The Whale – Poster

The Whale (2022)

The Whale
Locandina The Whale
The Whale è un film del 2022 prodotto in USA, di genere Drammatico diretto da Darren Aronofsky. Il film dura circa 117 minuti. Tratto dalla produzione teatrale 'The Whale' di Samuel D. Hunter. Il cast include Brendan Fraser, Sadie Sink, Samantha Morton, Ty Simpkins, Hong Chau. In Italia, esce al cinema giovedì 23 Febbraio 2023 distribuito da I Wonder Pictures. Disponibile in homevideo in DVD da mercoledì 6 Settembre 2023.

Un insegnante deve confrontarsi con i propri fantasmi e un amore mai rivelato che lo tormentano da anni, nonché con un rapporto irrisolto con la figlia adolescente, per un'ultima possibilità di redenzione.

La storia di Charlie, un professore d’inglese che soffre di grave obesità e tenta di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente, che si è allontanata da lui, per cercare un’ultima possibilità di riscatto.

Info Tecniche e Distribuzione

Uscita al Cinema in Italia: giovedì 23 Febbraio 2023
Uscita in Italia: 23 Febbraio 2023 al Cinema; 6 Settembre 2023 in DVD
Genere: Drammatico
Nazione: USA - 2022
Durata: 117 minuti
Formato: Colore
Lingua: inglese
Produzione: A24, Protozoa Pictures
Distribuzione: I Wonder Pictures
Soggetto:
Tratto dalla produzione teatrale 'The Whale' di Samuel D. Hunter.
Classificazioni per età: ITA: 6+
In HomeVideo: in DVD da mercoledì 6 Settembre 2023 [scopri DVD e Blu-ray]

Cast e personaggi

Regia: Darren Aronofsky
Sceneggiatura: Samuel D. Hunter
Musiche: Rob Simonsen
Fotografia: Matthew Libatique
Scenografia: Mark Friedberg
Montaggio: Andrew Weisblum
Costumi: Danny Glicker

Cast Artistico e Ruoli:



Produttori:
Jeremy Dawson (Produttore)

Immagini

[Schermo Intero]

Commento del regista

“Il cinema può metterci in contatto con gli altri, indipendentemente da quanto possano apparirci diversi in superficie. Le persone che lottano con l’obesità sono spesso giudicate, respinte ed etichettate. Quando otto anni fa ho visto lo spettacolo di Sam Hunter, mi sono meravigliato della profondità dei suoi personaggi, soprattutto di Charlie, e mi è venuta l’ispirazione di usare il grande schermo per mettere il pubblico nei panni di Charlie, per immergermi nei suoi pensieri più profondi, nei suoi rimpianti e nelle sue speranze. Ma dove avrei trovato il mio Charlie? Avevo bisogno di un grande talento che potesse risplendere attraverso il trucco, un attore con un cuore immenso e un’anima pura. Non appena incontrai Brendan, capii immediatamente che avevo trovato il mio protagonista. In lui vi è qualcosa di ineffabile che dà vita al personaggio e ci trasporta – mente e cuore – in ciò che avrebbe potuto essere inconoscibile. ”

Note di Produzione

In The Whale di Darren Aronofsky, Brendan Fraser offre una straordinaria performance nel ruolo di Charlie, un insegnante di inglese che soffre di obesità grave, e il cui tempo sta per volgere al termine. Nei suoi ultimi ed estremi tentativi di riavvicinarsi alla sua famiglia spezzata, Charlie deve confrontarsi con traumi sepolti da tempo e un amore mai rivelato che lo tormentano da anni- armato solo di un cuore pieno d’amore e di un intelletto fiero.
The Whale esplora nel profondo l’intricata complessità dell’essere umano attraverso un personaggio che lotta contro l’enormità dei suoi rimpianti, il dovere della paternità e la possibilità di vivere in pace con se stessi. The Whale è essenzialmente una storia di trasformazione e trascendenza, l’odissea di un uomo dentro sé stesso e fuori dal suo corpo, un viaggio attraverso le profondità del dolore e verso la possibilità di una salvezza.
Attraverso Charlie, il film ci conduce nelle pieghe di un’esistenza che raramente viene rappresentata sul grande schermo con tenerezza e intelligenza. Fraser riversa tutto sé stesso nel caleidoscopico mondo interiore di Charlie, nelle sue contraddizioni, nei suoi desideri e nelle sue paure con un intelletto brillante e quasi malizioso. La sua è una performance geniale e profondamente emozionale, in cui l’empatia non è vista come nemica dell’onestà, bensì come l’altro lato della sua medaglia.
L’intimità che si crea tra lo spettatore e il protagonista è il cuore pulsante del film, che segue Charlie nel suo mondo per cinque giorni mentre cerca di riavvicinarsi a diverse persone a lui care – la figlia che si era allontanata da lui, l’ex-moglie, la sua migliore amica, i suoi studenti online e persino lo stralunato missionario che bussa alla sua porta. Attraverso ognuno di questi incontri, viene messo a fuoco uno spaccato della vita di Charlie e, pian piano, emerge la straziante gravità della sua situazione. Il suo bilocale diventa un campo di battaglia in cui passato, presente e futuro incerto si incontrano e combattono.
Darren Aronofsky voleva girare un adattamento di The Whale da quando ha visto lo spettacolo teatrale di Sam D. Hunter quasi dieci anni fa. Era rimasto subito colpito dalla sua intelligenza e dal suo modo audace di interrogare la condizione umana senza dare risposte scontate.
Nelle parole di Aronofsky: “Ciò che amo di The Whale è il suo invito a trovare l’umanità in personaggi che non sono né totalmente buoni né totalmente cattivi, che vivono nella zona grigia in cui ci troviamo tutti e che hanno delle vite interiori estremamente ricche e intricate. Hanno tutti commesso degli errori, ma li accomunano un cuore enorme e il desiderio di amare anche quando gli altri sembrano rifiutare l’amore. È una storia che si pone una domanda semplice ma fondamentale: possiamo salvarci a vicenda? È un tema cruciale oggigiorno, specialmente perché sembra che sempre più spesso le persone tendano a non guardare l’altro e a voltargli le spalle”.
“Il cinema è questo, secondo me”, continua. “Grazie al potere delle emozioni, una storia come questa può farci immedesimare nei panni di un uomo a cui, altrimenti, non ci saremmo nemmeno mai interessati, per ricordarci che ogni essere umano hail potenziale per amare e redimersi.”
In un certo senso, The Whale è una caccia, un tentativo di afferrare la sfuggevolezza della compassione – perché ne abbiamo bisogno e perché la rifiutiamo, quando possiamo concederla e quando no. Ma lo spettatore assiste con emozione anche al suo sbocciare nel corso della storia. Mentre è intento a ridefinire il concetto di fiducia e a capire quali siano i suoi confini, Charlie rompe i contorni dell’io. Dalla morte del compagno, si è ritrovato in una spirale autodistruttiva, ma ora, dopo tanta stanchezza, è giunto a un punto di ottimismo palpabile che illumina questi giorni scanditi da un senso di urgenza. Avvicinandosi al momento clou della storia, Charlie pone quella che, secondo Aronofsky, è la domanda più profonda dell’opera:”Hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non avere un cuore?”
Tutta la speranza che è rimasta a Charlie, specie nei confronti dell’apparentemente misantropa figlia Ellie, sgorga da questa qualità squisitamente umana. Poiché se ha ragione riguardo all’empatia, allora tutto è possibile per Ellie.”Charlie ha molti difetti, ma crede nel potere dell’immaginazione.Crede che, prendendosi il tempo necessario, chiunque possa immaginare – e perfino capire – il mondo degli altri”, commenta Aronofsky.

Dal palco al grande schermo
Al suo debutto sul palcoscenico nel 2012, la versione originale di The Whale era accompagnata da qualche perplessità. Gli spettatori erano pronti ad assistere a uno spettacolo il cui protagonista passa tutto il tempo spiaggiato su un divano? Forse era troppo anche per la necessità di sintesi insita nel palcoscenico stesso. E che dire del titolo?
Ma, alla fine, tante preoccupazioni per nulla. L’opera di Hunter è stata un successo. Invece di risultare esageratamente chiusa, il pubblico l’ha lodata per la portata delle domande che poneva sullo spirito umano, per l’autenticità e l’umorismo dei suoi personaggi e per la profondità della commovente riflessione sul dolore, sulla compulsione e sulla redenzione.
Anche qualsiasi dubbio sulla presunta scorrettezza del titolo è stato dipanato non appena si è compreso che Moby Dick ricopriva un ruolo essenziale nell’opera, letteralmente e tematicamente. Dopotutto, Charlie e Achab non sono poi così diversi: entrambi inseguono un sogno, subiscono il fascino tossico di ciò che sarebbe potuto accadere e sono ossessionati dall’idea di un futuro alternativo.
Dopo il debutto movimentato ma riuscito al Denver, The Whale si è spostato fuori Broadway nel gennaio del 2012 grazie alla Playwrights Horizons, racimolando una sfilza di premi come il Lucille Lortel Award come miglior spettacolo teatrale, il GLAAD Media Award e lo Special Drama Desk Award per il contributo significativo al teatro. Lo spettacolo ha consacrato la fama di Hunter come uno dei drammaturghi più rilevanti di questi tempi, poiché giustappone la complessità dell’identità nell’era moderna ai grandi interrogativi classici sull’esistenza e sulla spiritualità.
Aronofsky ha assistito a una delle prime messe in scena dell’opera a New York, subito dopo aver finito un film e con la mente già proiettata verso il suo progetto successivo. Si era già affermato come voce cinematografica unica nel suo genere, le cui opere avevano rotto gli argini di tutte le categorie. Aveva cominciato la sua carriera con il thriller alienante π – Il teorema del delirio e l’aveva proseguita adattando e dirigendo Requiem for a Dream, straziante narrazione di una dipendenza. Erano seguiti il classico fantascientifico The Fountain – L’albero della vita e le sue due incursioni nel thriller psicologico a tema sportivo The Wrestler e Il cigno nero. Nonostante fossero estremamente diversi in termini di materia e voce, i film di Aronofsky (compresi quelli seguenti – Noah, revisione dell’epopea biblica, e Madre!, feroce parabola eco-femminista) erano accomunati dal tema dell’esplorazione dell’individuo e dalla rottura degli argini tra l’io e la storia.
Aronofsky non sapeva quasi nulla di The Whale quando è andato a vederlo; aveva acquistato i biglietti d’impulso perché intrigato dal titolo. Solo dopo che le luci si sono accese, nel bagliore del viaggio di Charlie, ha capito di dover acquisire i diritti dello spettacolo.
“Mi sono sentito rappresentato da quei temi, da quelle idee e dal modo in cui l’opera trova la bellezza in cose che troppo spesso percepiamo come disumane per via dei nostri pregiudizi”, dice Aronofsky. “Mi ha stretto il cuore, mi ha fatto ridere e mi sono sentito ispirato dal coraggio e dalla grazia di ogni personaggio. Affronta una domanda che amo trattare anche con le mie opere:come si trasporta lo spettatore dentro a dei personaggi in cui non si è mai nemmeno sognato di immedesimarsi? Al tempo, non sapevo se potesse diventare un film, ma quando ho conosciuto Sam, ci siamo capiti al volo.”
La sintonia immediata tra Aronofsky e Hunter ha messo in moto le cose. Entrambi volevano che fosse Hunter stesso ad adattare il suo spettacolo – l’unico problema era che non aveva mai scritto una sceneggiatura. Ma, incoraggiato da Aronofsky e dal premio MacArthur Genius, Hunter ha imparato come fare da solo, partendo da zero. Ha studiato il linguaggio cinematografico e ha trovato un modo di trasporre il suo lavoro dal palcoscenico al grande schermo.”Sam ha un talento incredibile, sapevo che se la sarebbe cavata”, dice Aronofsky.
Hunter si è crogiolato nella sfida perché adora apprendere.”È stata un’occasione per guardare la storia con occhi diversi e per crescere come persona mentre cresceva la storia”, commenta.
Ma ha anche significato rivivere alcuni dei giorni più bui della sua vita. Ciò che lo aveva spinto a scrivere The Whale era stato, in parte, la sua familiarità con l’obesità al college. Nonostante abbia poi perso parecchio peso, sa per esperienza diretta cosa provano le persone come Charlie, sia fisicamente che socialmente. E anche se le cause dell’obesità – malattia multifattoriale che colpisce il 40% degli statunitensi – sono molteplici, Hunter ha messo la malattia in diretta correlazione con i sentimenti irrisolti.
“Conosco molto persone in sovrappeso felici e in salute, ma non era il mio caso”, confessa Hunter.”Avevo ignorato tantissime emozioni durante gli anni passati in una scuola cristiana fondamentalista, dove mi era stata fatta pesare la mia sessualità, e il tutto è sfociato in un rapporto malsano con il cibo. Quando ho iniziato a scrivere The Whale, vi ho riversato dentro tutto questo.”
Attraverso Charlie, Hunter ha trovato un modo per esplorare il trauma e la rabbia legati alla sua educazione. Quando conosciamo Charlie, si trova letteralmente ed emotivamente in un limbo; è un limbo fisico, poiché la sua stazza gli impedisce di muoversi bene, ed è un limbo emotivo, perché prova un costante dolore per via della morte del suo compagno. Non riuscendo a perdonarsi per il suo coinvolgimento nella morte di Alan e in preda ai sensi di colpa per aver abbandonato la giovane figlia e la moglie, Charlie entra in un circolo vizioso autodistruttivo in cui mangia compulsivamente.
“Tutto nella vita di Charlie si basa sul dolore che non ha elaborato. Ha problemi di cuore, ma, forse, in realtà, sta morendo del dolore con cui non ha mai fatto pace”, dice Hunter.
Appena prima di scrivere lo spettacolo, Hunter aveva iniziato a insegnare alla Rutgers University, il corso che tutti amano e odiano al primo anno: Scrittura espositiva. La sua esperienza di professore lo ha spinto a rendere Charlie un insegnante online, un lavoro che gli permette di mantenere una vita sociale attiva, pur nascondendosi fisicamente dal mondo. E proprio la scelta di questa professione ha permesso a Hunter di scavare a fondo in ciò che motiva Charlie e di elaborare il perché cerca disperatamente di riavvicinarsi agli altri.
Come insegnante di scuola superiore, Charlie conosce intimamente l’importanza, sia nella saggistica che nella vita reale, di mettere tutto a fuoco, di difendere la propria posizione, di omettere le parole non necessarie, di arrivare al succo del discorso in maniera più chiara e concisa possibile. È questo sistema di credenze ad alimentare il desiderio di Charlie di riavvicinarsi alle persone a lui care, di mettere un punto a ogni frase in previsione di un paragrafo conclusivo e decisivo, durante quelli che crede essere i suoi ultimi giorni sulla Terra.
“A nessuno piace la scrittura espositiva, ma ricordo che, a un certo punto, mi ero ridotto a implorare i miei studenti di scrivere qualcosa di veritiero. Di scrivere qualsiasi cosa in cui credessero davvero. Allora, uno dei miei studenti ha scritto quella che oggi figura come una battuta sia nello spettacolo che nel film: ‘Credo di dover accettare che la mia vita non sarà entusiasmante’. Non dimenticherò mai il momento in cui ho letto quella frase, perché è stata come uno squarcio di luce sulla pagina che illuminava chi l’aveva scritta e la sua umanità”, spiega Hunter. “Ecco cosa cerca Charlie sia in sé stesso che negli altri.”
La ricerca della verità del protagonista lo riavvicina alla figlia Ellie, che nasconde le ferite inflitte dall’abbandono del padre dietro a una spessa e oscura corazza di rabbia. Inizialmente, rifiuta ogni tentativo di Charliedi passare del tempo insieme, ma, pian piano, si addolcisce quando lui decide di aiutarla a scrivere i temi per la scuola.
“In quanto insegnante, Charlie può sperare di riavvicinarsi a Ellie solamente nel momento in cui lei deve scrivere un tema su Moby Dick“, racconta Hunter.
Quando Hunter ha iniziato a scrivere l’opera teatrale e a modellare le dinamiche tra Charlie ed Ellie, ha avuto una sensazione strana che quasi l’ha spaventato. Non si era mai sentito così esposto e sensibile. “Era una sensazione totalmente nuova perché mi sono sentito nudo, non avevo niente dietro cui nascondermi e mi sono sentito molto vulnerabile.”
Questa vulnerabilità è diventata parte integrante del meccanismo dello spettacolo, un’onestà e un’apertura radicali che hanno affascinato, o perlomeno rassicurato, a tal punto gli spettatori da convincerli a seguire l’opera nella tana del Bianconiglio. Ma quando è entrato in gioco Aronofsky e si è presentata l’idea di un adattamento cinematografico, è emersa un’altra domanda. La storia di Charlie si sarebbe tradotta efficacemente sullo schermo? È possibile rendere cinematografici un’unica location e un personaggio principalmente statico? Inizialmente si era pensato di giocare con la geografia, di spostare alcune delle azioni al di fuori della casa di Charlie e nel mondo esterno inventando dei nuovi personaggi, ma sia Hunter che Aronofsky hanno poi scartato l’idea.
“Darren e io eravamo intrigati dalla sfida di far svolgere tutta l’azione in uno spazio in cui i personaggi cercano di salvarsi a vicenda. Ma la cosa non doveva far soffrire il pubblico di claustrofobia”,  racconta Hunter. “L’atmosfera doveva essere così invitante che lo spettatore potesse perdersi al suo interno.”
Le modifiche impercettibili ma significative apportate da Hunter hanno entusiasmato Aronofsky. “Sam non ha avuto paura di innovare”, racconta quest’ultimo.”Un esempio è l’introduzione del fattorino delle pizze (interpretato da Sathya Sridharan), che dà vita a uno dei momenti più toccanti del film. Quando ho letto la scena in cui vede Charlie, ero convinto di averla vista nello spettacolo, invece era totalmente nuova. Quando il tuo cervello trasforma un’immagine che leggi in qualcosa che credi di aver già visto, capisci che quel qualcosa è davvero potente.”

Il ritorno di Brendan Fraser
Il ruolo di Charlie richiede una vulnerabilità e un’esposizione totale da parte di chi lo interpreta, perciò sarebbe un’esperienza intensa e unica per qualsiasi attore. Ma forse lo è stata ancora di più per Brendan Fraser, che racconta di aver dovuto dare tutto sé stesso – l’intera gamma della sua intelligenza emotiva, uno spiccato senso dell’umorismo, un oscuro senso di perdita e rabbia – per interpretare perfettamente un uomo sull’orlo della rovina e della rivelazione.
Fraser è uno degli attori hollywoodiano più amati di sempre e la sua carriera è stata molto movimentata: dagli epici blockbuster alle commedie più amate dal pubblico, all’acclamatissimo ruolo al fianco di Ian McKellen in Demoni e dei, film vincitore di un Oscar. Ma The Whale è totalmente diverso. Ritornare ai ruoli drammatici proprio con questa pellicola è stata una grande prova di coraggio da parte di Fraser, perché il film aveva determinate esigenze. Non si è trattato solo dell’incredibile trasformazione fisica: diventare Charlie è stata un’impresa anche dal punto di vista psicologico. Era essenziale che Charlie riuscisse a spingersi oltre le aspettative o gli stereotipi degli spettatori riguardo al suo aspetto, che li convincesse a seguirlo nel suo viaggio anche trascendentale e, infine, che facesse sentire loro il peso di un’esperienza simile nella vita reale.
Fraser parla apertamente dei dubbi che ha dovuto affrontare prima della produzione. “Ammetto che ero intimidito. Avevo davvero paura di imbarcarmi in questa avventura, ma proprio per questo ho capito l’importanza di scavare ancora più a fondo di quanto fossi capace. Magari è stata una scelta contraddittoria, ma non mi avevano mai chiesto di fare qualcosa di simile: mettere insieme tutto ciò che avevo imparato nella mia carriera, combinare tutti gli elementi della creazione dei personaggi in un’unica entità, ma anche mettere in gioco tutto me stesso”, dice.”E sono profondamente grato di aver avuto questa opportunità.”
Sul set ha preso alla lettera il consiglio che il grandissimo McKellen gli aveva dato: fai qualsiasi cosa come se fosse la prima ma anche l’ultima. Questo l’ha spinto a tentare il tutto per tutto, a spogliarsi di ogni meccanismo di difesa e a buttarsi a capofitto nello spazio tra incertezza e speranza.
“Ho dato tutto me stesso sullo schermo”, racconta Fraser emozionato. “Non mi sono risparmiato per niente. È tutto lì.”
Per cogliere l’anima di Charlie, Fraser non si è tirato indietro e ha esplorato i suoi lati più oscuri, non ha drammatizzato nessun aspetto di quest’uomo la cui vita di padre, insegnante, marito e fidanzato gli si è sgretolata tra le mani. “Charlie non è un santo, ma è incredibilmente umano. Credo che sia come Walt Whitman”, dice Fraser riferendosi a quando il poeta ha celebrato la capacità dell’uomo di essere “vasto” e di contenere “moltitudini”. L’attore aggiunge: “Charlie ama la vita e la sua bellezza, ma si nasconde”.
Charlie si nasconde dall’odio di cui è vittima per via del suo aspetto, ma anche e soprattutto dagli errori che ha commesso e dalle perdite che non riesce ad accettare e lasciarsi alle spalle. Fraser osserva: “L’incapacità di Charlie di superare il proprio dolore è dovuta al fatto che non è in grado di essere la persona che voleva essere. Si sente terribilmente in colpa per la morte di Alan, per aver rinunciato a una vita con sua figlia, per tutte le cose che sarebbero potute accadere”.
Secondo Fraser, Charlie non voleva far star male nessuno, tanto meno sua figlia o sé stesso.”Non è freddo e calcolatore, ma ha comunque fatto soffrire molte persone non dicendo le cose come stavano, mentendo. E ora combatte una battaglia contro sé stesso. Ha rimandato troppo a lungo la resa dei conti con le persone a lui care ed è quasi troppo tardi. Quando sprona i suoi studenti a trovare un modo di dire la verità, sta spronando anche sé stesso. I nodi vengono al pettine nell’arco di pochi giorni e non sa se troverà la redenzione o meno.”
Come molte persone in crisi, Charlie è attraversato da impulsi contraddittori. Nonostante sappia che sta morendo, nonostante rifiuti le cure mediche che potrebbero salvarlo o risparmiargli qualche sofferenza, è squisitamente vivo e si stupisce ancora delle meraviglie del mondo. Ha un’innegabile gioia di vivere, anche se, in pratica, ha condannato sé stesso a una morte lenta.
Fraser non considera le azioni di Charlie autodistruttive fino in fondo.Quando lo conosciamo, lui ha accettato la sua condizione.”Charlie sa che è troppo tardi per salvarsi”, commenta, “ma sa anche che può far reagire gli altri alla sua vulnerabilità”.
Fraser si è immedesimato profondamente nelle ferite interiori di Charlie e dice di aver notato che molte persone, in fondo, si sentono come lui. “So benissimo cosa significa venire presi in giro e ridicolizzati senza pietà”, aggiunge. “Ma forse non più di qualsiasi altra persona al mondo o qualsiasi persona sui social media. Tutti impariamo a seppellire quel dolore.”
Aronofsky ha impiegato dieci anni a trovare il suo Charlie. “Ho preso in considerazione chiunque – star cinematografiche, sconosciuti, gente comune – ma nessuno era adatto al ruolo”, ricorda.”Volevo qualcuno che interpretasse Charlie con credibilità, ma che avesse anche una grande profondità. Un giorno ho notato Brendan in un ruolo minore del trailer di Journey to the End of the Night ed è stata come una visione.”
Nel febbraio del 2020, Aronofsky ha riunito Fraser e altri membri del cast per una lettura del copione scena per scena al St. Mark’s Theatre di New York. E li è avvenuta la magia. “Mi sono venuti i brividi fin dal primo momento”, ricorda Aronofsky. “Ho capito che il film prendeva forma e che volevo Brendan.”
Hunter, che ha assistito alla lettura, ha avuto la stessa sensazione che ciò che stava accadendo era destino. “Si vedeva che Brendan aveva il DNA di Charlie”, dice. “Lui capiva veramente cosa prova uno come Charlie a perdere qualcosa.E capiva che rendere il personaggio cupo e mogio avrebbe totalmente rovinato la storia.Invece, Brendan è riuscito a carpire la gioia e l’amore di Charlie.”
Alla lettura era presente anche il montatore due volte premio Oscar Andrew Weisblum, ormai alla quinta collaborazione con Aronofsky. Anche lui ha compreso il modo in cui Charlie trascina il pubblico da un sentimento di disagio ad una commossa ammirazione. “Ad elevare la storia sono l’ottimismo di Charlie e la sua determinazione a creare un legame con la persona a cui tiene di più nella sua vita, sua figlia. Questo filo conduttore forte ed emotivo lo guida nei momenti bui”, dice.
Poco dopo, Aronofsky ha annunciato a Fraser di voler procedere con il film. “Mi sono sentito fortunato a essere dov’ero. Ammiro molto Darren e il suo lavoro e ho visto il potenziale di questo film”, ricorda Fraser.”Mi scoppiava il cuore di gioia all’idea di farne parte.”
Ma due settimane dopo, il lockdown dovuto al Covid ha interrotto la produzione del film. Ci è voluto un po’ di tempo prima che si potesse procedere in sicurezza con le riprese, ma una volta cominciate, sono state un balsamo per l’anima di Fraser, molto provata dall’isolamento. “In quel periodo, andare sul set ogni giorno e dedicare tutti noi stessi al mondo di quest’uomo ci ha permesso di legare come dovevamo”, osserva.
Prima delle riprese, Fraser si è immerso in quella che definisce una “ricerca iper-specifica” durante la quale ha imparato direttamente da chi soffre di obesità e ha guardato tutti i film con persone obese che ha trovato per vedere come altri attori avevano affrontato il ruolo.Ha riletto Melville e ha imparato, con l’aiuto della coach del movimento Beth Lewis, a spostarsi nell’appartamento come fa Charlie. Si è anche dovuto abituare all’incredibile costume da 45 chili e alle protesi che hanno trasformato il suo corpo.
Le falsità sull’obesità abbondano. Nonostante sia una malattia estremamente diffusa, il suo insorgere è specifico per ogni individuo, poiché a causarla sono fattori genetici, metabolici, ambientali e psicologici. Ogni anno viene diagnosticata a tre milioni di persone, eppure lo stigma non accenna ad affievolirsi. Questo si riflette nella mancanza di rappresentazione veritiera di persone obese nei film e in TV, tantomeno in ruoli principali.
Hunter non si era proposto di affrontare tutte le complessità dei pregiudizi legati al peso quando ha scritto The Whale. Ma la storia di Charlie colpisce nel profondo e lo spettacolo ha dato vita a vari dibattiti ovunque venisse messo in scena. Ben conscio dell’importanza di una rappresentazione veritiera, Aronofsky si è impegnato a imparare più cose possibili sulla malattia nel mondo reale. Lui e Fraser si sono consultati con la dottoressa Rachel Goldman, psicologa specializzata in disturbi dell’alimentazione e nella cura dell’obesità, e con la Obesity Action Coalition (OAC), il gruppo di sensibilizzazione più importante del Paese.Oltre a dare loro consigli riguardo al linguaggio e agli aspetti logistici del copione, l’OAC li ha messi in contatto con alcune persone disposte a parlare candidamente e a fondo della loro esperienza con l’obesità.
“I pregiudizi in base al peso sono l’ultima delle trovate per sminuire gli altri”, dice Fraser. “Troppo spesso le persone come Charlie sono invisibili tranne che agli occhi delle loro famiglie e di chi se ne prende cura. Noi riusciamo a intravedere solo uno stralciodi chi possono essere. Parlando con queste persone ho scoperto che, come tutti, vogliono solo essere trattati giustamente e con onestà e che le loro storie vengano raccontate. Anche questo mi ha spinto a perseguire l’autenticità più totale.”
Hunter spera che il film possa rompere un’altra parete narrativa. “Inventare un personaggio obeso che sia buono, con dei difetti, amorevole – ovvero un essere umano a tutti gli effetti – non dovrebbe essere questa gran novità”, dice. “Non direi mai che questa storia rappresenta tutti coloro che soffrono di obesità, ma racconta la mia esperienza. Ci sono tante storie diverse da raccontare, ma spero che Charlie venga percepito, a modo suo, come un personaggio scritto con compassione e amore.”
Nonostante l’aspetto fisico di Charlie sia centrale per la storia, Fraser ha sperato che la sua interpretazione trasportasse gli spettatori in una dimensione in cui il corpo di Charlie è meno interessante di ciò che pensa, prova e desidera nel corso del film. “Abbiamo meno di una settimana per conoscere quest’uomo”, dice. “So che molti, all’inizio, cercheranno il confine tra finzione e realtà, ma spero che sia invisibile. Spero che le protesi e il trucco incredibili siano integrati con tale maestria da finire in secondo piano e da permettere alla storia di coinvolgere il pubblico.”
Aronofsky è stato al fianco di Fraser durante tutta la sua discesa nel personaggio di Charlie, proteggendo quello che sapeva essere un delicato stato mentale. “È il connubio tra il potere delle parole di Sam e il coraggio dell’interpretazione di Brendan a spingere lo spettatore oltre le apparenze e a permettergli di vedere un essere umano a tutti gli effetti con le sue qualità sfaccettate”, dice. “Io e Brendan abbiamo parlato principalmente dei punti in cui voleva aprirsi al pubblico e di quelli in cui voleva tenerlo a distanza. Brendan è un uomo incredibilmente affascinante e intelligente, ma, a volte, Charlie sa essere egoista e irrazionale, quindi il difficile era trovare un equilibrio in ogni istante.”
Secondo Fraser, Aronofsky ha la rara capacità di mettere a fuoco i dettagli più piccoli e impercettibili. “Darren vede tutto. Mi ha detto che se non avesse fatto il regista, sarebbe diventato un arbitro di baseball e lo capisco, perché sa sempre quando chiamare cosa. È stato molto gentile con me, è stato una guida incoraggiante, mi ha spronato quando dovevo scavare più in profondità e riversare tutto davanti alla cinepresa.”
Ma Fraser si è innamorato anche delle battute di Hunter.”Sam rende poetica la vita vera”, afferma. “Dona valore e intento a ogni sua storia, ma ha anche il dono di scrivere in maniera vivace, divertente e candida. Era tutti i giorni sul set e le sue ideesono state indispensabili.”
Anche se l’interpretazione lo ha fatto sudare e portato alle lacrime, Fraser ha provato un amore talmente sincero nei confronti di Charlie da sentire la mancanza del personaggio una volta concluse le riprese. “Non mi era mai successo prima”, confessa. “È stato un viaggio intimo molto intenso e mi ha cambiato. E spero gli spettatori possano dire la stessa cosa. Spero che seguano Charlie nella sua ricerca di autenticità. Spero che pensino che esprimere chi si è veramente con onestà conta – perché ha contato per Charlie, ha contato per me e conta per ognuno di noi.”

Gli ospiti di Charlie
Nei cinque giorni che trascorriamo con Charlie, assistiamo al suo tentativo di riavvicinarsi alla figlia che aveva abbandonato da a otto anni e che non vuole avere niente a che fare con lui. Ellie è una diciassettenne dalla lingua affilata, sveglia e divorata dalla rabbia repressa. Si vanta di non avere bisogno di nessuno e si scaglia, anche con violenza, contro chiunque cerchi di avvicinarsi a lei. Sua madre la ritiene malvagia oltre ogni redenzione. Charlie crede che sia brillante e che i suoi giudizi caustici abbiano qualcosa di speciale, se solo smettesse di nascondere il suo dolore.
Charlie è convinto che Ellie sia la dimostrazione dell’assunto per cui nessuno è incapace  di non avere un cuore. È talmente sicuro del suo potenziale che è pronto ad affrontare la sua furia incontrollata e persino a farle i compiti, pur di passare del tempo con lei. Fraser afferma: “Ellie tortura il padre, lo prende in giro, è cattiva con lui e lo accusa. Tuttavia appare bellissima nella sua rabbia accecante e incandescente nel suo sdegno. Secondo me Charlie pensa che diventerà una grande scrittrice, una paladina della verità”.
Oppure è solo Charlie a fantasticare e quella è la figlia che vorrebbe avere? Secondo Hunter questo interrogativo deve rimanere senza risposta. “Darren pone l’accento sulla questione e credo che il pubblico debba domandarsi chi sia Ellie, dato che la si vede quasi sempre in presenza del padre. È una situazione pesante e forse è impossibile vedere la vera Ellie, perlomeno non fino ai secondi finali del film”, suggerisce Hunter.
Per il ruolo serviva un’interpretazione che si allontanasse dal cliché dell’adolescente arrabbiata e che desse vita a qualcosa di più impetuoso. Aronofsky ha trovato tutto questo in Sadie Sink, meglio conosciuta come Max Mayfield di Stranger Things. “Ho conosciuto Sadie come tutti, guardando la seconda stagione di Stranger Things. È fenomenale e ravviva la serie ogni volta che compare sullo schermo”, dice Aronofsky. “Dopo aver ingaggiato Brendan, ho iniziato a pensare a quale attrice potesse essere abbastanza forte da reggere il confronto con lui. Mi è venuta in mente Sadie e non sono più riuscito a pensare a nessun’altra.”
“Sadie ha una grande carriera davanti a sé”, continua Aronofsky. “È molto intelligente e ha un grande istinto, ma ha anche una grande tecnica e sa come ci si muove davanti alla cinepresa mostrando delle emozioni sincere.” Fraser aggiunge: “Lei è credibile e lo è anche il mondo interiore che ha portato sul set. Sadie è talmente straordinaria che mi ha fatto credere nel futuro di Ellie proprio come ci crede Charlie”.
Sink ha affrontato il ruolo con l’entusiasmo con cui si affronta la sfida più importante della vita.”Non ho mai dato così tanto per un ruolo”, afferma.Si è immaginata ad ammorbidire piano piano la spessa corazza di Ellie davanti agli spettatori, aprendo piccole finestrelle nella vastità dei suoi sentimenti complicati nei confronti del padre che amava da piccola, lo stesso padre che odia da adolescente, nonché l’uomo che le chiede perdono.
“Mi sono divertita ad abbassare una a una le difese di Ellie”, dice Sink. “Quando la si conosce, si può pensare che sia l’ennesima ragazzina arrabbiata, ma poi si nota che ha un lato oscuro e velenoso.Ma per quanto sia cattiva e senza pietà, forse si inizia ad amarla quando si capisce da dove nasce la sua rabbia. Soprattutto, spero che il pubblico provi empatia per Ellie. Perché, per me, anche se alcune sue decisioni sono un po’ estreme, è una ragazza totalmente spaesata alla ricerca di un qualsiasi appiglio.”
Per Sink, la missione di Ellie è sbattere in faccia a suo padre il suo dolore, obbligarlo a prendersene la responsabilità. “Nella sua testa, suo padre è il nemico”, dice. “Avevano un legame speciale quando lei era piccola, ma il suo abbandono ha gettato lei e la madre in una spirale negativa senza fine. Credo che lei si presenti a casa sua in parte perché vuole davvero farlo soffrire. Vuole mostrargli che è diventata una persona orribile a causa sua. Vuole provocargli lo stesso dolore emotivo che lui ha provocato a lei. E forse Ellie è un po’ sollevata nel vedere che suo padre non sta tanto bene e che è lei ad avere il coltello dalla parte del manico. Non ha intenzione di cedere solo perché lui soffre. Ha qualcosa da dire e la dirà.”
Per la maggior parte del film, Ellie è determinata a non provare alcun sentimento per suo padre, nemmeno pietà. Ma col tempo, una parte di lei inizia a godersi le conversazioni con lui, anche se molte di esse sono caratterizzate dagli insulti peggiori che le vengono in mente. E, infine, si sente frustrata perché Charlie la trova affascinante piuttosto che cattiva. “Il superpotere di Ellie è sempre stata la capacità di vedere veramente le persone e capirle”, fa notare Sink. “E non credo si sia mai sbagliata su qualcuno come si sbaglia su Charlie. Ma credo anche che non abbia nemmeno mai provato l’amore incondizionato che lui le dimostra. E questo la lascia di stucco.”
Secondo Sink, Ellie non è mai stata così vulnerabile come lo è nei momenti finali del film. E come Charlie, Sink vuole credere che Ellie possa sconfiggere il suo odio per l’umanità, dopo ciò che ha passato.”Se Charlie può perdonarla e amarla dopo tutto ciò che lei gli ha detto, forse può farlo anche lei”, conclude Sink.”Magari riuscirà a vedere il buono negli altri. The Whale racconta della complessità della natura umana ed Ellie può essere interpretata in vari modi; in ogni caso, io faccio il tifo per lei.”
All’opposto del risentimento livoroso e compresso di Ellie abbiamo Liz, migliore amica di Charlie da sempre e sua assistente, interpretata da Hong Chau. Liz è una donna complessa. Arguta e criticona da un lato, generosa e protettiva dall’altro, è perseguitata da un trauma che la lega a Charlie e che le dà il potere di alimentare i suoi impulsi peggiori. Vuole bene a Charlie, ma diventa presto chiaro che parte di quell’amore è dovuto al fatto che lui rappresenta il suo ultimo legame con suo fratello Alan.
Nominata a un Golden Globe per Downsizing – Vivere alla grande e apparsa di recente nella serie evento di HBO Watchmen, Chau ha colpito Aronofsky immediatamente grazie alla sua fluidità espansiva e al suo istinto esploratore.”Ogni volta che la cinepresa parte, Hong dà un’interpretazione diversa del personaggio. Non è mai a corto di nuovi approcci e nuove idee, il che è un grandissimo regalo per un regista”, dice.”Al contempo, non perde mai di vista il quadro generale.”
Chau è stata attratta dagli intrecci umani del copione. “È una storia sull’onestà, l’accettazione e l’amore, tutte cose che le persone affrontano con difficoltà nella vita – ed è questo che l’opera di Sam Hunter esplora”, afferma.
Liz è una persona dai mille contrasti. Prova per Charlie un affetto profondo e incondizionato e ha paura di perderlo – eppure alimenta la sua dipendenza dal cibo, forse per soddisfare il suo desiderio di essergli necessaria.
“Secondo me, Liz è alla ricerca di un appiglio, proprio come alcuni sono alla ricerca di una causa o una persona a cui dedicarsi per tutta la vita”, osserva Chau. “Ma la questione è molto più complicata di così, perché, sotto diversi aspetti, è complice dei comportamenti più distruttivi di Charlie, nonostante sia mossa dall’amore. Tuttavia capita a tutti di chiudere un occhio per qualcuno a cui teniamo.”
Esplorando il mix di dipendenza e generosità che caratterizza Liz, Chau ha pensato molto alla sua educazione.”In parte ciò che rende Liz quella che è, risiede nella sua infanzia tumultuosa, in quanto bambina asiatica adottata da una famiglia religiosa in un paesino dell’Idaho. Il che non è cosa da poco”, osserva. “Poi muore suo fratello adottivo, l’unica persona che l’abbia mai resa felice e l’abbia fatta sentire a suo agio e tutti questi elementi diventano parte del suo rapporto con Charlie. Molte volte mi sono chiesta perché Liz non se ne sia andata dall’Idaho per sempre. Davvero, andarsene sarebbe stata la soluzione più semplice. Ma è molto più dura restare e vedere una persona a cui vuoi bene passare ciò che passa Charlie. Ci vogliono tanto cuore ed energia.”
Con Fraser, Chau ha trovato subito quella profondità e quella fiducia che caratterizzano un’amicizia di lunga data, nonostante non si fossero mai visti prima. Secondo lei, è tutto merito del fatto che Fraser è completamente scomparso nel personaggio.”Di rado si rimane colpiti da un’interpretazione ed è questo il bello del film”, dice. “Brendan è fenomenale nei panni di Charlie. E non è solamente una persona gentile – viene proprio voglia di abbracciarlo. La prima volta che ho visto Brendan nel ruolo di Charlie, ho notato subito il suo visino angelico e ho provato una gran voglia di prendermi cura di lui.” Fraser dice di Chau: “In 30 anni di carriera, non avevo mai visto nessuno impegnarsi come Hong. Proprio come il suo personaggio, è una persona molto empatica”.
Chau è rimasta a bocca aperta anche vedendo Aronofsky all’opera. “Darren è in grado di essere talmente perfetto dal punto di vista tecnico da far credere che non provi emozioni, ma poi si capisce che le sente – e anche molto intensamente. Quando ho visto il risultato finale mi ha colpito quanto fosse non solo gratificante e commovente, ma anche emozionante e di grande portata. Tra lo stile delle riprese di Matthew Libatique, la musica e il ritmo, il film ha un’energia quasi nautica. Credo che solo Darren sia in grado di rendere visivamente emozionante una storia che si svolge in un appartamento.”
Una delle visite di Charlie più complicate e commoventi è quella di Mary, la sua ex-moglie. Si tratta di una donna che ha amato Charlie e l’ha visto nei suoi momenti peggiori. Lui le ha spezzato il cuore e, perciò, lo odia; tuttavia prova ancora un po’ di tenerezza nei suoi confronti. Vederlo nello stato in cui è, la sua reazione oscilla tra il disgusto, la pena, il terrore e l’affetto. Mary è un personaggio molto complesso e Samantha Morton, due volte candidata all’Oscar, dona al ruolo un’intensità avvincente e un’urgenza di confessione.
Morton è stata l’ultima a unirsi al cast, ma Fraser ricorda che tra loro ci sono state subito grande sintonia e intimità. “Samantha è arrivata a produzione iniziata e ci ha lasciati tutti senza parole”, dice Fraser, “perché si capisce subito che il suo personaggio è stato sposato a lungo con Charlie e prova dei sentimenti contrastanti per lui. È una di quelle attrici a cui sembra mancare uno strato che tutti abbiamo – non so se si tratti di uno strato di pelle o di energia, ma lei risulta trasparente in maniera magica”.
E questa trasparenza e questa energia le permettono di abbattere immediatamente e abilmente lo stereotipo della “ex-moglie rancorosa” e stanca. La Mary di Morton è uno straordinario e mutevole mix di affetto, perplessità, rimorso e rabbia. Il suo incontro con Charlie – vederlo per la prima volta di persona da quando lui l’aveva lasciata diversi anni prima – è straziante e sorprendente, poiché è caratterizzato da un’alternanza di  rabbia silenziosa, risate tra vecchi amici e lacrime disperate.
Aronofsky ricorda che Morton era alla costante ricerca di onestà in ogni suo movimento e battuta.”Doveva trovare il suo posto nello spazio per poter aprire il suo cuore e permettere alla pura verità delle emozioni di esploderle dai polmoni”, dice Aronofsky. “Non riesce a fingere e non vuole nemmeno farlo, perciò trova ciò che le serve dentro sé stessa ed è un qualcosa di mozzafiato da vedere.”
Trovare Thomas – il giovane missionario apparentemente ingenuo che bussa alla porta di Charlie e decide di salvare la sua anima – è stata una delle imprese più ardue.”Thomas doveva essere talmente credibile nella sua innocenza da sembrare qualcuno che ha sempre vissuto in una bolla. È difficile trovare qualcuno del genere perché siamo tutti persone navigate ormai”, dice Aronofsky.Ma il regista ha trovato la persona adatta: il ventenne Ty Simpkins, che fino ad allora aveva partecipato principalmente a film commerciali come Jurassic World, Iron Man 3 e Avengers. “Ty è stata una scoperta favolosa ed è migliorato col procedere delle riprese”, commenta Aronofsky.
Simpkins e Sink hanno scoperto un rapporto affascinante tra i loro personaggi. Nonostante siano l’uno l’opposto dell’altra – Thomas alla disperata ricerca di restare umile e compassionevole, Ellie brutale e manipolativa – li accomuna un senso profondo di alienazione. “Ellie vede che Thomas non è come sembra ed è determinata a spingerlo a confessarle i suoi segreti più intimi, cosa che poi farà”, commenta Sink. “Ty e io ci siamo divertiti molto a girare quella scena.”
Mentre Liz attacca costantemente Thomas durante le loro scene insieme, Chau riporta che è stato un piacere lavorare con l’attore sul set. “Ty si è davvero calato nella parte e si è dato da fare”, commenta. “Sia lui che Sadie sono stati all’altezza della situazione ed è stato stupendo. Ci sono solo cinque persone nel cast, ma eravamo un gruppo dolcissimo.”

Diventare Charlie
L’interpretazione di Fraser è resa possibile da una fusione tra attore e protesi. Aronofsky voleva che il peso di Charlie fosse estremo a tal punto da risultare letale, ma voleva anche impedire che il viso di Fraser fosse ricoperto di protesi che nascondevano tutte le sue espressioni facciali.
Per riuscire in questa impresa titanica, il regista si è rivolto a un collaboratore a lui fidato ed estremamente creativo: Adrien Morot, che ha lavorato con Aronofsky a The Fountain – L’albero della vita, Noah e Madre!. Per The Whale, Morot ha impiegato per la prima volta delle protesi digitali e altri stratagemmi innovativi. I cosiddetti “costumi ingrassanti” hanno dei trascorsi controversi nell’industria del cinema e, a volte, vengono utilizzati per stigmatizzare o prendere in giro. Perciò Aronofsky e Morot hanno voluto ricreare il peso di Charlie in maniera organica e rispettosa, considerandolo come un’estensione dell’interpretazione di Fraser.
“Adrien è stato uno dei primi che ho contattato quando ho iniziato a pensare a The Whale. Sapevo che sarebbe stato impossibile fare il film senza di lui. Ha affrontato la sfida con ricerche accurate e ha presto capito che doveva ripensare tutto utilizzando le nuove tecnologie”, dice Aronofsky.”Mi ha aiutato a rendere l’illusione del corpo di Charlie una realtà.”
Fraser si è commosso profondamente quando ha visto tutte le protesi create da Morot per la prima volta. “Ho pensato: ‘Devono esporle alla Tate Modern’.”, ricorda.”I dettagli erano così minuziosi; la tecnica dell’aerografo ha ricreato alla perfezione l’effetto trasparente della pelle e il blu delle vene sottostanti. Sono stati presi in considerazione l’aspetto fisico e l’effetto della gravità sulla pelle. E si vede che sono state create con amore e compassione.”
Durante i 40 giorni di riprese, Fraser ha sviluppato un rapporto di odio e amore molto intenso con l’estenuante pratica del trucco, la quale poteva durare fino a quattro ore a sessione. E per indossare e togliere il costume era necessario l’aiuto di cinque persone. Una volta indossato, Fraser poteva sfilarsi un braccio per mangiare, ma per allontanarsi dal set per anche solo un momento di pausa, aveva bisogno di aiuto. Il costume aveva un sistema di raffreddamento integrato come quelli dei piloti di Formula Uno, ma faceva comunque caldissimo. Alla fine, Fraser si era talmente abituato che, quando lo toglieva, gli girava la testa e gli mancava l’equilibrio proprio come quando si mette piede sulla terraferma dopo essere stati per mare.
“Sullo schermo non si vede l’intensità delle prove, non si vede quanto mi ci è voluto per imparare a muovermici dentro”, dice Fraser. “Ho sviluppato dei muscoli che non sapevo nemmeno di avere. È stata indubbiamente la mia impresa più grande come attore. Correre nel deserto quando ero giovane è stata una passeggiata in confronto a questo, davvero.” Il costume aveva anche un peso più simbolico. “Non era solo il peso fisico a essere importante, ma anche quello emotivo”, rimugina Fraser. “Quando qualsiasi cosa fai richiede uno sforzo monumentale, ogni scelta diventa molto più rilevante.”
Morot sapeva già che ad Aronofsky piace spingersi ai confini della tecnologia nella sua ricerca della perfezione, ma non sempre è facile.Si è divertito ad affrontare questa sfida. Tuttavia non si aspettava di spingere le sue abilità al limite come ha dovuto fare per The Whale. Non era la prima volta che creava delle protesi ingrassanti, ma fin da subito si è reso conto che le pratiche e le tecnologie preesistenti non sarebbero state all’altezza del film. Ha capito che avrebbe dovuto trovare un modo tutto suo.
Morot ha iniziato a studiare tutti i tipi di costumi ingrassanti usati nella storia del cinema che ha trovato e ha provato una grande frustrazione nello scoprire che quasi tutti gli esempi rilevanti erano stati usati a scopo comico o fantasioso. Perciò ha fatto qualche passo indietro, ha compreso che ciò che cercava non esisteva ancora e ha iniziato a studiare i corpi veri per capire con cosa doveva misurarsi.
Con i primi progetti, Morot si è accorto che Fraser avrebbe dovuto indossare anche delle protesi facciali per rendere invisibile il confine tra corpo e attore.”Darren voleva che le espressioni facciali di Brendan fossero ben visibili e abbiamo trovato un modo di integrare le protesi sulla faccia che permettesse ai muscoli di muoversi senza impedimenti”, racconta Morot.
Perciò hanno scelto delle protesi digitali, che non erano mai state utilizzate in lungometraggi importanti. Contrariamente al metodo classico, in cui si parte da uno stampo reale dell’attore e poi si scolpisce la testa manualmente con dell’argilla prima di crearele parti in silicone, Morot ha ottimizzato tutto il processo rendendolo digitale. Ha utilizzato dei modelli 3D per creare una scultura digitale e poi l’ha stampata in 3D, saltando interamente il passaggio di sagomatura con l’argilla.
“Era un po’ che testavo questo metodo e ho avvisato Darren che poteva essere rischioso”, spiega Morot, “ma valeva la pena provare. I vantaggi per il film erano numerosi, specie perché Darren è un professionista. In questo modo, non solo abbiamo creato la scultura iniziale più velocemente, ma è stato anche più semplice apportare le modifiche desiderate da Darren. Siamo riusciti a ottenere un risultato che lo soddisfacesse fino all’ultimo poro e all’ultima ruga”.
Morot fa però notare che, per quanto le protesi possano esser perfette, sono risultate credibili solo grazie alla chimica emotiva di Fraser. “È la prima volta nella mia carriera che mi sono commosso sul lavoro. Ed è successo più volte guardando Brendan. La sua interpretazione è incredibile e spero che gli spettatori vedano Charlie piuttosto che le protesi”, dice.

Il mondo di The Whale
La concezione di The Whale di Aronofsky ruota attorno al copione e alle interpretazioni. Ma sapeva benissimo che anche l’ambientazione unica – il bilocale di Charlie – era un personaggio essenziale per la dimensione visiva della storia.
Tutto sommato, The Whale è il film più minimalista di Aronofsky.Ma il design non è stato facile da realizzare.Capire esattamente com’era la casa di Charlie, cosa bisognava includere vista la sua mobilità limitata, dove e come far trasparire la sua vita interiore (o il suo passato con Alan) – tutti questi elementi hanno fatto parte di un processo accurato con al centro il personaggio.
Le prove sono iniziate quattro settimane prima della produzione agli Umbra Studios di Newburgh, New York. Per ogni scena sono state definite delle indicazioni sceniche dettagliate e le interazioni tra i personaggi sono state segnalate con il nastro adesivo sul pavimento nel loro passaggio da teoriche a fisiche.”Sapevo che gli attori si stavano preparando alla loro odissea emotiva e volevo dare loro il tempo di farlo, quindi abbiamo iniziato a pianificare i loro movimenti sulla scena”, spiega Aronofsky. “Se avessimo trovato un modo per far procedere l’azione, avremmo risolto uno dei grandi interrogativi del film. La grande domanda, infatti, era: ‘Come si fa a rendere una storia che si svolge interamente in un appartamento interessante per lo spettatore?’.”
La risposta è stata data dalla collaborazione tra Aronofsky e il direttore della fotografia Matthew Libatique, con cui il regista lavora da tempo.Insieme hanno definito ogni angolazione prima dell’inizio delle riprese. Nonostante Libatique e Aronofsky siano noti per l’utilizzo della camera a mano, per The Whale sono tornati ai movimenti più classici che avevano usato in The Fountain – L’albero della vita. Con l’aiuto di gru e dolly, hanno stilato una lista delle inquadrature mirata ad amplificare l’intimità, la tensione e un senso di urgenza che stronca il fiato – il tutto in un’unica location.
“Matty è il mio compagno d’armi e disegna con la luce in maniera straordinaria. Stilisticamente, ci siamo distanziati molto dal nostro ultimo film insieme, Madre!, che è stato girato interamente con camera a mano. Ma lui aveva un sacco di idee che mi hanno aiutato a capire come muovere la cinepresa nella stanza in maniera interessante.”
I due hanno guardato vari adattamenti hollywoodiano di spettacoli teatrali, in particolare Chi ha paura di Virginia Woolf? di Mike Nichols e Un tram che si chiama Desiderio di Elia Kazan, ma, dice Aronofsky: “Alla fine bisogna sempre tornare all’opera scritta. La storia ti dice sempre dove posizionare la macchina da presa”.
La luce è stata essenziale quanto il movimento. “Matthew ha illuminato l’appartamento come se fosse una cattedrale”, dice Fraser. “Prendevo sempre contro a delle lampade con il deambulatore di Charlie. È un maestro dell’uso della luce per cambiare atmosfera e adattarsi al tempo atmosferico.”
Gli scenografi Mark Friedberg e Robert Pyzocha, che hanno dato vita alla Gotham bizzarra di Joker, hanno dovuto invertire il loro processo lavorativo usando un spazio ridotto per evocare un vasto mondo interiore. L’appartamento di Charlie ha preso vita come lo spazio modesto e accogliente di un professore – stipato di libri e fotografie incorniciate – ma anche come una specie di rifugio isolato, un nascondiglio dove lui si crogiola nella sua sedentarietà.
“Gli scenografi sono stati geniali nel portare così tanta vita a una sola stanza. Una delle imprese più grandi è stata posizionare il divano di Charlie”, dice Aronofsky. “Nella maggior parte delle case, il divano è appoggiato contro una parete, ma sono riusciti a posizionarlo nel centro della stanza in modo armonioso. Sembra una cosa semplice, ma ci ha aperto tantissime possibilità e ci ha permesso di avere più spazio di movimento.”
Nessun elemento della stanza era lasciato al caso, nemmeno i titoli dei libri sugli scaffali, i quali provenivano dalla collezione privata dello scenografo. “Ogni dettaglio fa credere che Charlie viva lì”, dice Fraser.
Aronofsky si è riunito anche al costumista nominato all’Oscar Danny Glicker, col quale aveva lavorato a Madre!. “È stato difficilissimo disegnare dei vestiti che funzionassero con le protesi di Adrien”, fa notare Aronofsky.”Non è facile trovare dei vestiti che vadano bene a gente come Charlie, quindi Danny aveva poca scelta, una palette di colori limitata e un budget ridotto anche da paletti tecnici. Creare qualcosa che si addicesse al personaggio è stato più difficile di quanto sembri.”
Durante la post-produzione, l’escalation emotiva del film è stata ottimizzata da Andrew Weisblum. “Andy ha una grande sensibilità per quanto riguarda le storie, le emozioni e il tempismo. È in grado di far convivere elementi contrastanti, di applicare le sue capacità tecniche consumate alle emozioni più profonde come solo pochi altri sanno fare,” commenta Aronofsky.
Weisblum è rimasto subito colpito dall’ottimismo di Charlie riguardo al futuro, nonostante sappia che gli restano pochi giorni da vivere. Questa apparente contraddizione è stata l’idea trainante del montaggio di Weisblum. “Sapevo che, se non avessimo fatto attenzione, il film sarebbe potuto risultare troppo melenso”, afferma. “Ma l’umorismo e la positività prevalgono sul resto. Perciò era importante rendere lo svolgimento della storia il più naturale possibile.”
Weisblum è rimasto colpito dal dinamismo del materiale già a inizio produzione e ha lavorato con soddisfazione a partire da quello. “Darren e Matty avevano trovato il modo di rendere la stanza interessante con l’utilizzo di determinate angolazioni, inquadrature e movimenti della camera, senza mai renderla troppo appariscente o strana”, dice. “Durante il montaggio, Darren e io abbiamo discusso su come usare il materiale girato. Il ritmo è stato problematico, perché la storia è molto lineare.Quindi più di tanto non si poteva fare o cambiare senza alterarne la struttura. Non c’era molto spazio di manovra, ma abbiamo trovato qualche piccolo stratagemma per condensare e semplificare certe cose.”
Il tocco finale è stato dato dalla colonna sonora sensibile e sfaccettata di Rob Simonsen. “Era la prima volta che lavoravo con Rob e ho notato che è una persona molto curiosa, che si rimbocca le maniche e che è in grado di mescolare malinconia e speranza in maniera magistrale”, commenta Aronofsky. Della colonna sonora di Simonsen, Weisblum dice: “Non volevamo che la musica sottolineasse troppo le emozioni poiché erano già forti di base, ma nemmeno che fosse troppo stilizzata. Rob ci è stato di grande aiuto nel trovare quell’equilibrio”.
Più ci si avvicina al momento clou di The Whale, più ogni elemento della scenografia e delle interpretazioni contribuisce a rendere trascendentale il finale. Perciò Hunter lo ha modificato leggermente rispetto allo spettacolo teatrale.
Quest’ultimo si chiude con un buio improvviso.Il film, invece, si conclude con Charlie che va verso la luce.È un momento intenso, quasi fantastico.E l’audacia del tutto ha entusiasmato Aronofsky. “A Matty e me è venuta subito l’idea di far cambiare il tempo atmosferico con l’evolversi della storia. Piove, ma l’ultimo giorno c’è il sole e quando la porta si apre, la sua luce illumina Charlie. Quando si prende una decisione del genere, bisogna dare il massimo e sperare che basti a convincere lo spettatore.”
Weisblum fa notare che quella scena è stata concepita come un’immagine riflessa della prima scena con Ellie. “Il parallelismo tra i due momenti era importante a livello strutturale – in uno, Charlie fallisce, nell’altro, riesce nel suo intento. I cambi scena e le inquadrature dei due momenti sono molto simili. Ma la potenza della scena finale risiede nel fatto che sappiamo che Charlie è allo scadere del suo tempo.”
Durante le riprese, Fraser non era sicuro che le cose avrebbero funzionato. Ma quando ha visto il risultato finale, è rimasto impietrito.”Non riuscivo ad alzarmi dalla poltrona”, ricorda. “Sono dovuto rimanere seduto per riprendermi.Non perché ero triste; ero solo sopraffatto.”
Il film finito è stato fonte di conforto per Aronofsky.Ha perso sia la madre Charlotte che il padre Abraham nell’ultimo anno e The Whale è dedicato a loro. “I miei genitori erano sempre sul set, hanno recitato in molti dei miei film e questa era la prima volta che non potevano assistere alle riprese per via delle restrizioni Covid”, racconta Aronofsky.”Mia madre è venuta a mancare prima che il film fosse pronto, ma mio padre c’era ancora ed è riuscito a vedere la pellicola con la dedica a mia madre.”
The Whale è arrivato al cuore di molti sin dalla prima volta che il pubblico ha conosciuto Charlie sul palcoscenico. Secondo Hunter, il film dà al personaggio una nuova vita che va ben oltre le aspettative.”Principalmente, il film è un invito a entrare nella vita di uno sconosciuto che, forse, non avrebbero mai pensato di conoscere”, dice l’autore.”E una volta accettato l’invito, questo assume un significato e una gioia personali.”


dal pressbook del film

Eventi

Presentato in Concorso alla 79a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

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STREAMING VOD, SVOD E TVOD:
The Whale disponibile in DVD da mercoledì 6 Settembre 2023
info: 23 Febbraio 2023 al Cinema; 6 Settembre 2023 in DVD.


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DVD E BLU-RAY FISICI:
"The Whale" disponibile su supporto fisico da mercoledì 6 Settembre 2023, puoi aprire i risultati di una ricerca su Amazon.it: [APRI RISULTATI].

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