epoca.

La Fiera
Un’ambientazione iniziale e vitale nella storia è la fiera in cui Parker, avendo precedentemente assistito all’effetto di Elvis sulla folla al Louisiana Hayride, Shreveport, si avvicina ad Elvis per essere il suo manager. Gracie, che ha lavorato a stretto contatto con l’art director Tuesday Stone, riguardo all’imponente costruzione dice: “Tutti gli elementi, inclusi segnaletica, gazebo, spettacoli secondari, stand, mangiafuoco, concerto di Hank Snow, stand gastronomici, trenini e carrozze, Madam Zeena’s e tanti altri, sono stati progettati e realizzati dal dipartimento artistico; ad eccezione della ruota panoramica, delle giostre e delle altalene, che già preesistevano e che il reparto ha solo abbellito”.
Il set doveva rappresentare due momenti diversi della storia: una notte in Florida e un giorno in Texas. Nella giornata di sosta tra le due ambientazioni, tutti gli elementi naturali possibili (fulmini, temporali e grandine) hanno devastato il set.

L’International
Nel film, Parker si assicura delle date per Elvis a Las Vegas, presso il nuovo International Hotel, che ha richiesto un set sontuoso che comprendeva un grande palcoscenico e un’area per il pubblico. La Dunn afferma che uno degli elementi più significativi per lei sarebbe stata “un’incredibile ed enorme tenda dorata totalmente funzionale. Inizialmente poteva sembrare un effetto visivo, data la grandezza. Con immensa gioia abbiamo reperito il tessuto adatto, l’abbiamo tinto di color dorato, spedito in Australia e cucito, il tutto in meno di otto settimane! Ma ne è valsa la pena; abbiamo dato la possibilità agli attori di interagire con un sipario del genere, e di creare una scena perfetta”.

 Deep in my heart there’s a trembling question
Still I am sure that the answer’s, answer’s gonna come somehow
Out there in the dark, there’s a beckoning candle, oh yeah…

COSTUMI
E’ difficile immaginare un artista dai costumi più emblematici di quelli di Elvis. Inoltre, il film abbraccia almeno tre decenni, durante i quali la moda si è evoluta radicalmente, ma la Martin e la sua squadra sono state all’altezza della sfida.
Spiega: “Relativamente ai costumi, abbiamo dovuto collegare tre decenni: gli anni ’50, ’60 e ’70. Dovevamo entrare nel vivo di ogni decennio, in modo che ci fosse un netto cambiamento nell’aspetto tra i vari periodi. In aggiunta, bisognava immortalare i personaggi come star: Priscilla, ad esempio, era un’icona di stile contemporaneo per il modo in cui era pettinata e per gli abiti che indossava. È stato molto importante per noi evidenziare quei particolari”.
“Austin può indossare qualsiasi cosa, gli sta tutto bene, e nel film ha più di novanta cambi di costume!” esclama. “E ognuno rappresentava un processo importante per aiutare l’attore e il regista a creare il personaggio: dovevano chiaramente essere giusti”.
Butler era entusiasta della costumista e della sua squadra, osservando: “Catherine Martin ha curato tutto il mio aspetto nel film, al fianco di una squadra assolutamente eccezionale. Un abito aiuta molto la trasformazione per ritrarre un personaggio”.
Nelle tante memorabili esibizioni di Elvis nel film, la star indossa una vasta gamma delle sue famose tute, e di fatto ne appaiono diverse, ma per Butler la vera scoperta è arrivata con l’abbigliamento ‘di tutti i giorni’ dell’artista, oltre ad alcuni modelli sorprendenti. “Non ho mai indossato così tante camicie intarsiate! Le ho molto apprezzate così come i bolero e il completo tutto blu degli anni ’50, con la maglia in pizzo”.
A quel punto della carriera, tra la metà e la fine degli anni ’50, Elvis acquistava la maggior parte degli abiti da scena e non, al Lansky Bros. su Beale Street a Memphis, nel Tennessee. “Negli anni ’50, il Lansky Bros. vendeva splendidi abiti sartoriali, diventando il punto vendita prediletto e ambito dagli artisti della regione, incluso il giovane Elvis Presley”, racconta la Martin. “Durante le nostre incursioni a Memphis, ho tanto apprezzato le chiacchierate con Hal e Julie Lansky, che gestiscono il ​ Lansky Bros. fondato dal padre di Hal, Bernard”.
Ma torniamo alle tute… la Martin e il suo reparto hanno avuto il privilegio di collaborare con Kim e Butch Polston della B&K Enterprises a Charlestown, Indiana, che hanno ricreato fedelmente l’iconico abbigliamento per concerti degli anni ’70 di Elvis, con il placet del costumista di lunga data della star, Bill Belew. I Polston, hanno così realizzato fedelmente le tute ed anche gli spettacolari e complessi ricami per mano di Jean Doucette. Dice la Martin: “È stato significativo per il reparto costumi e soprattutto per Austin, portare questi capi sullo schermo con autenticità toccante e personale”.
Sebbene sia difficile scegliere un costume preferito tra i tanti, Butler ammette: “L’abito di pelle che ho indossato per lo Special del ’68 è quello che più mi ha fatto sentire potente. È stato fantastico indossarlo”.
Riguardo la fashionista Priscilla, la Martin ammette: “Ho avuto la fortuna di riaccendere la mia collaborazione con Prada e MiuMiu, che mi hanno dato modo di attingere allo stile iconico di Priscilla e collegarlo ai loro meravigliosi design. Priscilla indossa splendidi abiti nel film: uno dei miei preferiti è quello bianco smanicato con pizzi, organza e chiffon firmato MiuMiu che veste ad una cena”.
Olivia DeJonge aggiunge: “I costumi di Priscilla spiccano nel film. La moda e il suo look, sono molto noti e documentati. Indossare quegli abiti e ritrarre le sue acconciature e il trucco è stato un privilegio per me, anche se ci sono volute circa tre o quattro ore per realizzarle, a seconda del giorno!”.
E il suo abito preferito? “Se dovessi scegliere, è quello che Priscilla indossa al concerto di Las Vegas: un tailleur pantalone ingioiellato. A quel tempo aveva capelli lunghi scuri e ciglia folte. Era un look incredibile; mi sono sentita una regina! Dà un valore aggiunto alla performance, e non credo che indosserò mai più qualcosa di così straordinario”.
L’approvvigionamento dei costumi è stato ampio, essendo stato il risultato di una combinazione di costumi e abiti vintage, costumi acquistati da collezioni e integrati da alcuni abiti noleggiati in America ed Europa. Ma la stragrande maggioranza è stata ideata e realizzata dal reparto costumi della produzione.
“Avevamo un laboratorio molto qualificato che ha cucito un gran numero dei nostri costumi, dagli abiti per Elvis ai grembiuli per le cameriere”, racconta la Martin. “C’erano inoltre parecchi artisti di supporto e comparse, dalle scene di strada a Beale Street a Memphis negli anni ’50, a un grande showroom per un concerto di Elvis negli anni ’70, oltretutto. Quegli artisti di supporto e le comparse seguivano gli anni dell’evoluzione di Elvis come interprete, quindi i loro costumi erano importanti tanto quanto quelli indossati dal Re del rock’n’roll”.

 “And while I can think, while I can talk…”

EFFETTI SPECIALI TRUCCO
“Elvis” inizia con la narrazione del Colonnello Tom Parker nei suoi ultimi anni di vita. Per questo, per coprire l’arco temporale di 40 anni, Tom Hanks ha trascorso ogni giorno parecchie ore sulla poltrona del trucco, sotto l’occhio creativo del supervisore alle protesi Jason Baird al fianco della sua squadra di artisti.
Baird descrive il processo in dettaglio: “Il punto di partenza di qualsiasi trucco protesico di grandi dimensioni è il processo di life casting della testa dell’attore e la scansione digitale del corpo. Da lì, vengono realizzati dei calchi e delle riproduzioni corporee dai quali vengono preparate diverse varianti di ogni look.
Per Parker c’erano tre versioni diverse: dalla metà alla fine degli anni ’40, l’età in cui scopre Elvis; i suoi 60 anni; e gli 87 anni. Baird afferma: “La versione della fine degli anni ’60 era un po’ più grassa con il doppio mento, quelle dell’età avanzata presentavano un cambio di capigliatura e delle macchie sulla carnagione. Essendo un uomo di 87 anni, era pallido e malaticcio, e per questa versione la testa di Tom era completamente ricoperta di protesi, con l’aggiunta di una parrucca dai capelli più bianchi e radi, una dentiera e ulteriori macchie dovute all’età e al sole”.
“L’applicazione delle protesi dei primi due look ha richiesto tre ore e mezza di lavoro ogni giorno; l’ultima invece, la versione più anziana e spettrale, ne ha richieste circa cinque”, continua. “Tom è stato fantastico durante tutto il processo:  si addormentava e, allo scadere delle ore, si prendeva una pausa per sgranchirsi le gambe”.
Hanks aggiunge: “eravamo nelle mani del meglio del meglio: Jason, Sean [Genders] e Brittany [Jones] si sono occupati di me, e per cinque ore ogni mattina prima che sorgesse il sole, abbiamo imparato a conoscere a fondo i nostri ritmi”.
Baird aggiunge che “la maggior parte delle volte il colonnello Parker indossa un cappotto, ma in alcune scene era a braccia nude, ragion per cui abbiamo dovuto realizzare delle protesi per ottenere degli arti più grassi, con tanto di punzonatura dei peli inseriti singolarmente nel silicone. E’ stato un processo lungo, ma vitale per raggiungere il maggior realismo”.
Il co-protagonista Richard Roxburgh, che interpreta Vernon, ricorda: “La prima volta che sono arrivato alla mia roulotte, ho notato che a quella affianco c’era un cartello con scritto ‘Tom Hanks, colonnello Parker’. Lì fuori c’era seduto un omone calvo che pranzava: lì per lì ho pensato fosse un assistente o un altro addetto ai lavori, invece era Tom con la parrucca calva, il doppio mento, il suo vestito largo. La trasformazione è stata davvero notevole”.
Poiché Austin Butler interpreta Elvis Presley nei suoi trent’anni di vita (Elvis è morto molto prima di Parker), Butler doveva passare dall’essere un adolescente di 17 anni a un uomo di 42. La sua trasformazione non aveva niente a che vedere con quella di Hanks, ma comunque anche per Butler sono state realizzate molte varianti protesiche.
Il designer di protesi Mark Coulier commenta: “Fin da subito abbiamo dovuto considerare il modo in cui avremmo trasformato Austin dai 17 ai 42 anni. Per la prima parte della vita del personaggio, abbiamo evidenziato quel leggero cambiamento di peso tipico dell’età dello sviluppo dai 25 ai 30 anni. Poi nell’ultimo concerto, Elvis era molto pesante e non appariva da un po’, quindi bisognava mostrare una progressione, un cambiamento, presentandolo al pubblico non solo sovrappeso, ma non in salute. Quella era la sfida”.
Per quest’ultimo, ci sono volute quasi cinque ore di preparazione, ma a Butler come Hanks, non è pesato, in vista del risultato finale che avrebbe avvalorato la sua performance. “La squadra addetta alle protesi era la più incredibile”, dice. “Quando inizi a vedere la trasformazione, ti senti davvero diverso: già solo con un maggiore peso addosso, cammini e respiri diversamente e questo aiuta la performance. L’ultima esibizione di Elvis è straziante: emerge la sua fragilità, il suo lato infantile che brilla attraverso questo grosso corpo malato, e che sappiamo non avrebbe vissuto a lungo. È stato molto emozionante”.
“Quando indossavo la tuta da grasso, mi sentivo un po’ oppresso: potevo solo fare respiri poco profondi, ed avevo molto caldo. La sensazione di claustrofobia che avvertivo mi ha particolarmente rattristato, perché immagino che anche Elvis riusciva a malapena a respirare. Eppure la sua voce usciva vertiginosamente”.

“While I can stand, while I can walk…”

FOTOGRAFIA
Per la direzione della fotografia di questa massiccia produzione, Luhrmann si è rivolto alla sua frequente collaboratrice Mandy Walker, con la quale ha sviluppato nel tempo un rapporto lavorativo inestimabile, utile soprattutto ad una produzione di questa portata, scala e precisione.
Ad esempio, diverse volte durante la produzione, le riprese sono diventate ciò che Luhrmann definisce un “trainspotting”. Spiega la Walker: “Il Trainspotting è una riproduzione completa di filmati esistenti, come lo Special ’68 di Elvis, le esibizioni a Las Vegas e quelle negli spettacoli di Steve Allen e Milton Berle. Avevamo tanto materiale di riferimento a disposizione di quegli spettacoli, e per i footage “trainspotting”, abbiamo riprodotto ogni evento in modo estremamente preciso, dall’illuminazione alle riprese, compresi i momenti in cui abbiamo zoomato o rimpicciolito. Per noi è stata una grande sfida”.
Poiché la storia copre un lungo arco di tempo, fin dall’inizio della pre-produzione Luhrmann e la Walker hanno lavorato a stretto contatto con Dan Sasaki, il responsabile dell’ingegneria ottica della Panavision. Sasaki ha creato due set di obiettivi originali e completamente diversi per catturare la fotografia del film. “In primo luogo, le lenti che ci hanno accompagnato fino a quando Elvis va a Las Vegas, erano 65 mm con una tavolozza di colori più morbida e una sensazione meno contrastata”, condivide Walker “al fine di creare l’elemento storico, il riferimento a un’epoca precedente”.
“Poi, per quando Elvis va a Las Vegas, abbiamo optato per l’anamorfico per rappresentare gli anni ’70. Queste lenti sono state costruite da zero e hanno persino piccoli simboli di Elvis su di esse; sono state migliorate per ottenere un colore più saturo e un maggiore contrasto cromatico. Un gioco con lo schermo che aiuta il pubblico ad attraversare periodi diversi di tempo”.
La Walker ha anche utilizzato nuove tecnologie LED, spiegando: “Avevamo un dimmer per calibrare la luce, in modo che girando la telecamera, si spostava contemporaneamente l’illuminazione, ed io potevo cambiare il colore delle luci molto velocemente da un iPad. Abbiamo realizzato delle luci soffuse a LED lunghe due metri e mezzo: emettevano una bella luce soffusa e potevano essere nascoste nel soffitto”.
Anche la gamma dei colori era molto specifica per ogni epoca del film. La luce colorata appare nella tarda vita di Elvis; mentre ai suoi inizi a Memphis l’immagine è, come l’ha soprannominata Luhrmann, “in colore nero e bianco”, utilizzando come riferimento il lavoro del famoso fotografo americano del 20° secolo Gordon Parks con le prime immagini a colori.
La Walker spiega: “Il colore nero e bianco è una versione pastello del colore, non propriamente un bianco e nero forte, che ho cercato per riprodurre nelle scene di Beale Street. Per le riprese diurne della strada, ci siamo ispirati all’illuminazione delle prime foto di Gordon Parks e Saul Leiter, così abbiamo potuto ricreare riferimenti al tempo e alle immagini che le persone conoscono di quel periodo della vita di Elvis”.
Luhrmann aggiunge: “Mandy ed io siamo appassionati di fotografie, per questo abbiamo scelto le immagini di fotografi iconici come Parks, come pietre miliari. Insieme Mandy ed io abbiamo fatto in modo che l’aspetto e il mood non fossero troppo nostalgici, ma del momento”.
La Walker dice anche che Luhrmann “mi parlava spesso della storia, del viaggio emotivo, e io esaminavo la sceneggiatura e prendevo appunti su ciò che mi riferiva riguardo a ciò che accadeva ad ogni personaggio, o quale effetto voleva sul pubblico, o quale emozione doveva suscitare una determinata scena. Da lì iniziavo a lavorare su come ottenere tutto ciò tecnicamente attraverso la fotografia. La maggior parte delle volte giravamo con almeno due telecamere, talvolta tre, fino a cinque per le scene dei concerti. Baz si sedeva di fronte a tutti i monitor accesi e comunicava con tutti gli operatori costantemente. Sembrava un direttore d’orchestra”, dice sorridendo. “Parte del mio lavoro era assicurarmi che avesse tutte le opzioni a disposizione, molto rapidamente, in modo da poter apportare facilmente modifiche sul momento”.

“While I can dream
Oh, please let my dream
Come true
Right now
…”

LE MUSICHE
Chiunque abbia visto un film di Baz Luhrmann, indipendentemente dal soggetto o dallo stile della narrazione, sa che le musiche e la colonna sonora le prende sul serio come qualsiasi scena, qualsiasi performance, qualsiasi fotogramma di un film. “Considero la musica, la sceneggiatura e il linguaggio visivo come un tutt’uno”, afferma. “Ho lo stesso tipo di collaborazione con il mio team musicale che ho con la telecamera: Anton Monsted è il supervisore musicale di ‘Elvis’, Elliott Wheeler è il compositore e produttore musicale esecutivo, e in passato ho lavorato con entrambi. Le partiture, i testi e il copione visivo, con questi miei collaboratori li metto tutti insieme, in modo che quando gli attori entrano nel mio mondo, hanno già una visione generale. C’è già una ‘musicalizzazione’, che so che non è una parola esistente”, ride, “La uso, ma me la sono inventata. Perché per me, tutti gli elementi, vivono insieme. Non dico ‘ora che c’è un copione, pensiamo alla musica’. La musica non è un sottofondo”.
Soprattutto con “Elvis”, afferma il regista. “Per accedere alla vita interiore di Elvis, non essendo lui una persona particolarmente loquace, è quando apre bocca e canta che si fa conoscere. Si fa capire. Lo senti. E questo è un dono speciale”.
Pertanto, le molte interpretazioni nel film dovevano seguire questo filo logico. “Insieme a tutta la mia squadra ci siamo immersi nella ricerca, che tanto ci appassiona”, rivela il regista. “Seguiamo sempre un processo che è sia accademico che sperimentale, aneddotico. Ma ovviamente, dovendo realizzare un lungometraggio drammatico di una vita di 42 anni, la “licenza artistica” doveva essere impiegata per comprimere il tempo, racchiudere più eventi storici e combinarli in un unico momento. Il concerto del 1956 al Russwood Park ne è un buon esempio. Gli incidenti della folla in delirio si sono effettivamente verificati in un concerto in Canada non molto tempo dopo, ma lo abbiamo trasformato in un unico evento drammatico”.
Butler aggiunge: “Interpretare Elvis è stato davvero incredibile, un’esperienza imparagonabile. Ci sono stati molti momenti, fin dall’inizio, in cui ho avuto paura di non farcela. Ad esempio, prima di iniziare le riprese, siamo andati a Nashville e Memphis, e abbiamo registrato alla RCA dove Elvis ha effettivamente inciso i suoi brani, nello Studio A. C’era la macchina vera e propria su cui ha registrato “Heartbreak Hotel”. Era la mia prima volta in uno studio di registrazione ed ero tanto nervoso! Baz ha chiesto a tutti i dipendenti della RCA di uscire e mettersi tra il pubblico, e io ho cantato “Blue Suede Shoes” di fronte a loro. Ero stato scelto da poco, e mi sono ritrovato a cantare queste canzoni famosissime davanti a tante persone!”
Eppure, ha capito la logica che c’era dietro. “Sicuramente, a poco a poco quei momenti mi hanno spinto fuori dalla mia zona di comfort, e benché la paura fosse ancora presente, l’ho vissuta come un’esperienza diversa”, ammette l’attore. “E sapevo che anche Elvis avrebbe provato le stesse sensazioni quando è salito sul palco per la prima volta”.
La preparazione si è rivelata ancora più utile il primo giorno delle riprese. “Abbiamo iniziato dal Comeback Special, con circa 300 comparse, dove io indossavo una tuta di pelle, e diventavo Elvis”, rivela Butler. “A volte mi sono affidato alla mia incoscienza. È stato terrificante ma anche molto eccitante ed esilarante. E poi, una volta terminate quelle prime due riprese, credo che anche Elvis come me abbia pensato ‘meno male, è andato tutto bene; nessuno mi ha lanciato una pietra’. Inizi a sentire una connessione con il pubblico, fai brillare gli occhi di qualcuno e fai divertire qualcun altro. Si sente quel legame. È il più vicino possibile alla realtà, e c’erano giorni in cui non volevo che finisse. È stato tutto così commovente”.
Dice Luhrmann, “Ci sono stati dei momenti che non mi erano mai capitati in un film. Durante le esibizioni di Austin nelle scene di Las Vegas – e non mi riferisco solo alle canzoni – anche a telecamere spente, improvvisava delle gag con il pubblico, intonava pezzi. Un cameraman con cui ho lavorato per molti anni si è avvicinato e mi ha detto: “È davvero un privilegio far parte di questo progetto”.
“In un’altra occasione”, continua, “una macchinista di poche parole, con il quale ne abbiamo viste di cotte e di crude, mentre guardava Austin incarnare Elvis in quelle esibizioni, ha confessato di non aver mai assistito a qualcosa del genere”.
Durante le riprese, Butler si è circondato di artisti che senza dubbio si sono trovati di fronte a un’esperienza nuova. “Siamo stati molto fortunati della presenza di musicisti di un certo calibro nel nostro progetto”, sostiene Wheeler. “Yola si è presentata in occasione delle nostre sessioni musicali a Nashville, e ha mostrato di avere una delle voci più fenomenali che abbia mai ascoltato, è un talento incredibile. Gary Clarke Jr. è un altro di quei rari talenti che con un microfono davanti è capace di grandi cose; è semplicemente sensazionale. Ed era particolarmente entusiasta di poter rendere omaggio ad Arthur Crudup.
“Shonka Dukureh è venuta ad una delle sessioni di registrazione e ha intonato dei brani di Big Mama offrendo uno spettacolo incredibile”, continua. “Shannon Sanders, Lenesha Randolph e Jordan Holland sono cantanti gospel straordinari, e il giorno in cui abbiamo registrato la sessione gospel nella chiesa pentecostale hanno dato vita ad una delle esperienze musicali più commoventi che abbia mai avuto. E poi Alton Mason, che interpreta Little Richard, è un artista davvero unico. Che fortuna averli trovati!”.
La discografia di Presley è vasta: ha registrato oltre 700 canzoni. Luhrmann e la sua squadra hanno dovuto prendere decisioni difficili su ciò che poteva o non poteva essere incluso nel film, cercando di selezionare i brani più consoni al racconto della storia, più che scegliere in base alla popolarità. Inoltre, Luhrmann afferma che la sua missione nella narrazione in generale seguiva una logica: “L’intento – nel prendere materiale classico da Romeo e Giulietta a Il grande Gatsby, o un cantante iconico come Elvis – è sempre quello di decodificare non quello che era, ma quello che avrebbe suscitato o che ha rappresentato in quel dato momento. Ad esempio, quando Big Mama Thornton canta “You ain’t nothin’ but a hound dog.” parla di una donna che dice a un uomo infedele e indegno “Vattene Via!”, nel gergo dell’epoca. L’incontro nel brano della voce della Thornton con quella della rapper Doja Cat indirizza i testi e il sentimento verso un pubblico contemporaneo, e soprattutto più giovane”.
I realizzatori affermano: “Un esempio simile avviene quando Elvis si esibisce dal vivo per la prima volta nel film, al Louisiana Hayride. Austin canta “Baby Let’s Play House” in cui abbiamo cercato di rispettare fedelmente lo stile del tempo. Ma per sottolineare cosa provava la folla di giovani in quello specifico momento – in una intensità elettrizzante, simile al punk – abbiamo impiegato anacronisticamente un riff di chitarra stridente (eseguito utilmente da Gary Clark Jr). Ho usato questa tecnica per tutto il film, e ho avuto il privilegio di far interagire giovani artisti guest con le leggende viventi”.
La musica, che fosse quella di Elvis o di un qualsiasi altro artista, ha colpito tutti sul set. Butler ricorda: “Gli attori di sfondo e le comparse sono stati straordinari. Alla fine di una giornata di 18 ore di lavoro, mentre io mi struccavo, tutti loro salivano su un pullman per tornare a casa cantando a squarciagola “Suspicious Minds” o “Burning Love”. È stato bellissimo notare che malgrado le giornate faticose avessero ancora tanta energia”.
Ebbene, quella reazione duratura, quell’innegabile impulso a continuare l’esperienza anche dopo lo “Stop!” del regista a fine giornata – ma anche molto dopo la fine della produzione – è esattamente ciò che Baz Luhrmann si auspica avvenga quando gli spettatori lasceranno i cinema al termine della visione di “Elvis”: “Spero che portino tutti con sé il sapore dei successi e degli insuccessi, la musica, l’amore, i look, la moda che hanno assorbito durante la visione del film, ma soprattutto che escano e ne parlino ancora quando se ne vanno. Questo è il modo in cui ho concepito questo film, ed è sempre questo il motivo per cui realizzo film: per creare, per celebrare quella singolare esperienza che si può vivere solo al cinema, e che ci rimane dentro anche al termine dei titoli di coda. È una sensazione che sicuramente Elvis condividerebbe”.

“Let it come true right now
Oh yeah.

“If I Can Dream”
Scritto da Walter Earl Brown
Registrato nel giugno 1968
Pubblicato dalla RCA nel dicembre 1968

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STREAMING VOD, SVOD E TVOD:
ELVIS disponibile in Digitale da martedì 9 Agosto 2022 e in DVD da mercoledì 30 Novembre 2022
info: 22 Giugno 2022 al Cinema; 9 Agosto 2022 in PVOD.


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