Doppio Gioco
Doppio Gioco

Doppio Gioco, la recensione


Recensione del thriller Doppio Gioco di James Marsh con Clive Owen, Andrea Riseborough: trama a tratti confusa, gli interpreti sono bravi. Un thriller a volte drammatico.
Voto: 5/10

Dopo esser stato presentato lo scorso anno ai festival cinematografici di Sundance e di Berlino, fa ora capolino nell'estate cinematografica italiana il thriller Doppio gioco; diretto dal regista James Marsh (premio Oscar per il documentario Man on Wire nel 2009), ha come interpreti principali Andrea Riseborough (già protagonista di Edward e Wallis diretto da Madonna) e Clive Owen, che non è nuovo ai film di spionaggio; nel film ha anche una piccola parte Gillian Anderson, l'indimenticata protagonista di X-Files.

Collette (Andrea Riseborough) vive a Belfast, è una madre single ed è tormentata dai sensi di colpa per aver involontariamente provocato, da piccola, la morte del fratellino, ferito durante uno scontro a fuoco. Negli anni Novanta, Collette, insieme ai suoi fratelli Connor e Gerry, è un membro dell'IRA (Irish Republican Army), per cui si impegna anche a prendere parte ad atti terroristici. Un giorno viene scoperta e arrestata da un agente dei servizi di sicurezza, Mac (Clive Owen), che le offre, in cambio della libertà, di diventare una spia per conto della sua agenzia. Si scatenano così una serie di sospetti e pericoli mentre non è chiaro chi stia realmente facendo il doppio gioco.

Il film è basato su un romanzo del giornalista Tom Bradby, corrispondente politico proprio dall'Irlanda negli anni Novanta, il che gli ha dato lo spunto a scrivere una storia riguardante il conflitto, che poi ha tradotto lui stesso in sceneggiatura al momento di realizzare il film.

Nell'adattare il romanzo, autore e regista hanno compiuto la precisa scelta di togliere ogni connotazione politica dalla storia per concentrarsi invece sui personaggi, in particolare la famiglia di Collette, per raccontare il volto più nascosto del conflitto, il mondo degli informatori e delle tattiche di spionaggio e controspionaggio; il risultato è un thriller che all'adrenalina sostituisce lunghi silenzi e una narrazione più lenta, spesso ellittica, che evidenzia gli aspetti psicologici del trovarsi coinvolti nelle drammatiche vicende di quegli anni.

Il regista dimostra il suo passato di documentarista privilegiando uno stile crudo, scarno nella narrazione come è anche evidenziato dalla scelta delle location, ambienti freddi e grigi come le stanze d'albergo, i grandi e anonimi palazzi e i luoghi deserti che esaltano il senso di solitudine e angosciosa vulnerabilità della protagonista; il gioco cromatico prosegue con la stessa Collette, la quale indossa spesso un cappottino rosso, quasi una citazione dello spielberghiano Schindler's list, che la pone il suo personaggio in netto contrasto con l'ambiente che la circonda.

L'attenzione al microcosmo familiare finisce però per raffreddare il thriller, mentre la trama si fa a tratti confusa e la tensione cala; gli interpreti sono bravi ma la forma concisa e la narrazione sintetica ed essenziale non danno spazio per esempio al rapporto tra Collette e Mac, che dovrebbe essere uno dei punti focali della storia ma non viene sufficientemente approfondito e, in alcuni punti, trattato con qualche sbrigativa ingenuità di troppo. Doppio gioco finisce così per sciupare alcune premesse interessanti che potevano farne un thriller pienamente riuscito, lontano dal classico action movie.

Valutazione di Matilde Capozio: 5 su 10
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